Usa-Russia: l’utopia del disarmo

Considerare il “disarmo” come un obiettivo che può condurre ad un periodo di pace è forse uno dei massimi paradossi sociologici immaginabili. Riflettere su questo aspetto implica una serie di ragionamenti che non possono essere circoscritti a equazioni elementari tipo: niente armi stanno alla pace, come tante armi stanno alla guerra.

Oggi discutiamo sull’atteggiamento assunto da Donald Trump circa la minaccia di uscire dal trattato Inf (Intermediate Range Nuclear Forces) e la reazione piuttosto distratta di Vladimir Putin, ma va detto che il trattato stesso, stipulato a Washington l'8 dicembre 1987 tra Ronald Reagan e Michail Gorbačëv, fu una passerella diplomatica creata per l’opinione mondiale al fine di suggellare la fine o quasi della Guerra Fredda. Inoltre la storia dei trattati, di questa tipologia, parte dal 1968 con il famoso Tnp (Trattato di non proliferazione nucleare) che fu siglato da Usa, Unione Sovietica e Regno Unito, al quale aderì la Corea del Nord nel 1985 (uscita nel 2003), la Cina e la Francia nel 1992; anche il Sudafrica aderì al trattato, indugiando molto, nel 1991, poi altri Stati, fino ad arrivare al numero attuale di 189 firmatari. Di queste Nazioni la maggior parte non hanno arsenali nucleari efficaci ma, al fine di entrare in un “club” prestigioso, hanno sottoscritto gli intenti più che la potenzialità di non produrre armamenti di distruzione di massa.

Analizzando inoltre i rapporti tra Stati “antidemocratici naturali” e possesso di armi nucleari, come nel caso del Pakistan, dell’Algeria, del Marocco e dell’Iran, ma anche, delle democrazie giudicate illiberali come la Russia, si ravvisa che tali nazioni hanno, da parte degli organi internazionali di controllo Osce in primis, trattamenti diplomatici ed osservazioni particolarmente sofisticati e quasi indulgenti. Da quanto detto risulta evidente che se il Tnp fosse stato efficace ed avesse dato una risposta adeguata alla esigenza di inibizione del nucleare a scopo militare, non sarebbero stati necessari altri trattati, inoltre alcune nazioni produttori o detentori di armi nucleari, rifiutando le ispezioni, sono contravvenuti palesemente agli obblighi dell’adesione ai trattati medesimi senza, tuttavia, subire particolari rivalse. Va ricordato che storicamente ed in base alle regole diplomatiche e strategiche dei rapporti internazionali, nei tavoli delle trattative, sul piatto della bilancia gli Stati partecipanti mettono sempre la “forza”, che è sempre stata un elemento di negoziazione fondamentale e cruciale.

Al di là dell’aspetto strategico-diplomatico i Trattati di non proliferazione di armi di distruzione di massa, devono essere considerati come accordi presi da Stati ma caratterizzati dai loro rappresentati e letti come fenomeni che coinvolgono la massa, in quanto hanno una ipotetica proiezione bellica. Infatti più l‘evento coinvolge il “complesso del popolo”, più è individuale la ”mente” che lo genera e lo gestisce; in sintesi la quantità della “massa“ coinvolta è inversamente proporzionale a quella che la guida (autoritarismi).

Ricordo quanto ha scritto uno dei più importanti teorici (e pratici) analisti del fenomeno della Guerra, il Generale Carl von Clausewitz (1780-1831), autore, alla luce dei fatti, del sempre attuale Vom Kriege (Della Guerra) il quale affronta il “fenomeno” della guerra con una lettura dinamica legata ad aspetti antropologici e sociologici connessi all’umanità e soprattutto alle esigenze dei suoi leader: “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi”.

Ad integrazione ma senza obiettivi di completezza riporto una riflessione di Karl Marx (1818-1883) circa la sua lettura del fenomeno bellico: “La storia, considerata come sviluppo dei rapporti di produzione e di distribuzione (e delle relative forme di proprietà che ne rappresentano il riflesso giuridico), è un susseguirsi di lotte di classe che sono tutte di natura politica, perché, anche se nascono per interessi particolari, in definitiva hanno come obiettivo il controllo del potere statale”.

Concludo richiamando il significato diplomatico che hanno i trattati di non proliferazione di armi di distruzione di massa in rapporto con i trattati di non “Aggressione”, che sono spesso complementari e sottoscritti successivamente ai precedenti; ciò sta a significare quanto sia importante per uno Stato possedere la “forza” offensiva e avere la consapevolezza che gli altri Stati ne siano a conoscenza, rammentando, quanto Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) affermava nell’ambito delle riflessioni sullo Stato e la sua mitizzazione in rapporto alla guerra: “La guerra è il punto culminante della vita dello Stato, perché attraverso la guerra lo Stato giunge alla più alta coscienza di se stesso”; un altro tassello sulla “utopia del disarmo”.

Aggiornato il 05 febbraio 2019 alle ore 10:49