I leader europei chiedono che l’Unione europea (Ue) abbia un ruolo più incisivo nel far rispettare il cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza. Essi asseriscono che il loro obiettivo dovrebbe riguardare non solo la ricostruzione di Gaza ma dovrebbe anche consistere nel controllare la smilitarizzazione di Hamas e contribuire a rendere sicuri i valichi di frontiera tra Gaza e l’Egitto al fine di garantire che Hamas non possa riarmarsi.
Ma l’esperienza europea con Hezbollah in Libano dovrebbe far comprendere che non solo Hamas non sarà disarmato, ma che si riarmerà perché gli osservatori europei resteranno a guardare senza muovere un dito.
Il presidente francese François Hollande, in un importante discorso di politica estera pronunciato a Parigi il 28 agosto scorso, ha detto che l’Europa dovrebbe svolgere un ruolo più importante a Gaza. “Dal 2002, l’Europa ha fatto molto per ricostruire e sviluppare la Palestina (…) ma non può essere semplicemente un bancomat utilizzato per sanare le ferite dopo un conflitto ricorrente”, egli ha detto.
Riferendosi alla proposta in nuce di creare a Gaza una missione di osservatori sotto l’egida dell’Unione europea, Hollande ha aggiunto: “Gaza non può essere più una base militare per Hamas né una prigione a cielo aperto per i suoi abitanti. Dobbiamo procedere verso una revoca progressiva del blocco e la smilitarizzazione del territorio”.
La missione degli osservatori dell’Ue – promossa dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dalla Germania e istituita da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – dovrebbe stazionare al valico di Rafah, al confine tra l’Egitto e la Striscia di Gaza. La missione sarebbe stata incaricata di impedire il contrabbando di armi a Gaza e assicurare che le forniture edilizie come il cemento e i prodotti in metallo vengano utilizzati per i progetti di ricostruzione civile e non per la costruzione di tunnel e razzi.
Secondo i media tedeschi, la missione sarebbe “più politica che militare”, il che significa che non avrebbe il compito di disarmare Hamas.
Il governo israeliano ha insistito sul fatto che la ricostruzione di Gaza deve essere legata alla sua smilitarizzazione. “Il processo volto a impedire che le organizzazioni terroristiche si armino deve far parte di qualsiasi soluzione proposta e la comunità internazionale deve chiederlo energicamente”, è quanto asserito il 28 luglio scorso dal premier israeliano Benyamin Netanyahu.
Questa richiesta è stata reiterata dal ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman. In un articolo titolato “Mettete via le armi e poi parleremo”, pubblicato dal magazine Foreign Policy il 27 agosto, Lieberman ha scritto: “Dovrebbe quindi essere del tutto ovvio che se Hamas non sarà disarmato e i suoi unici strumenti di controllo non saranno rimossi, non ci sarà pace né sicurezza”. Egli ha continuato dicendo:
Qualsiasi discussione sull’apertura dei punti di passaggio che controllano l’accesso a Gaza, sull’allargamento della zona di pesca per gli abitanti della Striscia o qualsiasi altra misura necessaria per la rivitalizzazione della Striscia di Gaza e dei suoi abitanti non può aver luogo se l’area è occupata e terrorizzata da Hamas.
Israele appoggia pienamente un ampio sforzo internazionale per fornire tutti i mezzi necessari per ricostruire le infrastrutture civili e l’economia di Gaza, a condizione che vi sia un concertato sforzo parallelo volto a impedire che Hamas si riarmi con sistemi d’armamenti e ricostruisca la sua infrastruttura terroristica. A Hamas non può essere consentito di ricostruire la sua forza militare e di ostacolare gli aiuti internazionali diretti ai residenti palestinesi.
Lieberman ha anche sottolineato che il disarmo di Hamas e degli altri gruppi terroristici palestinesi è un elemento essenziale di una lunga lista di accordi e intese raggiunti tra Israele e i palestinesi. Tra essi, l’accordo di Oslo II firmato nel 1995, il memorandum di Wye River negoziato nel 1998 e la cosiddetta Road map approvata dall’Autorità palestinese nel 2003.
Ma il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, ha promesso solennemente che il gruppo non sarà mai disarmato. “Le armi della resistenza sono sacre e noi non accetteremo che siano tra le priorità all’ordine del giorno” dei futuri negoziati con Israele, egli ha detto il 29 agosto. “La questione non va discussa nel corso dei negoziati. Nessuno può disarmare Hamas e la sua resistenza”.
Meshaal ha anche asserito che il conflitto tra Israele e Hamas non è finito. “Questa non è la fine. È solo una pietra miliare per raggiungere il nostro obiettivo (distruggere Israele), sappiamo che Israele è forte ed è aiutato dalla comunità internazionale”, ha chiosato Meshaal. “Non metteremo limiti ai nostri sogni e non scenderemo a compromessi”.
Hamas – un gruppo islamista il cui scopo è la distruzione di Israele – probabilmente ricorrerebbe alla violenza per contrastare qualsiasi tentativo di disarmare il gruppo. È quindi altamente improbabile che gli europei affronterebbero Hamas in modo proficuo.
La riluttanza a disarmare Hamas ha molto in comune con il fallimento nel disarmare Hezbollah. Nel settembre 2004, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approvò la Risoluzione 1559, che chiedeva, tra le altre cose, il disarmo e lo scioglimento di tutte le milizie libanesi e non libanesi.
Il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah respinse categoricamente la Risoluzione 1559 poiché a suo dire l’organizzazione è un “movimento di resistenza”. Nasrallah asserì:
Non ci consideriamo una milizia. Il governo libanese non ci considera una milizia, il Parlamento non ci considera una milizia e la maggior parte della popolazione libanese non ci considera una milizia. Pertanto, la risoluzione non si può applicare a noi.
Nel maggio 2006, il Consiglio di Sicurezza adottò la Risoluzione 1680 che reiterava la “richiesta di una piena applicazione di tutti i requisiti della Risoluzione 1559 (…) e ha chiesto ulteriori sforzi per sciogliere e disarmare tutte le milizie libanesi e non libanesi e per ripristinare integralmente il controllo del governo libanese su tutto il territorio libanese”.
Nell’agosto 2006, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò la Risoluzione 1701, che pose fine alla guerra di trentaquattro giorni iniziata con la cattura da parte di Hamas di due soldati israeliani in un raid transfrontaliero. Durante il conflitto, Hezbollah lanciò su Israele oltre 4000 razzi e missili, uccidendo 44 civili. La Risoluzione chiedeva il disarmo di tutti i gruppi armati in Libano, incluso Hezbollah. Essa chiedeva anche:
la piena attuazione dei ogni regolamento previsto dagli accordi di Taif e dalle risoluzione 1559 (del 2004) e 1680 (del 2006), che obbligano il disarmo di tutti i gruppi armati presenti sul territorio libanese, in modo tale che non possono esserci armi o autorità in Libano se non quelle dello Stato libanese, come sancito dall’esecutivo il 27 luglio del 2006.
In fin dei conti – come accade ora – i leader di tutto il mondo sembravano maggiormente preoccupati di evitare che Israele si difendesse da solo piuttosto che essere interessati a disarmare i gruppi terroristici islamici che iniziarono a combattere attaccando lo Stato ebraico.
Durante la sua visita a Haifa del luglio 2006, l’allora ministro degli Esteri francese Philippe Douste-Blazy dovette mettersi al riparo dai razzi Katyusha lanciati da Hamas. Allora, Douste-Blazy disse: “La prima condizione per un cessate-il-fuoco è naturalmente il disarmo di Hezbollah”.
Anche il presidente francese Jacques Chirac mise in guardia contro una continua presenza armata di Hezbollah nel sud del Libano. E in un’intervista radiofonica a Parigi egli disse: “È assolutamente normale avere una corrente che esprime politicamente ciò che parte dell’opinione pubblica libanese pensa di Hezbollah (...) Quello che è inaccettabile è esprimerlo ricorrendo all’uso della forza, con milizie armate. Nessun paese accetta che parte del proprio territorio sia controllato da milizie armate”.
Il ministro della Difesa francese, la signora Michèle Alliot-Marie, promise che le forze di pace francesi avrebbero operato secondo “regole d’ingaggio forti” in modo tale che la missione Unifil agisse “con rigore e forza, se necessario”. Ella dichiarò: “Sono queste le condizioni necessarie per cui la Forza sia credibile e dissuasiva”.
Ma non appena la Francia assunse il comando di un’Unifil “rafforzata”, che includeva un contingente di 7000 soldati europei, il disarmo di Hezbollah non fu più un argomento all’ordine del giorno. A quanto pare, i funzionari francesi ebbero paura che Nasrallah potesse attivare le cellule dormienti di Hezbollah nelle città francesi.
“Il disarmo di Hezbollah non è compito dell’Unifil”, sono le parole pronunciate nel settembre 2006 dal comandante francese dell’Unifil, il generale di divisione Alain Pellegrini. “Si tratta di una questione prettamente libanese, che dovrebbe essere risolta a livello nazionale”.
Alcuni giorni dopo, la Francia divenne protettrice di Hezbollah, quando, stando a quel che si dice, i jet dell’aeronautica militare francesi pattugliarono i cieli sopra Beirut durante il discorso pronunciato da Hassan Nasrallah per festeggiare la vittoria. Sembra che i francesi stessero proteggendo Nasrallah dagli assassini israeliani.
A fine settembre, quattro tank dell’Unifil presidiati da soldati francesi fecero scudo ai terroristi di Hezbollah per bloccare i tank israeliani che cercavano di fermare la pioggia di colpi di mortaio su Israele. Poche settimane più tardi, i comandanti del contingente francese dell’Unifil avvertirono che avrebbero aperto il fuoco contro gli aerei da guerra israeliani se questi avessero continuato a effettuare voli di ricognizione sul Libano in cerca di spedizioni clandestine di armi.
Nel frattempo, l’allora segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, respinse ogni responsabilità di disarmare Hezbollah. “Sia chiaro che le truppe dell’Unifil non si recano lì per disarmare”, furono le sue parole. “In base all’accordo, sarebbe stato compito dei libanesi disarmare Hezbollah”, disse Annan sapendo bene che il governo libanese – esautorato da Hezbollah – non avrebbe potuto farlo da solo.
L’Unifil non solo non fece nulla per disarmare Hezbollah, ma non fece neanche nulla per impedire al gruppo di riarmarsi, anche dopo che il suo rappresentante in Iran, Muhammad Abdullah Sif al-Din, si vantò del fatto che Nasrallah fosse in possesso di un nuovo piano strategico di riarmo in vista “del prossimo ciclo di violenze contro Israele”.
Già nell’ottobre 2006, Terje Roed-Larsen, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per il Libano, sosteneva che “in Libano ci sono armi provenienti da oltre confine”. Nell’aprile 2007, Walid Jumblatt, un importante politico libanese, disse all’emittente televisiva Al-Jazeera che gli agenti dei servizi di sicurezza libanese stavano aiutando i guerriglieri Hezbollah a contrabbandare armi attraverso il confine poroso con la Siria. A giugno di quell’anno, Roed-Larsen avvertì il Consiglio di Sicurezza dell’esistenza di “un quadro allarmante e profondamente inquietante” di “un flusso costante di armi e di elementi armati attraverso il confine con la Siria”.
Allo stesso tempo, Hezbollah cominciò a fare pressioni contro l’Unifil. Nel giugno 2007, ad esempio, sei soldati spagnoli furono uccisi da un’autobomba, pochi giorni dopo che il contingente di pace spagnolo scoprì un deposito segreto di armi di Hezbollah nel sud del Libano. Il messaggio inviato dal movimento sciita libanese alla Spagna era: “Fatti gli affari tuoi”.
A meno di un mese da quelle uccisioni, emerse che agenti dell’intelligence spagnola si erano incontrati segretamente con gli operativi di Hezbollah, che accettarono di fornire delle “scorte” per proteggere le pattuglie del contingente spagnolo dell’Unifil. In cambio, le truppe spagnole avrebbero volto lo sguardo altrove mentre Hezbollah si sarebbe riarmato per la sua prossima guerra con Israele.
Nel novembre 2009, la marina militare israeliana intercettò una nave che trasportava 500 tonnellate di armi, razzi e missili iraniani destinati a Hezbollah. Nell’aprile 2010, l’ex-segretario alla Difesa statunitense Robert Gates disse che Hezbollah “ha più missili di quanti ne abbia la maggior parte dei governi del mondo”. Nel marzo 2011, un rapporto d’intelligence delle IDF rivelò che Hezbollah aveva costruito circa un migliaio di impianti militari in tutto il Libano meridionale. Gli impianti includevano oltre 550 bunker di armi e 300 strutture sotterranee.
Nel frattempo, Hezbollah intensificò gli attacchi contro i contingenti di pace europei nel sud del Libano. Nel maggio 2011, sei militari italiani rimasero feriti nell’esplosione di un ordigno esploso al loro passaggio nella città meridionale di Sidone. A luglio, cinque caschi blu francesi rimasero feriti in un attentato dinamitardo nella stessa zona. A dicembre, ad altri cinque soldati francesi toccò la stessa sorte nella città costiera meridionale di Tiro.
Piuttosto che affrontare Hezbollah negli attacchi, i governi di Francia, Italia e Spagna si acquattarono e annunciarono il ritiro di un numero significativo delle loro truppe dal Libano.
Nel gennaio 2012, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon chiese il disarmo di Hezbollah. “Sono profondamente preoccupato per la capacità militare di Hezbollah e per la mancanza di progressi nel suo processo di disarmo (…) Tutte queste armi, al di fuori dell’autorità statale, non sono accettabili”, egli affermò.
Nasrallah rispose con scherno e disprezzo: “La vostra preoccupazione, segretario generale, ci rassicura e ci piace. Ciò che conta per noi è che siete preoccupati, e che l’America e Israele sono preoccupati con voi”, egli asserì.
Nel luglio 2013, l’Ue annunciò che avrebbe inserito parte di Hezbollah nella sua lista nera del terrorismo, apparentemente per tagliare le risorse fonti di finanziamento dirette al gruppo militante sciita e provenienti dall’Europa. Ma in una classica soluzione di ripiego, i governi europei decisero di iscrivere nella lista nera del terrorismo solo l’ala “militare” di Hezbollah, lasciando così intendere che può essere tracciata una netta distinzione tra i terroristi di Hezbollah e quei membri dell’ala “politica” del gruppo.
In seguito alle decisione dell’Unione europea, Ibrahim al-Amin, direttore del quotidiano pro-Hezbollah Al-Akhbar, espresse delle velate minacce di conseguenze “militari” per i membri europei dell’Unifil, che a detta di Amin ora operavano “dietro le linee nemiche”.
Tutto questo mentre Hezbollah continuava a costruire un arsenale di armi sempre più potenti e in grado di raggiungere e colpire sempre più in profondità Israele. Secondo le Forze di difesa israeliane, il gruppo militante sciita si è procurato dalla Siria dei sofisticati missili terra-aria a lungo raggio. Il gruppo ha inoltre acquisito degli avanzati sistemi missilistici filoguidati in vista del prossimo conflitto con Israele.
Secondo il generale di brigata Itay Baron, a capo della divisione di ricerca dell’intelligence militare per le IDF, Hezbollah è ora in possesso di circa 65.000 razzi e missili, un numero maggiore rispetto a quello che annoverava alla vigilia della guerra del 2006. Nasrallah ha accennato a questo riarmo annunciando che un futuro attacco a Israele avrebbe “trasformato la vita di migliaia di sionisti in un inferno vivente”.
Nel corso degli ultimi otto anni di leadership europea dell’Unifil, Hezbollah è riuscito a riarmarsi di tutto punto mentre i soldati europei sono rimasti a guardare senza muovere un dito. Ciò che è chiaro è che i leader europei non si sono mai impegnati a onorare la lettera e lo spirito delle Risoluzioni 1559, 1680 e 1701 delle Nazioni Unite, tutte volte a impedire il riarmo di Hezbollah. E allora perché ora si dovrebbe confidare nel fatto che gli europei riusciranno a garantire il disarmo o potranno impedire il riarmo di Hamas?
Traduzione a cura di Angelita La Spada
(*) Gatestone Institute
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:46