Non si ferma la diffusione di movimenti estremisti islamici in Indonesia, terra che in passato ha saputo conciliare credo differenti (“Uniti nella diversità” è il motto del Paese) e che oggi si trova a combattere contro una nuova ondata di intolleranza politica e religiosa.
Negli ultimi cinque giorni, il Paese ha vissuto momenti di tensione per le proteste di migliaia di musulmani che si sono riversati nelle strade di Jakarta per protestare contro Basuki Tjahaja Purnama, il primo governatore non-musulmano della regione. Basuki Tjahaja Purnama, meglio conosciuto con il suo soprannome Ahok, è stato accusato di aver insultato la religione islamica durante un comizio elettorale. Ahok avrebbe criticato gli oppositori politici che utilizzano il Corano per screditarlo, complice un passaggio del testo sacro che impedirebbe ai musulmani di votare per i non-musulmani.
La dichiarazione del governatore ha suscitato violente reazioni dei musulmani indonesiani, con una marcia di oltre 100mila persone, iniziata pacificamente e conclusasi con incendi, danneggiamenti, arresti e circa 160 feriti e un morto. Il governatore, che ha chiesto pubblicamente scusa, ha sottolineato che la critica mossa riguardava i suoi oppositori e non il Corano, ma è stato comunque sottoposto a nove ore di interrogatorio da parte delle autorità indonesiane: nel Paese, la blasfemia è un reato perseguibile con arresto fino a cinque anni. Attualmente non risulta formalmente indagato, e una schiera di oltre 100 avvocati indonesiani (molti dei quali forniti dai quattro partiti che supportano la sua rielezione) si è offerta di assisterlo gratuitamente per quella che viene considerata da molti una violazione della libertà di espressione.
Gli scontri, però, sembrano non fermarsi, e la situazione è sufficientemente critica dall’aver convinto il primo ministro Joko Widodo a cancellare la sua imminente visita in Australia. La notizia degli scontri è rimasta fino ad oggi circoscritta ai media asiatici e sembra non avere ancora raggiunto i Paesi occidentali. L’Indonesia rischia di compromettere il florido settore del turismo. Il governatore incriminato è infatti di etnia cinese, e da Cina, Singapore e Taiwan arrivano in Indonesia quasi 3 milioni di visitatori ogni anno, circa il 30 per cento di tutti i turisti internazionali. Non solo, su circa 9 milioni e 700mila visitatori annuali, il 25 per cento (oltre 2 milioni) provengono da Paesi di cultura cristiana (Australia, Regno Unito, Germania, Filippine). Numeri cruciali per lo sviluppo del Paese, che ora avrà due opzioni: condannare il governatore, oppure risolvere diplomaticamente la crisi, evitando un effetto domino sui media occidentali.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:08