A proposito di Hebron

Il voto del 7 luglio scorso dell’Unesco su Hebron giunge in un momento in cui le relazioni tra Israele e l’organizzazione per la cultura, la scienza e l’educazione delle Nazioni Unite sono già alquanto fredde. Una risoluzione votata nel corso dei lavori del Commissione patrimoni dell’umanità in svolgimento dal 2 luglio a Cracovia ha iscritto la città vecchia di Hebron-Al Khalil (Palestina) – così come riportato dal sito dell’Unesco – e il complesso W-Arly-Pendjari (Benin, Burkina Faso) nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità e ha aggiunto, contemporaneamente, il sito di Hebron-Al Khalil all’elenco del patrimonio mondiale in pericolo.

La decisione, presa con voto segreto ma non inaspettato, giunge dopo che tre giorni prima la stessa Commissione aveva approvato un’altra risoluzione volta a denunciare l’attività dello Stato di Israele, considerato potenza occupante, nella città vecchia di Gerusalemme. Le risoluzioni votate al di là dei fini culturali, hanno assunto un preciso significato politico, poiché hanno sancito che Hebron e la Tomba dei patriarchi, simbolo della città, appartengono alla Palestina.

Va ricordato che l’Unesco riconosce, a pieno titolo, la Palestina quale Stato membro  dell’Organizzazione, dal 23 novembre 2011 e, già in passato, in occasione della tutela dei luoghi di pellegrinaggio legati alla natività di Gesù a Betlemme e dei terrazzamenti agricoli a sud di Gerusalemme, aveva fatto espresso riferimento all’appartenenza degli stessi allo stato palestinese. Hebron è però una città simbolo del conflitto israelo-palestinese. Abitata da 200mila arabi, si trova in Cisgiordania, una trentina di chilometri a sud di Gerusalemme, ed è formalmente sottoposta alla sovranità dell’Autorità nazionale palestinese, pur avendo una zona del centro, ove è situata la Tomba dei patriarchi, sotto il controllo dei militari israeliani.

La Tomba, o Grotta dei patriarchi, sepolcro di Abramo, Isacco e Giacobbe e delle loro spose Sara, Rebecca e Lea, è il secondo luogo santo dell’ebraismo ed è considerata sacro anche per i musulmani, che la chiamano Moschea di Abramo. La città, famosa per i suoi vigneti e per le ceramiche, nel 1994 fu teatro di un massacro di musulmani che andavano a pregare alla Tomba da parte di un ebreo ortodosso che abitava in un limitrofo insediamento ebraico. A seguito del perdurare della situazione di tensione, conseguente all’episodio, il governo israeliano e l’Autorità palestinese accettarono la presenza di una forza internazionale con compiti d’osservazione. La Forza denominata Tiph (Temporary international presence in the city of Hebron) ancora oggi è presente e vi fanno parte anche i carabinieri italiani, che si trovano  anche a Gerico, con compiti d’addestramento delle locali forze di sicurezza.

Il Centro “Simon Wiesenthal”, in una nota d’agenzia, definisce la votazione “l’ultima cinica azione dei palestinesi per cancellare la storia ebraica, trasformando i luoghi più santi del giudaismo, come il Muro occidentale, la tomba di Rachele e le Tombe dei patriarchi in luoghi musulmani”. Si può solo sperare che la contrapposizione tra Israele e l’Unesco possa trovare presto un punto di conciliazione, affinché, al più alto consesso delle Nazioni Unite, cui spetta l’individuazione dei siti del mondo da considerare patrimonio dell’umanità, non possano adombrarsi sospetti che dietro elevate motivazioni culturali si possano celare gesti politici. L’Italia stessa, al primo posto nel mondo con 51 siti iscritti, sarebbe l’ultimo Paese a desiderarlo.      

Aggiornato il 12 luglio 2017 alle ore 12:33