Coronavirus: la guerra del petrolio tra Russia ed Opec

La prima conseguenza socialmente destabilizzante, oltre quella sanitaria, di una “peste”, è quella economica. L’ormai conclamata diffusione della pandemia da Codiv-19, sta ritracciando e ricordando, quel percorso, che ogni storico e studioso della “materia”, conosce bene, che riguarda gli effetti delle epidemie nella società.

L’arrivo della malattia disegna “ritualmente” alcune tappe nella vita della popolazione colpita, che potremmo riassumere, molto brevemente, come di seguito: l’effetto iniziale, dopo la conclamazione della “peste”, è quello che riguarda la possibilità di cura degli infettati, che è inversamente proporzionale al numero dei contaminati; ciò significa che il numero di coloro che potranno essere curati si abbassa drasticamente con l’aumentare degli infettati, non azzerandosi per vari fattori, ma attestandosi, mediamente, intorno al 8/10 per cento (dei colpiti dal “virus”). Segue la destabilizzazione sociale, che si caratterizza con l’acuirsi degli atteggiamenti anarchici e di ribellione della società; si arriva poi ad una brusca frenata dell’economia e delle dinamiche produttive, che inesorabilmente, conducono verso stati di “carestia”. Questi “non fenomeni”, tali perché sono fisiologici e ciclicamente preseti, si mescolano, causando tutte quelle manifestazioni che mettono allo scoperto sia i punti di forza che i punti di debolezza di uno Stato, nel caso Italia “pare” prevalgano i secondi.  

Detto questo, uno dei primi effetti sull’economia mondiale del coronavirus, è stato l’abbassamento del costo del “barile di petrolio”, oltre il tonfo delle principali Borse mondiali. Circa il calo del costo del petrolio, l’Arabia Saudita, voce Opec, ha chiesto alla Russia di ridurre la produzione dell’idrocarburo al fine di contenere la produzione mondiale e mantenere più alto il prezzo. Tuttavia, Mosca, il 6 di marzo, non ha accolto l’invito dell’Arabia Saudita, rifiutandosi di forzare le proprie capacità estrattive con lo scopo di ridurre la produzione. Riyad aveva programmato di poter ottenere una riduzione di 1.5 milioni di barili giornalieri, ma la reazione di Mosca ha costretto la petro-monarchia saudita a percorrere un’altra strada. Questa sottospecie di “guerra del petrolio” ha indotto l’Arabia Saudita, oltre che a non ridurre la produzione del “greggio”, ad offrire uno sconto di 6-8 dollari al barile, ai sui clienti. Il risultato di queste operazioni economiche, mirate al contenimento strategico dei prezzi, ha creato nel mercato petrolifero una schizofrenia data dall’incertezza, che ha prodotto come risultato, che il barile di petrolio in un giorno è piombato a 20 dollari per poi riassestarsi intorno a 35 dollari al barile.    

Così l’Arabia Saudita che detiene il 12% della produzione petrolifera mondiale, ignorata dalla Russia, è passata dalla “strategia di difesa dei prezzi” alla “strategia di difesa delle proprie quote di mercato”, incrinando per la prima volta dopo tre anni, il rapporto di cooperazione tra i 14 Paesi Opec ed i dieci Paesi non Opec: Azerbagian, Bahrain, Brunei, Kazakhstan, Malesia, Messico, Oman,  Sudan, Sud Sudan e la Russia membro di spicco.

La motivazione della decisione russa è ben chiara; il rifiuto si può racchiudere in tre considerazioni: la prima è che il Governo russo ritiene temporanea la crisi causata dal coronavirus, quindi basterà avere pazienza e calma; la seconda considerazione è che le compagnie petrolifere russe non condividevano un’ulteriore riduzione della produzione di greggio, tra l’altro in varie  occasioni già attuata; ma quella che ritengo la motivazione più rilevante, è che gli Stati Uniti oggi sono il più importante produttore mondiale del petrolio, da una riduzione della produzione russa trarrebbe solo benefici, acquisendo i clienti che eventualmente Mosca potrebbe perdere se non offrisse garanzie di fornitura del greggio e visti i fragili rapporti tra Usa e Russia, tale situazione indebolirebbe geostrategicamente la Russia. 

Mosca ricorda quando, tra il 2014 ed 2016, il prezzo di un barile scese da 115 dollari a meno di 30 dollari al barile, il sistema economico russo in quel periodo soffrì notevolmente.

Comunque al di la delle elucubrazioni economiche sul prezzo di un barile di greggio e le conseguenze sui rapporti tra la Russia e l’Arabia Saudita, con uno sguardo agli Usa, quello che emerge nel contesto di un’epidemia globale che rallenta l’attività economica, è che il Covid-19 sembra essere il sospettato ideale per il crollo, che lunedì 9 marzo, detto il  “Black Monday”, ha subito l’oro nero perdendo il 30% del suo valore, passando da 45 a 30 dollari al barile; era dalla Guerra del Golfo nel 1991, che non si verificava un declino tale nel prezzo del greggio.

Michael Bradshaw, specialista in energia della Warwick Business School, ha dichiarato a France 24 che: “Il coronavirus è l’elemento che ha rovesciato una situazione già esplosiva”.

Aggiornato il 11 marzo 2020 alle ore 14:28