Donald Trump “brucia” il Segretario di Stato Rex Tillerson e lo sostituisce con il direttore della Cia, Mike Pompeo. Un cambio della guardia al vertice dell’Amministrazione statunitense atteso già da tempo. Infatti i rapporti fra il Presidente ed il manager della Exxon giunto ai vertici della diplomazia americana si erano ormai chiaramente deteriorati: troppi contrasti sulla gestione di dossier “caldi”, a partire da quello iraniano e coreano, e, soprattutto, troppo stretti i legami di Tillerson con Mosca. Una vicinanza che, in questo momento, non poteva non essere ragione d’imbarazzo per Trump, sul cui capo pende la Spada di Damocle dell’indagine per il cosiddetto “Russiagate”.
Pompeo viene, comunemente, considerato un “falco” e questo lascia pensare ad un prossimo irrigidirsi dei rapporti fra Casa Bianca e Cremlino, nonché ad una nuova rottura delle relazioni con Teheran. Sulla Corea, invece, è probabile che non si dovrà assistere a radicali mutamenti di rotta: pur con un continuo gioco di freno ed acceleratore, appare ormai chiaro come Trump sia determinato a trovare un accordo con il “giovane Kim”, o, se vogliamo, con “Kim il ciccione”, come l’imprevedibile Presidente Usa si è divertito ad appellare il dittatore nord-coreano solo pochi mesi fa, nei momenti di più forte tensione. L’obiettivo di questa, imprevista, distensione potrebbe essere proprio il progressivo ritiro - come sottolineato da Domitilla Savignoni - delle truppe statunitensi dal Sud Corea. Ritiro che permetterebbe a Trump da un lato una notevole riduzione della spesa militare, dall’altro di porgere il classico ramo d’olivo a Pechino, dove, com’è ben noto, la massiccia presenza statunitense nella penisola coreana viene da sempre vista con estrema preoccupazione. Dunque l’Amministrazione di The Donald potrebbe indirizzare la sua politica estera verso delle aperture diplomatiche nei confronti della Cina, tali da compensare, almeno in parte, la politica protezionistica posta in atto per tutelare l’industria statunitense dalla “minaccia” dell’export cinese.
Il licenziamento di Tillerson va dunque letto nella chiave del nuovo modo di interpretare la politica estera da parte della Casa Bianca: un continuo gioco su più tavoli, che permette di tendere o rilassare, di volta in volta, le relazioni con le altre grandi Potenze. Un gioco a scompaginare le carte, che ha come scopo quello di lasciare a Washington il controllo del “mazzo”.
Quanto al preteso “autoritarismo” con cui Trump secondo osservatori europei gestirebbe la sua Amministrazione, un autoritarismo personalistico che lo ha fatto paragonare a leader come Putin ed Erdogan, Edward Luttwak ci ha dichiarato: “Vi è una differenza totale: in Usa vige la divisione dei poteri. Il presidente americano è assolutamente limitato dai giudici e non può spendere un solo dollaro senza una legge votata dalle camere. Ad esempio, Emmanuel Macron, in Francia, dispone di fondi segreti,Trump no. Erdogan e Putin non vengono bloccati da giudici anche se arrestano 40 giornalisti, in Usa non è nemmeno pensabile. Trump esercita un potere esclusivamente esecutivo. E solo in quello specifico ambito non subisce condizionamenti o inibizioni”.
(*) Senior fellow Think tank “Il Nodo di Gordio”
Aggiornato il 14 marzo 2018 alle ore 11:39