Israele, la tecnologia e lo Stato di Diritto

La corsa all’implementazione delle capacità tecnologiche per tracciare i contagi da coronavirus e per ridurre la diffusione del virus continua in tutto il mondo. Tra le eccellenze in tale campo ritroviamo lo Stato di Israele. Nel Paese è stata recentemente lanciata un’ applicazione denominata “Hamagen” (in italiano vuol dire scudo) che traccia le posizioni degli utenti per verificare eventuali esposizioni. Le informazioni vengono confrontate e analizzate con i dati che sono in possesso presso il ministero della Salute che continua a monitorare costantemente i contagiati. Se i dati si incrociano, il ministero fornisce indicazioni per la registrazione e l’auto-quarantena. Tali informazioni risultano memorizzate soltanto sullo smartphone. Sostanzialmente, l’applicazione sfrutta la geolocalizzazione per tracciare i movimenti di una persona, iscritta alla piattaforma, che è risultata positiva al coronavirus. Gli utilizzatori del sevizio vengono così avvisati se hanno incrociato un positivo o se hanno frequentato dei luoghi a rischio contagio. L’utente o un paziente infetto viene avvistato tramite una notifica che lo inviterà a recarsi presso le autorità sanitarie per un controllo. L’uso di tale applicazione aveva suscitato molti malumori tra i rappresentanti istituzionali e gli attivisti nel Paese. Qualche giorno fa, una commissione parlamentare di controllo ha interrotto l’uso delle tecniche di monitoraggio per imporre le quarantene, dopo aver sollevato problemi di privacy.

Le violazioni superano i benefici, ha sostenuto il membro del comitato Ayalet Shaked: “la tecnologia di monitoraggio del telefono non aiuta molto quando la polizia fa già visita ai pazienti colpiti dal coronavirus per assicurarsi che rispettino le regole”. Israele, dopo un dibattito interno, ha rispettato le regole dello Stato di Diritto. Ricordiamo che la Corte Suprema israeliana ha vietato alla sua agenzia di intelligence (Shin Bet) di rintracciare la posizione del telefono di coloro che sono stati infettati dal virus. Il divieto è valido fino a quando non saranno approvate nuove leggi in tal senso. Lo Shin Bet aveva ottenuto il via libera di utilizzare la tecnologia dopo la dichiarazione dello stato di emergenza a marzo. La Corte ha deciso che occorre una nuova legislazione se la tracciabilità deve proseguire oltre il 30 aprile, sottolineando il pericolo di finire in un “terreno scivoloso in cui si rischia che strumenti straordinari e dannosi” vengano impiegati contro cittadini innocenti. La scelta dello Stato di utilizzare il suo servizio di sicurezza preventiva per monitorare coloro che non lo desiderano, senza il loro consenso, è un grande problema e deve essere trovata un’alternativa adeguata, ha affermato la Corte.

Qualora venissero introdotte leggi per il tracciamento, queste devono includere una disposizione in base alla quale i giornalisti contagiati possono chiedere un’esenzione, al fine di proteggere le loro fonti. La decisione pone fine alla geolocalizzazione del telefono utilizzando i poteri di emergenza decisi dall’esecutivo senza l’approvazione parlamentare. L’Associazione per i diritti civili in Israele, uno dei gruppi che hanno portato il caso in tribunale, ha accolto con favore la decisione, dichiarando: “Israele non deve essere l’unica democrazia che utilizza i servizi segreti per monitorare i suoi cittadini, anche nella lotta contro il coronavirus. Il ministro dell’Energia, Yuval Steinitz, si è detto preoccupato per la decisione della Corte perché l’uso della tecnologia ha contribuito alla lotta alla malattia. Israele ha registrato poco più di 200 morti e circa 15mila contagi da coronavirus, ma il dibattito nato nel Paese e le problematiche sollevate in rapporto a sicurezza, salute, tecnologia e Stato di Diritto dovrebbero far riflettere tutte le democrazie che stanno affrontando la problematica. Ancora una volta, Israele anticipa quello che diverrà il dibattito internazionale del prossimo futuro.

Aggiornato il 29 aprile 2020 alle ore 12:00