Un dragone per tutte le stagioni, qual è l’habitat politico migliore per il capitalismo? (seconda parte)

Di seguito la continuazione dellarticolo uscito ieri sul nostro giornale

Questa strategia politica del “chiudere un occhio, o anche due” è stata comunque, negli ultimi decenni, adottata da tutto l’Occidente. Ciò non è stato privo di conseguenze, se è vero che un paese illiberale e non democratico sta diventando la prima potenza economica del pianeta e si sta comprando il debito pubblico di mezzo mondo. Nemmeno l’atteggiamento prono della stessa Europa verso gli interessi dei suoi maggiori gruppi industriali e finanziari, così come verso gli interessi del “capitalismo di Stato” cinese, non è privo di conseguenze, com’è normale che sia quando si coltiva il libero scambio con un paese illiberale, che pratica una concorrenza particolarmente efficace proprio in quanto fondata sulla mancanza degli elementari diritti democratici e sindacali dei suoi cittadini.

A questo proposito, sul Corriere della Sera del 3 ottobre del 2014 il filosofo sloveno Slavoj Žižek proponeva, in rapida successione, una serie di considerazioni in alternanza illuminanti e fuorvianti, abbattendo alcuni pregiudizi e consolidandone altri. Secondo Žižek il capitalismo asiatico costituisce una forma di capitalismo ancora più efficiente e radicale di quello praticato nei paesi liberal-democratici dell’occidente. “Il capitalismo globale – sostiene - non ha problemi ad adattarsi a una pluralità di religioni, culture e tradizioni locali” ed esso “non implica necessariamente l’edonismo e l’individualismo permissivo”. Anzi, la persistenza delle tradizioni premoderne può costituire l’humus ideale per l’insorgenza di un capitalismo selvaggio, fornendo una “giustificazione etica a chi condivide la logica spietata della competizione di mercato”. Zizek ne evince che “la libertà sia un fondamento debole per il capitalismo nell’Occidente, perché è anche un fondamento vuoto” e sostiene quanto certa tradizione marxista afferma più o meno esplicitamente da tempo: che molte libertà dell’occidente siano più apparenti che sostanziali e che una certa “illibertà mascherata dal suo opposto si manifesti in una miriade di forme”.

Certo, il liberalismo occidentale è solo uno dei possibili habitat politici del capitalismo: è solo uno tra i molti in cui tale sistema economico può crescere e prosperare. In assoluto, non può essere considerato come quello in grado di garantire la maggiore crescita economica. A testimoniarlo, non sono soltanto le vicende socio-economiche di Paesi come la Cina o di altri post-comunisti, ma sono ancora prima le strutture economiche e politiche del fascismo e del nazismo. Quest’ultimo regime, in particolare, attraverso imponenti appalti pubblici, l’appoggio alle grandi imprese e una politica salariale restrittiva, poté garantire una notevole crescita economica cancellando ogni traccia dello Stato liberale, pur mantenendo la proprietà privata dei mezzi di produzione. Anche il nazismo, come in precedenza il fascismo, cancellarono la libertà politica e conservarono quella economica, così come sceglierà poi di fare Deng Xiao-Ping quando, ispirandosi al modello economico di Singapore, fornirà un nuovo modello economico al “sedicente” comunismo cinese.

In realtà, di comunismo in Cina non si può più parlare da tempo, almeno da quando è stata riammessa la proprietà privata dei mezzi di produzione e la legge del profitto può prosperare in una maniera ancora più decisa ed efficiente di quanto non avvenga nei Paesi liberaldemocratici. Al cospetto di quanto avviene in Cina, le pur deficitarie tutele delle libertà e delle dignità personali ancora in vigore in occidente si rivelano cosa non da poco, tanto che lo stesso occidente si sta organizzando, proprio per reggere la concorrenza con il capitalismo asiatico, per abolire le conquiste conseguite dai lavoratori nel corso di almeno due secoli e abbandonare almeno buona parte di tali tutele.

La prossimità strutturale – sebbene non socioculturale – del capitalismo asiatico con quello fascista e nazista dovrebbe invece ricordare a tutti, anche alla luce di quanto sostiene Žižek, che non è il capitalismo tout-court il tratto saliente delle democrazie liberali occidentali, ma solo quel tipo di capitalismo che può sorgere nell’ambito del rispetto dei principi liberali e democratici, e cioè indisgiungibile dalla tutela dei diritti politici e civili previsti dalle costituzioni di questo tipo. Il capitalismo in quanto tale – ecco ciò su cui Žižek ha ragione – può in effetti svilupparsi meglio in assenza di libertà politiche: in queste circostanze si possono infatti meglio sfruttare i lavoratori, tenere sistematicamente bassi i loro salari e privarli dei loro diritti fondamentali.

Se la Repubblica popolare cinese risulta oggi economicamente tanto efficiente, è proprio in quanto i suoi leader riescono a coniugare bene liberismo e assenza di libertà politica, e questa circostanza dovrebbe far riflettere sulla assimilazione implicitamente denigratoria delle società liberaldemocratiche a quelle capitaliste, così come, sulla scia di Marx, viene proposta dallo stesso Žižek.

Dato che poi il capitalismo mostra di preferire quale habitat società politicamente illiberali, quando non vere e proprie dittature, la reale vocazione delle stesse liberaldemocrazie occidentali sarebbe in definitiva, secondo questa logica, quella di estinguersi in modelli politici che sono diametralmente opposti a quelli coerenti con le proprie carte costituzionali. Ma se mai questo dovesse avvenire, non sarebbe a causa della natura essenzialmente fascista delle stesse società liberaldemocratiche, come una lunga tradizione massimalista sostiene erroneamente da oltre un secolo e mezzo e come lo stesso Žižek sembra ritenere, ma innanzi tutto per quella commistione d’ipocrisia e irresponsabilità politica che le classi dirigenti e molti intellettuali dei paesi occidentali e democratici hanno dimostrato nell’era della globalizzazione.

Aggiornato il 26 settembre 2019 alle ore 15:27