In Congo la corruzione viene condannata

Vital Kamerhe, capo del gabinetto del presidente della Repubblica Democratica del Congo, Felix Tshisekedi, sabato scorso è stato dichiarato colpevole di appropriazione indebita di fondi pubblici e di corruzione aggravata.

Osservando la carriera politica di Vital Kamerhe, classe 1959 e una istruzione universitaria in economia, possiamo dire che con grande abilità è riuscito a cavalcare sempre l’onda più alta; in trenta anni di ondivaga vita politica ha sempre avuto una notevole libertà di azione tra i meandri dell’economia e degli affari anche internazionali, riuscendo a raggiungere molto spesso i suoi obiettivi. Kamerhe ha “sostato” in oltre dieci gabinetti tra presidenziali e ministeriali, passando per quello di Mobutu prima di prendere “l’ascensore” con Laurent-Désiré Kabila e poi con il figlio Joseph Kabila. Kamerhe ha avuto un ruolo determinante nella gestione del potere durante i primi due mandati della presidenza di Joseph Kabila e nei primi tre anni del terzo mandato, fino al 2009, quando il rapporto di fiducia si interruppe. Da quel momento Kamerhe iniziò quello che possiamo definire “la traversata del deserto” del potere, legandosi all’opposizione la quale, tuttavia, non ebbe mai completa fiducia nella sincerità della scelta politica, in quanto sospettato di essere una sorta di infiltrato e informatore della maggioranza al potere. Comunque il suo “giuoco” ha portato i frutti, infatti Kamerhe ottiene il lasciapassare per tornare al cuore del potere collaborando con Tshisekedi e tornado influente nel 2019.

Il processo a carico di Vital Kamerhe possiamo definirlo storico, in quanto è la prima volta che una figura politica di questo spessore viene condannata per tali reati nella Repubblica Democratica del Congo. Kamerhe ex presidente dell’Assemblea Nazionale e direttore del Gabinetto del presidente della Repubblica, è stato condannato dall’Alta Corte di Kinshasa-Gombe a 20 anni di lavori forzati, ma in effetti sono venti anni di detenzione, che è la massima pena per il reato di “appropriazione indebita di fondi pubblici” e “corruzione aggravata”, aggiungendo l’ineleggibilità per dieci anni a cariche pubbliche.

Vital Kamerhe, insieme all'imprenditore libanese Samih Jammal, sono stati ritenuti colpevoli della sottrazione indebita di circa 50 milioni di dollari destinati a finanziare case prefabbricate previste nel programma di emergenza dei 100 giorni lanciato dal Capo dello Stato dopo la sua faticata vittoria elettorale del 24 gennaio 2019.

Dall’11 maggio il canale televisivo nazionale Rtnc (Radio e Televisione Nazionale Congolese) ha trasmesso le audizioni del processo; l’evento ha trascinato l’attenzione dell’intero paese, che ha seguito con interesse tutte le fasi dell’udienza che si è svolta all’interno del carcere di Makala a Kinshasa. Durante il processo, particolarmente pubblicizzato e sospettosamente, aggiungo, enfatizzato, si sono visti molti colpi di scena: alcune audizioni sono state rinviate per varie cause, considerando che il giudice inizialmente responsabile del caso, Raphaël Yanyi, è morto a fine maggio improvvisamente ed in circostanze sospette ed ancora non chiare. Una prima ipotesi asseriva che la causa della morte era per avvelenamento, smentita subito dal ministro della Giustizia che ha dichiarato, sulla base di una autopsia, che è stato assassinato con colpi alla testa praticati con un corpo contundente. Tali risultati sono tutt’oggi contestati dalla famiglia del giudice Yanyi. La sentenza di condanna ha anche accusato di corruzione la nuora di Vital Kamerhe, alla quale viene addebitato di avere ricevuto terreni dall’imprenditore libanese Samih Jammal in cambio di agevolazioni nell'aggiudicazione degli appalti, in violazione dei procedimenti di legge. Il Procuratore ha inoltre accusato la famiglia di Vital Kamerhe di avere acquisito dei beni immobili, gioielli ed oro durante il periodo di carica del loro familiare a capo del Gabinetto, beni che non avrebbero potuto acquistare con le capacità economiche frutto di entrate trasparenti ed ufficiali. Nelle fasi iniziali del processo Kamerhe, che si è dichiarato solo un non influente supervisore del programma presidenziale dei 100 giorni, era fiducioso e combattivo, sostenendo che non c’erano prove dell’appropriazione indebita e corruzione, poi visti gli sviluppi del processo, i suoi avvocati hanno dirottato le strategie difensive sulla rotta della persecuzione politica.

Fin qui sembra un processo-esempio, svolto in un ambito politico e sociale spesso erroneamente ritenuto più corrotto e meno severo dell’Occidente, ma rammento che già nel 2009 Vital Kamerhe fu indicato dall’ambasciatore statunitense a Kinshasa, un uomo dalla “ceca ambizione” con aspirazioni presidenziali.

Dopo l’8 aprile, giorno del suo arresto, alcuni media congolesi diffusero una notizia che riferiva che nei giorni precedenti al suo fermo, Kamerhe avrebbe chiesto ai presidenti del Brazzaville, dell’Angola e della Tanzania, sostegno in vista delle programmate elezioni presidenziali del 2023. Visto il contesto generale, qualche perplessità sull’arresto per corruzione, “reato fisiologico”, sorge.

Aggiornato il 22 giugno 2020 alle ore 10:52