Allen: contro Daesh  intelligence coordinata

Il Generale Allen è stato una colonna portante dell’esercito americano degli ultimi 15 anni. Gli ultimi due incarichi ricoperti sono stati di comandante delle forze Isaf (coalizione a guida Nato presente in Afghanistan) e Inviato speciale del Presidente degli Stati Uniti per la Coalizione globale contro il Daesh.

Generale, la guerra contro l’Isis in Iraq e Siria: l’intervento russo è stato determinante, come sostengono alcuni, oppure mirato esclusivamente a rafforzare il potere di Assad, garantendosi le basi di Tartus e Latakia?

Per prima cosa l’intervento russo era orientato a stabilizzare non solo il regime di Assad ma tutta quella regione abitata da alawiti (con cui i russi hanno relazioni da molti decenni). Inoltre, con i russi non siamo riusciti a coordinarci circa una strategia su larga scala ma solo su piccoli teatri operativi. Un altro obiettivo di Mosca in Siria era quello di dimostrare al mondo la capacità di dispiegamento forze: lanciare missili cruise dal Mar Caspio e utilizzare i bombardieri Blackjack da lunga distanza, ne è un esempio.

L’Isis mostra la capacità di diffondersi come una vera e propria Hydra in altre regioni del mondo islamico. Come è possibile arginare questa metastasi? E la risposta può essere solo militare?

Alcune organizzazioni come Ansar Al-Sharia in Libia, Boko Haram in Nigeria già esistevano precedentemente e non sono cresciute in questa maniera grazie al Daesh ma si sono affiliate successivamente dando l’immagine di un Daesh esteso su mezzo mondo. Noi stiamo contenendo il Daesh in Iraq e Siria e stiamo lavorando con partenr regionali per contenere altre minacce come Boko Haram o Khorasan in Afghanistan. In molti casi questa collaborazione si traduce in assistenza e miglioramento delle capacità militari ma spesso consiste anche nell’aiutare questi Stati ad avere una migliore resilienza politica creando opportunità di crescita economica. Il Daesh ha ora tre componenti: il core che è in Iraq e Siria, la sua costellazione di province che sono anche abbastanza lontane dal core (fino anche nel sud-est asiatico) e la terza componente è il network che connette le prime due. Combattere quest’ultimo attraverso una grande azione di coordinamento dei servizi di intelligence dei vari partner globali è fondamentale ed è quello che stiamo cercando di fare.

La strategia dell’Amministrazione Obama ha sempre privilegiato l’area del Pacifico e dell’Oceano Indiano, tendendo a trascurare il nostro Mediterraneo. Con il prossimo presidente potrebbe mutare questa linea?

Non sono veramente d’accordo con il fatto che non abbiamo favorito la nostra politica nel Mediterraneo rispetto le altre. Nell’area abbiamo ancora il quartier generale della VI flotta americana, abbiamo il quartier generale per le forze Nato nel Sud Europa (Afsouth, a Napoli). Per ritornare alla sua domanda, dipende molto da chi vincerà perché abbiamo due candidati molto differenti. Uno di loro vede con maggiore attenzione gli interessi degli Stati Uniti come potenza globale, l’altro preferisce stringere migliori relazioni tra interessi americani e Nato ponendo l’attenzione a tutto l’ambiente circostante alla Nato.

Molti analisti parlano della necessità di riformare e rinnovare le Forze armate Statunitensi, per renderle atte ad affrontare i nuovi tipi di minaccia. Cosa ne pensa?

Non sono coinvolto in questo genere di processi ma quello che vorrei dire è che gli Stati Uniti devono procedere su un doppio binario: da un lato bisogna apprendere dagli anni di guerra a bassa intensità contro il terrorismo. Dall’altro bisogna considerare il riemergere della potenza militare russa sul fianco storico della Nato e di altre controparti nel mondo: la Nato deve essere pronta e preparata per una guerra ad alta intensità. Qualsiasi tipo di riforma verrà attuata dovrà sempre tenere presente questi due aspetti.

 

(*) Associate analyst del think tank “Il Nodo di Gordio”

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:03