Sopravvivere a Tripoli nonostante tutto

Il 13 febbraio è entrata in vigore una nuova “risoluzione” del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, finalizzata ad ottenere “un cessate il fuoco duraturo” in Libia; nella stessa data il ministro degli Esteri italiano ha ottenuto un “pseudo-scaltro” incontro a Bengasi con il feldmaresciallo Khalifa Haftar. Tuttavia, da quella data, i combattimenti intorno a Tripoli sono ripresi con maggiore veemenza, ignari sia della “risoluzione” Onu, sia dell’“italica astuta interlocuzione”.

Gli attacchi dell’esercito dell’Anl (Esercito Nazionale Libico) di Haftar, hanno procurato ulteriori vittime civili e militari, elevando ancora il livello di scontro con il Gna del presidente tripolino al-Sarraj. La “voce” dell’aeroporto di Mitiga, unico funzionale nella capitale, ha informato di una nuova sospensione dei voli dopo che un razzo colpiva una zona limitrofa, nonché mentre i combattimenti campali riprendevano a sud della città. L’area di Machrou Al-Hadhba, una zona agricola a circa 30 km dal centro di Tripoli, è stata investita da una serie di razzi, mentre altri missili colpivano aree residenziali, ove una decina di civili perdevano la vita, come riporta il portavoce del Ministero della Salute tripolino Amin al-Hachimi. Il portavoce dell’esercito del Gna, in una intervista all’Afp (Agence France Press), ha ribadito che i combattimenti a Machrou Al-Hadhba, hanno lo scopo di accerchiare l’area della capitale. Un altro portavoce di Tripoli, Mustafa al-Mejii, oltre ad accusare Haftar di violare la tregua, ha anche affermato che le forze di Bengasi sono state respinte, ma martedì 18 una nave cargo proveniente dalla Turchia, con carico di armi, è stata bombardata dalle forze di Bengasi.

La tregua tra il Gna e l’Anl ha assunto, come l’embargo sulle armi, la fisionomia di una tragica commedia; rappresentanti delle Nazioni Unite hanno finalmente definito “la questione dell’embargo sulle armi una barzelletta”; ma potrebbe essere tale se non fosse un fattore economico determinante per l’economia sia della Tripolitania che della Cirenaica. Da tempo ed in più occasioni ho evidenziato l’inefficacia della “risoluzione del 2011”; Tripoli, come Bengasi e Sirte, basano le loro “dinamiche economiche” anche sul mercato delle armi che arrivano sul “pantano libico” soprattutto via terra tramite il leggendario passo di Toummo” tra Libia ed Algeria. Inoltre anche se l’Onu chiede la continuazione dei negoziati della Commissione Militare Congiunta istituita a gennaio, che prevede una cooperazione tra i due contendenti finalizzata ad un controllo del “silenzio delle armi” e ad un rafforzamento della fiducia reciproca, nell’ultima riunione di sabato a Ginevra, questa Commissione non è giunta a nessun accordo e Sarraj ha abbandonato il “tavolo”; quindi le Nazioni Unite hanno proposto di riprendere le discussioni dal martedì 18 febbraio.

Intanto a Tripoli la vita continua nonostante tutto: dall’inizio dell’offensiva di Haftar, avvenuta dieci mesi fa, la Capitale cade spesso sotto il fuoco dell’esercito dell’Anl, ma l’adattabilità umana manifesta, anche in questo caso, la sua forza. La vita continua come se quasi nulla accadesse.

Osservando i media, anche televisivi, locali spesso capita di osservare la vita quotidiana dei cittadini di Tripoli, che si sfidano a chkobba, un popolare gioco di carte del Maghreb. Nella Place d’Algérie, dove si erge la cattedrale di epoca coloniale, progettata dall’italiano Saffo Panteri, trasformata nella moschea di Maidan al Jazirnel nel 1970 dopo la cacciata degli italiani da Tripoli, si continua a bere shisha e caffè e soffermarsi nei locali prima di andare al college.

Dal 4 aprile, inizio dell’offensiva di Khalifa Haftar verso la capitale, gli scontri di terra si sono fermati a circa 15 km dal centro, tuttavia i tripolini desiderano restare nella propria città.

Gli abitanti di Tripoli si sono obbligatoriamente assuefatti a tale enorme disagio; i rumori di artiglieria creano un panico controllato. È la loro terza guerra in dieci anni, dopo la rivoluzione del 2011 e dopo la battaglia di Tripoli del 2014 che portò alla divisione, de facto, del paese in due campi, quello rappresentato dal governo di accordo nazionale (Gna), riconosciuto dalla comunità internazionale e quello dall’autorità dell’Est, dominata dalla figura del maresciallo Khalifa Haftar.

Per prendere la capitale, secondo Jalel Harchaoui, ricercatore presso l’Istituto Clingendael dell’Aia, l’Anl avrebbe impegnato circa 2.000 uomini oltre 350 mercenari russi e almeno 800 ausiliari sudanesi; dopo non essere riuscito a ottenere una rapida vittoria, basandosi sull’elemento sorpresa e sulla divisione tra le milizie che garantiscono la difesa di Tripoli, l’Esercito Nazionale Libico (Lna) di haftar ha tentato di imporre un assedio alla città.

Al momento il fallimento della mediazione Onu ed “altri”, conclama lo stato dei fatti: al di la degli enormi interessi commerciali sull’energia, soprattutto nell’ambito degli “spazi marini”, sulle armi e sui commerci e contrabbandi di qualsiasi genere, più volte trattati anche in precedenti articoli, il voler puntare su un personaggio senza il “profilo” necessario per “riaggregare” Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, come Sarraj, non può che allungare l’agonia dei libici e accentuare gli appetiti degli Stati che sfruttano le miopie ed i “tentennamenti strategici” internazionali. Inoltre l’incontro tra il ministro degli Esteri russo Sergej Viktorovič Lavrov e l’omologo italiano, finalizzato al contrasto del contrabbando delle armi in Libia, rafforza le perplessità sulla consapevolezza degli equilibri internazionali in quell’area, in quanto è noto il ruolo della Russia nel sostenere la “visione politica” di Haftar ed è anche noto il ruolo delle Nazioni Unite, compresa l’Italia, nel sostenere Sarraj.

Aggiornato il 19 febbraio 2020 alle ore 11:29