A Rio gli olimpionici senza una Patria

Alla cerimonia di apertura dei Giochi di Rio della XXXI Olimpiade, prima del Brasile, il Paese organizzatore, sfila la più piccola squadra al mondo. Per la prima volta in una Olimpiade, 10 atleti, campioni che non hanno più una Patria da rappresentare, parteciperanno ai Giochi Olimpici con la bandiera del Comitato Olimpico Internazionale (Cio) nella “Squadra olimpica dei rifugiati”.

Su proposta del presidente, il tedesco Thomas Bach, approvata all’unanimità da tutti i componenti, il Cio ha voluto costituire la squadra come simbolo di speranza per i rifugiati di tutto il mondo e, allo stesso tempo, ha attirato l’attenzione dei leader di tutte le nazioni su una crisi ormai planetaria. Secondo i più recenti dati delle Nazioni Unite, sono oltre 65 milioni le persone che sono state costrette ad abbandonare con la forza le proprie case e di questi più di 21 milioni sono rifugiati e più della metà hanno meno di 18 anni.

La selezione degli atleti è andata avanti per quasi un anno ed è stata costantemente monitorata dal presidente Bach. Il Cio si è avvalso della collaborazione dei Comitati olimpici nazionali dei Paesi ospitanti i profughi, delle federazioni sportive internazionali, dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e, quando è stato possibile, dei Comitati olimpici dei Paesi di origine dei profughi. Al termine della prima fase, agli inizi del 2016 sono stati selezionati 43 atleti candidati mentre a maggio sono stati scelti i dieci fortunati che rappresenteranno la Squadra olimpica dei rifugiati: si tratta di quattro donne e sei uomini, cinque velocisti originari del Sud Sudan, due nuotatori siriani, due judoka della Repubblica Democratica del Congo e un maratoneta etiope. Il criterio principale di scelta dei dieci olimpionici è stato ovviamente il livello sportivo, ma è stato verificato con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite lo status ufficiale di rifugiato, la storia personale di ognuno e lo sfondo sfociale.

Il presidente del Cio presentando la squadra ha detto che gli atleti rifugiati non hanno più una casa, una squadra, una bandiera o un inno nazionale che li rappresenti, ma gareggeranno sotto la bandiera con i cinque cerchi e se vinceranno, come tutti ci auguriamo, verrà suonato in loro onore l’inno olimpico. I dieci della Squadra olimpica dei rifugiati hanno già preso possesso dei loro alloggi presso il villaggio olimpico insieme a tutti gli altri atleti provenienti da tutto il mondo. A guidarli, quale capo della squadra, è stata scelta un’eroina dello sport moderno, la tre volte campionessa mondiale, la mezzofondista keniota Tegla Loroupe. Tegla, 43 anni, ultima di 24 figli, è cresciuta tra mille difficoltà in un piccolo paese del Kenya e si è affermata nello sport con immensi sacrifici. È stata la prima donna africana a vincere la Maratona di New York, che ha vinto per due edizioni consecutive. Nel 2003, dopo l’abbandono delle competizioni, la Loroupe ha creato una fondazione che sostiene progetti sportivi per i giovani svantaggiati di tutto il mondo e si è dedicata in prima persona al sostegno dei profughi e dei rifugiati. Tegla era la figura perfetta per rappresentare la Squadra dei rifugiati e il presidente del Cio l’ha voluta come portabandiera dei dieci atleti.

“Quando pensiamo agli eroi dei nostri giorni - ha affermato l’ex campionessa keniota - di solito guardiamo ai campioni sportivi e ai personaggi famosi, ma i veri eroi possono essere trovati ovunque. La squadra dei rifugiati è arrivata a Rio superando avversità inimmaginabili, ma la capacità di recupero e la voglia di ripartire di queste donne e di questi uomini li rende dei veri eroi e faro di speranza per molti disperati nel mondo”.

Per noi i dieci atleti della Squadra olimpica dei rifugiati hanno già vinto la medaglia d’oro facendoci emozionare. Viva lo Sport, viva le Olimpiadi!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:02