Gaza: come stravolgere i fatti

Leggere titoli fuorvianti nei media internazionali non è una novità.

Nell’aprile del 2002, l’Idf (Israeli Defense Force – le Forze di Difesa Israeliane), condusse un’operazione nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. La propaganda palestinese affermò che gli israeliani avevano ucciso centinaia, anzi migliaia di palestinesi innocenti. I media internazionali si gettarono sulla notizia titolando drammaticamente con la parola “massacro”. Ad esempio, il 18 aprile 2002 Bbc World pubblicò una storia dal titolo “Jenin: aumentano le prove di un massacro”. La truffa fu scoperta qualche giorno dopo, quando le fantomatiche migliaia di vittime si rivelarono essere in realtà 52. Ma l’effetto della bugia durò a lungo.

L’operazione di Jenin nacque come azione difensiva a seguito della notizia che il campo veniva usato come “base di lancio per numerosi attacchi terroristici, sia contro civili israeliani che contro paesi e villaggi israeliani nella zona”. All’epoca, le televisioni mondiali mostrarono il primo piano di un palazzo completamente distrutto, a simbolo del cosiddetto “massacro”, mentre le fonti palestinesi usavano la Bbc, la Cnn, la Upi e altri ancora come casse di risonanza per le loro bugie, accusando gli israeliani di aver “sottratto cadaveri, sepolto palestinesi in fosse comuni e nelle rovine dei palazzi distrutti, praticamente un genocidio”. La verità, venuta alla luce qualche giorno dopo che queste bugie avevano purtroppo già avuto il loro impatto mediatico, era che i palestinesi avevano disseminato di trappole esplosive molti palazzi, trappole che esplosero quando le truppe dell’Idf entrarono a piedi per evitare vittime civili innocenti. Il numero totale di vittime da entrambi i lati in quella che fu in realtà una battaglia e non un “massacro”, fu di 52 palestinesi, di cui la maggior parte armati, e di 23 soldati israeliani.

I media hanno spesso grandi responsabilità nella creazione di stereotipi dannosi che avvelenano l’opinione pubblica demonizzando Israele e disseminando false informazioni, che ostacolano gli sforzi di mediazione e di pace. Ma per quanto io conosca bene le rappresentazioni errate dei media, la recente copertura delle violente rivolte sul confine con Gaza mi hanno lasciata senza parole.

In un articolo di Npr del 14 maggio scorso, si legge che “decine di migliaia di palestinesi hanno protestato per l’apertura dell’ambasciata” - il che è completamente errato. I palestinesi stanno insorgendo al confine di Gaza dalla fine di marzo, chiedendo di poter “ritornare” a quella che affermano esser la loro patria. Hanno anche chiamato questi disordini “Marcia del Ritorno” utilizzandolo come hashtag sui social network. Perché mai Npr, autorevole organo di stampa, dovrebbe affermare che la rivolta è motivata dalla questione dell’ambasciata, quando non sono neanche i palestinesi stessi a dirlo?

Ma anche El Pais ha commesso lo stesso errore, in un articolo del 15 maggio, in cui descrive le violente rivolte come una semplice “marcia” che si è svolta “contro lo spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme”. Ripeto, i due eventi non sono connessi, ma di certo aiutano a creare una storia più interessante. Chissenefrega dei fatti.

Ancora una citazione problematica dal pezzo di Npr: “Oltre 1200 persone ferite da colpi di arma da fuoco”. Neanche una minima descrizione di quello che sta accadendo sul posto. Se venissi da un altro pianeta e leggessi l’articolo di Npr, penserei che si tratta di pacifiche persone colpite senza alcun motivo. E poi, non si parla di Hamas, per niente. Non una volta. Come se non avessero nulla a che fare con la rivolta. Come se non avessero speso milioni di dollari per questa violenta operazione (invece di usare i soldi a beneficio del suo popolo, a Gaza).

Nell’articolo di El Pais si parla di Hamas, ma solo per citarla in un commento sul futuro delle proteste palestinesi. Non una parola sul suo ruolo fondamentale nell’organizzare la rivolta, o sugli individui armati spediti là da Hamas per terrorizzare. In altre parole, manca il contesto, e i lettori fuorviati finiranno per credere in un racconto completamente opposto alla realtà dei fatti.

E per concludere, non c’è dubbio dell’enorme potere dell’immagine. Le fotografie possono essere usate per ingannare, come accadde nel falso racconto del “massacro” di Jenin del 2002. Ieri come oggi, si realizza la falsità semplicemente mostrando alcune angolazioni e nascondendone altre, in modo da promuovere una particolare agenda politica. E così il 14 maggio alle 19 BuzzFeed ha pubblicato la sua “galleria fotografica”, in cui il curatore delle fotografie ha scelto precisamente 12 immagini: in sei vediamo le violenze di Gaza; nelle altre sei, la cerimonia di apertura dell’ambasciata Usa a Gerusalemme. Le foto sono state volutamente posizionate in modo da creare imbarazzo per Israele e compassione per i palestinesi. Ad esempio, nella didascalia della foto a pagina due si legge “un palestinese trasporta un manifestante ferito durante gli scontri”, mentre nella stessa pagina in basso si vede Ivanka Trump nell’atto di svelare la targa della nuova ambasciata.

Sia chiaro, anche io mi sono rattristata quando ho saputo delle vittime civili a Gaza. Ma rimane il fatto che tra gli organi di stampa internazionali, pochissimi hanno descritto le violenze sulla rete di confine, o menzionato perlomeno il fatto che un Paese sovrano possa difendersi. Nel caos del Medio Oriente, i media dovrebbero fare qualcosa di più che titolare allo scopo di “vendere”. Sono titoli che diventano armi pericolose in mano ai terroristi, mentre viene a mancare lo scopo originario del giornalismo – di informare obiettivamente il pubblico degli eventi di rilievo.

(*) Avital Leibovich è direttore dell’American Jewish Committee di Gerusalemme ed ex portavoce di Idf presso i media Internazionali. Lisa Palmieri Billig è rappresentante in Italia e di collegamento presso la Santa Sede dell’Ajc.

Aggiornato il 18 maggio 2018 alle ore 12:21