“Airport Security”   contro i migranti

Mentre la politica italiana s’azzuffa sulla tragedia di Conetta (dove è morta una migrante) le polizie di Danimarca, Olanda, Gran Bretagna, Germania, Svezia, Sudafrica, Israele, Belgio e Stati Uniti inseriscono nei loro programmi formativi “Airport Security Canada”: un programma televisivo canadese nato dall’omonimo format australiano e trasmesso anche in Italia sul canale DMax. Il programma racconta l’attività di contrasto all’immigrazione svolta degli agenti della dogana aeroportuale canadese. Naturalmente l’attività comprende anche la lotta al narcotraffico, al terrorismo ed all’introduzione di patologie esotiche. La maggior parte degli episodi sono ambientati nell’aeroporto internazionale di Vancouver.

Le polizie europee hanno inserito “Airport Security” perché il contrasto all’immigrazione è assurto a priorità, ed in questo campo fa scuola il “Department of Homeland Security” (gli addetti alla sicurezza e ai controlli degli aeroporti statunitensi). Vagliano documenti e controllano i passaporti dei visitatori, e per intercettare eventuali immigrati privi dei tanti permessi: perché entrare nei cosiddetti Paesi ricchi è ormai difficilissimo per tanti, anzi è riservato ai cosiddetti turisti benestanti. Ecco che i viaggi dei migranti diventano format per intrattenere il pubblico, ma anche strumento formativo per le polizie del cosiddetto mondo ricco. Di fatto un programma in deroga alla cosiddetta Convenzione di Ginevra: una sua variante australiana ha trasmesso anche il respingimento in mare di un gruppo di profughi afghani diretti in Australia.

Un qualcosa d’impensabile per l’Italia come per la Grecia. E si ha la netta sensazione che solo i cosiddetti Paesi poveri dell’Unione europea debbano accogliere profughi e migranti, rifugiati e qualsivoglia viandante per indigenza. Su quest’ultimo urge aprire una parentesi: in Australia per vagabondaggio da indigenza si finisce in galera, fare un riposino sulla panchina viene sanzionato dalla polizia. Il documentario sui migranti afghani respinti in mare, quindi finiti in una prigione indonesiana dove sono previste quotidiane pene corporali, è stato prodotto dal governo australiano: s’apre col monito di un governatore che usa frasi utili a scoraggiare qualsivoglia migrante a mettersi in viaggio verso la grande isola del Commonwealth. Il governo australiano ha poi finanziato la campagna che disincentiva la migrazione da Pakistan e Iraq, pagando anche la messa in onda in vari Paesi dell’Africa e del Medioriente.

Chi entrasse irregolarmente in Australia verrebbe privato di soldi e documenti, quindi costretto in un “Centro di detenzione per immigrati irregolari”, quindi inoltrato in un campo per rifugiati del Kenya o dell’Etiopia, strutture con cui l’Australia ha in essere accordi e contratti.

Intanto in molti si chiedono se questi possano assurgere a modelli di lotta all’immigrazione clandestina. La Gran Bretagna ha adottato il modello formativo “Airport Security” forse per scongiurare una nuova Calais: la cittadina francese con otto ettari di campo profughi che ha ospitato migliaia di migranti pronti ad imbarcarsi per l’Inghilterra. Mentre Danimarca e Olanda temono che la cosiddetta rotta balcanica possa portare nuovi migranti nelle zone ricche d’Europa.

Ma “Airport Security Australia” dimostra che le porte sono chiuse anche ai non cittadini Commonwealth: per esempio anche un cittadino italiano può ritrovarsi controllato per ore, perché le dogane usano specialisti nel far perdere la pazienza al cosiddetto “viaggiatore non ricco”. Il volto cinico dell’agente di dogana viene usato come risposta alle smorfie di disperazione del turista per caso, forse migrante. E per le polizie dei Paesi ricchi assurge a lezione, a corso formativo.

In questo giochetto l’Italia si ritrova come un vaso di coccio tra vasi di ferro. Dopo il caso di Cona, e le tante indagini delle procure, sarebbe auspicabile che il fenomeno migranti venisse avocato al ministero dell’Interno, tagliando ogni prebenda ai privati, agli speculatori che gestiscono l’accoglienza. Parimenti l’Italia dovrebbe ottenere il governo umanitario delle coste libiche, e per impiantare strutture che arginino il fenomeno creando centri d’accoglienza in Nord Africa, dove sarebbe possibile inserire percorsi formativi ed aziende manifatturiere. Resta il fatto che l’Italia non può trasformarsi nel campo profughi dell’Unione europea; diversamente casi come quello di Conetta diverrebbero la regola. Certamente “Airport Security Italy” non sarà mai un progetto formativo praticabile, perché il buonismo dei nostri autori (gente spesso cattiva) teme l’ira della Chiesa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:08