Liberia: il presidente massone Weah ed il razzismo costituzionalizzato

Sempre più spesso, spinta dai flussi migratori clandestini, la politica assume posizioni differenziate riguardo a questo endemico fenomeno sociologico, che vede migliaia di uomini e poche donne, affrontare viaggi che partono da varie aree dell’Africa e del Vicino oriente, per dirigersi sulle coste mediterranee. Il “trampolino di lancio” mediterraneo non è diretto verso tutti gli Stati europei, ma quasi in esclusiva verso l’Italia, causando, sovente, fisiologici fenomeni di “incompatibilità ambientale” con la popolazione autoctona. A tal proposito spesso si lancia lo slogan “aiutiamoli a casa loro”, “indicazione” che ritengo legittima e doverosa, soprattutto per gli africani, ma, analizzando la loro “storia”, tale “sollecitazione” risulta già attuata duecento anni fa.

La Repubblica di Liberia, posizionata ad ovest del Golfo di Guinea, è un esempio pratico e sicuramente un “esperimento”, non riuscito perfettamente, ma degno di analisi approfondite. La nascita della Liberia è stato un progetto della “filosofia americana”, ispirato, in larghe linee e con caratteristiche più ampie, a quanto gli inglesi avevano messo in pratica in Sierra Leone, cioè quello di creare uno Stato ad hoc in Africa per gli schiavi africani deportati sul territorio americano e presenti negli Stati Uniti. Questo progetto, apparentemente filantropico, aveva l’obiettivo di “alleggerire” gli Stati Uniti dalla presenza di un cospicuo numero di schiavi africani che con difficoltà convivevano con la popolazione bianca, ognuno nel suo “ruolo”, e che con essa avevano in comune un difficoltoso e articolato rapporto di tolleranza. In breve, nel 1816 fu convocato a Washington un Congresso nel quale venne presa la decisone di creare e dare agli schiavi di provenienza africana, presenti sul territorio americano (ricordo che la schiavitù iniziò ad essere abolita nel 1863) e ai rimpatriati in Africa, una regione geograficamente definita, nella quale, secondo le ideologie dell’epoca, “avrebbero dimostrato la loro capacità di civilizzarsi senza guide diverse dai missionari”.

Il tentativo di creare uno Stato falli nel 1817, ma riuscì nel 1821, anche in base all’esperienza negativa precedente; l’area orientale del Golfo denominata Capo Mesurado, fu acquistata e vi furono stanziati trenta nuclei familiari. L’agglomerato urbano fu denominato Monrovia in onore al presidente James Monroe, iniziato alla Massoneria, in carica dal 1817. L’immigrazione di ritorno dei neri americani fu positiva; nel 1826 la colonia fu dichiarata indipendente e assunse una “organizzazione pseudo statale” nel 1847. Una serie di ampliamenti territoriali come le aree del Gallinas, della Cassa, della Repubblica del Maryland, di Cape Palmas, del Regno della Medina ed il riconoscimento da parte francese e britannica, ne definì un profilo Statale e Nazionale compiuto. Dal punto di vista sociologico questo esperimento non ebbe caratteristiche ne “moderate” ne integrative, ma fu sicuramente molto interessante ad una lettura antropologica.

Dopo una serie di mutilazioni territoriali, causate dalla Francia nel XX secolo, in Liberia si verificarono forti tensioni e scontri tra i nuovi arrivati, definiti “i liberi” (3% della popolazione), la maggior parte educati da missionari cristiani metodisti, quindi dotati di un livello di “civilizzazione” più alto degli autoctoni ed i nativi, che vennero sfruttati dai primi. In pratica fu riprodotto lo stesso regime di oppressione nel quale i “liberi” prima erano le vittime poi i “carnefici”. La Liberia è stato l’unico Paese africano colonizzato dagli africani, un esperimento sul ripristino di una sorta di “status quo”, ma dal 1980 le forti tensioni tra “liberi e nativi” causarono due decenni di agitazioni sociale, con due guerre civili che si protrassero fino al 2003 e le dittature di Samuel Doe, poi di Charles Taylor, che condussero il Paese in un drammatico vortice di sangue (più di cinquecentomila morti).

Oggi la Liberia stenta a togliersi dalla “pelle” quella vena “razzista” che l’ha caratterizzata fino dalla nascita e che si è palesata con il difficile rapporto tra “liberi e nativi”. Infatti, attualmente, due sono i temi principali che contrassegnano il dibattito politico (escluso quello economico): quello della impunità per coloro che hanno commesso i crimini durante i due episodi di guerra civile e quello che riguarda la cittadinanza che dipende dal colore della pelle. Alcuni giorni fa il presidente liberiano George Weah (nel 1995 pallone d’oro) ha esortato il presidente dell’Icc (International Criminal Court) il nigeriano Chile Eboe-Osuji ad avviare un tavolo di lavoro per creare un tribunale per crimini di guerra ed economici. La Corte dovrà giudicare i criminali delle guerre civili, che hanno causato, nonostante i vari interventi dell’Ecomog (Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale che ha anche funzione di cooperazione per la sicurezza dell’Africa occidentale), morti, migliaia di mutilati e stupri sistematici, assoldando spesso truppe di bambini soldato drogati e guidati da sanguinari signori della guerra. Le pressioni politiche di attori sia nazionali che sub regionali, che chiedono l’istituzione effettiva di questa Corte al fine di porre fine ad anni di impunità, hanno ulteriormente spinto il presidente Weah a sollecitare sia istituzioni interne come la Camera dei Rappresentanti, che organizzazioni internazionali, come quella guidata dal giudice Eboe-Osuji ad assumere un ruolo attivo a tale scopo; considerando che anche il senatore Abraham Darius Dillon, dell’opposizione Liberty Party, ha accolto con favore la decisione, affermando recentemente in una trasmissione radiofonica che: “È tempo di porre fine alla cultura dell’impunità nel nostro Paese”.

L’altro aspetto è la Costituzione liberiana con “sfumature” razziste, che contiene una clausola che limita la cittadinanza ai soli discendenti degli africani.
George Weah, ha definito, poco dopo il suo insediamento nel 2018, l’articolo costituzionale “inutile, razzista e inappropriato”, che discrimina le razze e “contraddice la definizione stessa di Liberia, che deriva dalla parola latina liber, che significa libero”. Le sue dichiarazioni hanno suscitato numerose reazioni, tuttora al centro di forti contestazioni; l’imprenditore liberiano Rufus Oulagbo ha dichiarato che “i bianchi schiavizzeranno i liberiani neri”. Il timore della classe imprenditoriale liberiana è che gli stranieri possano accedere all’acquisto della terra. La giovane lobby “Citizens Action Against Black-Black Citizenship and Land Ownership” (Azione dei cittadini contro la cittadinanza non nera e la proprietà terriera), condivide le stesse opinioni: “Cambiare la legge ora sarebbe come mettere un ragazzo di due anni - i liberiani - ed un uomo di 45 anni - gli stranieri - su un ring e vedere se possono combattere una lotta leale”, ha pronunciato il leader del gruppo Fubbi Henries, che ha altresì dichiarato che boicotterà ogni apertura “extrarazziale” del presidente George Weah.

In conclusione, tra “la non punita oppressione” dei “liberi verso i “nativi” e la cittadinanza in base al colore della pelle, (vedi presenza libanese in Liberia), esasperata dalla tonalità del nero, il presidente massone, laico e liberale, avrà un non semplice mandato da gestire, anche ricordando un’ulteriore affermazione di Fubbi Henries, che cita: “Ogni nazione ha una base su cui è stata costruita - se si distrugge questa base, la nazione crollerà”; questo concetto non sembra abbia “colore”.

Aggiornato il 24 settembre 2019 alle ore 11:50