Pochi mesi prima di uccidere quattro persone al Museo ebraico di Bruxelles, il 24 maggio scorso, Mehdi Nemmouche, un musulmano francese, era stato scarcerato e aveva già aderito allo Stato islamico (all’epoca chiamato Isis). Dopo la strage, Nemmouche uscì indisturbato dal Museo e fu identificato dalle immagini registrate dalle videocamere di sorveglianza. L’uomo venne arrestato due giorni dopo a Marsiglia durante un normale controllo antidroga, nel corso del quale egli stesso ammise di essere diretto in Algeria. Aveva con sé delle armi e una bandiera nera dello Stato islamico (SI).
La polizia francese sapeva perfettamente chi fosse. Malgrado tutto questo, Nemmouche non fu sottoposto a un regime di stretta sorveglianza. L’uomo sarà processato in Belgio, dove rischia una condanna all’ergastolo – ma tale pena detentiva in Belgio e in Francia non supera i ventidue anni di carcere. Nemmouche non starà ventidue anni in prigione. Sarà rilasciato prima per buona condotta. In Belgio e in Francia quasi tutti i detenuti hanno uno sconto di pena per buona condotta. Il fatto che sia un recidivo e che sia già stato condannato sette volte per rapina e aggressione non deporrà a suo sfavore: in Belgio e in Francia, la recidività non è considerata una circostanza aggravante ma non viene quasi mai presa in considerazione nelle sentenze emesse dai tribunali. In carcere, passerà il suo tempo in compagnia di persone che condividono le sue idee e riuscirà a collegarsi alle reti jihadiste. Nelle prigioni belghe e francesi, i detenuti sono in gran parte musulmani, molti dei quali radicali; e le reti jihadiste sono onnipresenti. Una volta uscito dal carcere, Nemmouche molto probabilmente tornerà a far parte dello Stato islamico, sempre se lo vorrà e se lo SI esisterà ancora.
Il percorso di Nemmouche assomiglia a quello di un altro musulmano francese, Mohamed Merah, che nel marzo 2102 uccise tre soldati francesi e quattro ebrei nella parte sudoccidentale della Francia. Merah come Nemmouche ha alle spalle diverse condanne e si è unito a varie organizzazioni islamiche, in Afghanistan ma non in Siria. Anche lui è tornato in Francia pronto a uccidere, e lo ha fatto. La polizia francese sapeva chi fosse Mohamed Merah. E anche in questo caso non lo sottopose a un regime di stretta sorveglianza. La differenza principale tra i due uomini è che Merah ha scelto di morire in una sparatoria con la polizia. E proprio per questo è diventato un eroe per molti giovani musulmani europei.
All’epoca del caso Merah, a dispetto dell’evidenza, il governo francese aveva avanzato la teoria del “lupo solitario” respingendo ufficialmente l’idea del jihad, anche se sono stati effettuati degli arresti negli ambienti islamisti. Quando Nemmouche fu arrestato, il ministro dell’Interno francese utilizzò parole più ardite: parlò di “reti jihadiste” e di “problemi” nel sistema carcerario francese. Disse anche che 700 giovani francesi si trovavano nei campi di addestramento in Siria e che avrebbero potuto tornare da un momento all’altro. Le autorità belghe usarono parole simili. Menzionare il jihad e parlare dell’esistenza di “problemi” nelle carceri sono stati dei passi compiuti nella giusta direzione.
Il guaio è che quasi certamente di questi passi non ne saranno fatti altri. Gilles de Kerchove, il coordinatore antiterrorismo dell’Unione europea, di recente ha detto che oltre 700 musulmani francesi sono attualmente in Siria tra le milizie jihadiste. I dati disponibili mostrano che ci sono anche numerosi musulmani di nazionalità belga, e molti altri musulmani provenienti dal resto d’Europa. I servizi di sicurezza del Belgio stimano che il numero dei jihadisti europei presenti in Siria possa superare i 4000. Pare che siano stati creati interi reparti combattenti europei. I leader di Francia e Belgio non sono riusciti a porre in essere e a gestire delle adeguate misure di sicurezza né a controllare gli individui sospetti – anche quelli che potrebbero entrare in azione.
Questi leader non cercano neanche di ristabilire l’ordine nelle carceri. I capi di governo tengono d’occhio i paesi che sono rovinati finanziariamente, che sono alle prese con stagnazioni e con un’immigrazione controllata miseramente e vigilano sugli effetti iniqui dei sistemi di welfare sulla redistribuzione delle risorse permettendo così il proliferare della povertà e distruggendo l’occupazione – gli effetti collaterali del multiculturalismo. Essi non hanno né la volontà né le risorse per affrontare tutti i costi necessari. I capi di governo sanno che se tentassero di fare qualcosa, presto dovrebbero far fronte alle sommosse che scoppierebbero nelle zone off limits (per lo più abitate da musulmani) sparse nelle periferie di molte città. Sanno che dovrebbero assumere migliaia di agenti di polizia e che non potrebbero escludere l’utilizzo dell’esercito.
Sanno che avrebbero presto a che fare con dei magistrati molto riluttanti e ostili. In Belgio e in Francia, i giudici sono dei funzionari permanenti e inamovibili, e la maggioranza di essi sposa delle idee economiche basate sulla redistribuzione della ricchezza. Le loro politiche sono contrarie alla crescita, non permettono alla gente nessuna opportunità economica e sono in primo luogo la causa delle crisi economiche che attanagliano l’Europa. Gli Stati Uniti sembrano accettare queste politiche del tutto fallimentari. Il principale sindacato dei magistrati francesi, “il sindacato della magistratura” è vicino a un’organizzazione neo-comunista, “il Front de Gauche”. I capi di governo sanno che dovrebbero affrontare le organizzazioni “anti-razziste” completamente dedite alla lotta contro “l’islamofobia”: le potenti lobby islamiche ben finanziate, gli imam delle moschee più importanti e la maggior parte dei giornalisti dei mainstream media, che forniscono l’informazione ufficiale. I capi dei governi sanno anche che dovrebbero correre il rischio di perdere le elezioni.
Nella maggiori città del Belgio e della Francia, il voto musulmano ha un peso sempre maggiore. Bruxelles, la città teatro della strage perpetrata da Mehdi Nemmouche, è al 30 per cento musulmana. Roubaix, la città natale di Nemmouche, è islamica al 60 per cento. Il numero delle città dove la popolazione è a larga maggioranza musulmana continua ad aumentare. I capi di governo sanno che quanto sta accadendo in Belgio e in Francia può essere ravvisato in varia misura in tutti i paesi europei e che il problema che li affligge è davvero un problema di tutta l’Europa. I capi di governo di tutti i principali paesi europei sanno che centinaia di jihadisti europei ben addestrati si trovano in Siria e qualcuno di loro farà ritorno. Essi non ignorano che qualcuno è già tornato in Europa e che gli attacchi terroristici non sono improbabili. Sanno perfettamente che se i jihadisti europei sono centinaia, quelli che appoggiano il jihadismo in Europa probabilmente sono decine di migliaia. Nelle recenti manifestazioni di protesta a favore della “causa palestinese” che si sono svolte in tutta Europa, erano numerose le bandiere di Hamas, Hezbollah e dello Stato islamico, e tantissimi erano gli slogan espliciti.
I governi di tutti i più importanti paesi europei non ignorano che molti degli Stati di cui sono alla guida versano in gravi difficoltà finanziarie, sono alle prese con stagnazioni, con un’immigrazione controllata miseramente, con delle politiche che ritardano la crescita economica e con i risultati del multiculturalismo. Essi sanno bene che molte carceri europee sono focolai di jihad e che proliferano le zone off limits (abitate in prevalenza da musulmani). Non minimizzano i rischi reali delle sommosse e sanno che i magistrati agiscono sotto l’influenza di idee che da un secolo dimostrano di essere inefficaci – in Russia, a Cuba e altrove – e che tuttavia sono ancora sfruttare dappertutto in Europa. I governi non possono ignorare l’esistenza in ogni paese di organizzazioni “anti-razziste” e di lobby islamiche, di imam e giornalisti, che sono quasi esattamente simili a quelli presenti in Belgio e in Francia. Non possono trascurare il peso crescente dei voti musulmani in molte parti d’Europa. Possono spezzare alcune reti terroristiche, contrastare qualche attacco, privare alcuni terroristi della cittadinanza. Sanno di essere in balia di una situazione che non riescono più a controllare. Il loro atteggiamento è dettato dalla paura di trovarsi di fronte a problemi più seri degli omicidi: alcuni servizi antiterrorismo europei dicono che è possibile, anzi probabile, che in Europa venga sferrato un attacco armato in stile Mumbai.
L’atteggiamento dei governi può essere definito con una parola spesso usata per descrivere l’atteggiamento [conciliante, N.d.T.] di Daladier e Chamberlain nel 1938: appeasement. Le vittime di Merah e Nemmouche erano ebree. I politici europei si dicono pronti a proteggere gli ebrei che vivono in Europa, ma hanno paura di offendere chi attacca gli ebrei. Essi condannano verbalmente “l’antisemitismo”, ma fingono volutamente di non cogliere la natura islamica di quasi tutti gli atti antisemiti perpetrati oggi in Europa. I politici europei si rendono conto che gli autori degli atti antisemiti sono strettamente associati all’odio verso gli ebrei e Israele. Essi sembrano pensare che se asseriscono: “Ciò che accade in Medio Oriente deve rimanere circoscritto lì”, così sarà. Sembrano pensare in modo illusorio che criticando duramente Israele mentre affermano che gli ebrei europei non hanno niente a che fare con lo Stato ebraico, essi potranno evitare impeti ben peggiori. Sembrano incapaci di vedere che i social media esistono e che quanto accade in Medio Oriente non è circoscritto a quella regione.
Ciò li induce a fare delle distinzioni implicite tra i “buoni” ebrei europei che non vedono, non sentono, non parlano e si comportano come dei “veri cittadini europei” e i “cattivi” ebrei europei che osano denunciare l’odio islamico, esprimono le loro simpatie per Israele e si comportano da “facinorosi”. Nei principali quotidiani e magazine si possono trovare articoli che denunciano gli ebrei “cattivi”. Christophe Barbier, direttore del settimanale francese L’Express ha scritto di recente che gli ebrei francesi che sono preoccupati per l’aumento di atti antisemiti da parte degli islamici sono “paranoici”. Egli ha aggiunto, in modo un po’ surreale, che gli ebrei che lasciano la Francia sono dei “traditori” e seguaci di “Belzebù”. In un altro articolo della stessa rivista, le organizzazioni ebraiche francesi sono state accusate di svolgere un ruolo importante nell’intensificarsi dell’antisemitismo in Francia, essendo esse “troppo vicine a Israele”. Qualcuno è mai stato accusato di essere “troppo vicino” alla Corea del Nord, alla Russia o all’Iran? Dall’inizio del conflitto di Gaza, i leader europei hanno diretto le loro osservazioni più sgradevoli contro lo Stato ebraico.
Nessuno di essi si è chiesto perché le organizzazioni palestinesi di Gaza abbiano nascosto i loro depositi di armi negli ospedali, nelle case, nelle scuole e nelle moschee o abbiano sistemato i loro centri di comando e controllo sotto gli edifici residenziali o gli ospedali. Nessuno di loro ha mai detto che Hamas è un’organizzazione terroristica, nonostante il suo statuto genocida. Di fronte agli orrori nel nord dell’Iraq, solo tre paesi europei – Francia, Regno Unito e Germania – hanno deciso di fornire aiuti umanitari e consegnare forniture militari alle forze curde. Gli altri paesi si sono cautamente astenuti dal farlo. Pochi giorni fa, il premier britannico David Cameron si è detto preoccupato che lo Stato islamico potrebbe diventare abbastanza forte da “colpire la gente nelle strade della Gran Bretagna”, ma ha aggiunto di non aver preso in considerazione l’ipotesi di un intervento militare. Il fatto che l’uomo che ha barbaramente decapitato James Foley parlasse con un accento da Est London ha indotto le autorità britanniche a indagare chi fosse: la decapitazione è stata immediatamente considerata un atto criminoso e non un atto barbarico di guerra.
L’uccisione di Lee Rigby, il 22 maggio 2013, fu considerata un semplice omicidio: il giudice che condannò i due killer disse che “le idee estremiste” espresse da entrambi gli imputati durante il processo erano un “tradimento dell’Islam”. Nei media europei, lo Stato islamico è ora definito “un’organizzazione terroristica”, mai un’organizzazione islamica. Il gran mufti dell’Arabia Saudita ha detto di recente che “lo Stato islamico è nemico dell’Islam”. Molti quotidiani europei hanno immediatamente ripreso nei titoli quanto da lui asserito. Nei principali giornali europei, Hamas non è mai definita un’organizzazione islamica o anche terroristica: la si considera un “movimento di resistenza”. Gli ebrei europei percepiscono l’odore nell’aria, e molti di loro stanno facendo i bagagli. Vedere che i giornalisti li definiscono “traditori” e seguaci di “Belzebù” non li induce a fargli cambiare idea.
Gli europei che non sono né ebrei né musulmani percepiscono che la situazione sta rapidamente diventando molto instabile e pericolosa. Essi avvertono, a ragione, che i loro leader politici non dicono la verità. I recenti sondaggi mostrano che in quasi tutti i paesi europei, la grande maggioranza della gente è pessimista, si aspetta il peggio e non ha fiducia nei politici, nelle istituzioni governative e nei media. Altri sondaggi mostrano altresì che nella maggior parte dei paesi europei, una maggioranza ancora più ampia rifiuta e detesta l’Islam. I partiti xenofobici sono in aumento. Nel suo volume L’ultima rivoluzione dell’Europa: l’immigrazione, l’Islam e l’Occidente, pubblicato [anche in Italia, N.d.T.] nel 2009, Christopher Caldwell ha osservato che “l’Europa potrebbe non restare la stessa se abitata da una popolazione diversa [da quella europea]”. E ha aggiunto che in Europa è impossibile avviare qualsiasi dibattito sull’impatto e i pericoli dell’Islam perché “gli islamisti violenti intimidiscono e minacciano”.
Egli ha inoltre asserito che i trend demografici e l’ascesa dell’Islam radicale in Medio Oriente non stanno a indicare che la situazione migliorerà. Oggi, a distanza di cinque anni, è chiaro che aveva ragione. L’Europa si sta dirigendo verso un futuro sempre più incerto. Oggi, rispetto a cinque anni fa, è sempre meno possibile avviare dei dibattiti sull’impatto e sui pericoli dell’Islam. I trend demografici si muovono irreversibilmente in una direzione musulmana. L’Islam radicale in Medio Oriente e in Europa avanza sempre più rapidamente, senza che nessuno muova un dito per fermarlo.
Traduzione a cura di Angelita La Spada
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45