Il drone, per i non addetti ai lavori, è un piccolo aeromobile, controllato a distanza da un pilota. Inventato negli Stati Uniti negli anni Trenta, venne perfezionato durante il periodo della Guerra fredda. Gli archivi storici americani hanno svelato che il fenomeno degli avvistamenti di oggetti volanti non identificati, i famosi Ufo, che avevano ispirato film, libri e alimentato teorie di invasioni di alieni dallo spazio negli anni Cinquanta e Sessanta, altro non erano che voli sperimentali di droni militari americani.
Dopo l’11 settembre e l’avvio della guerra al terrorismo internazionale, il drone è diventato, dagli Stati Uniti a Israele, dalla Siria all’Iraq e perfino a Gaza da Hamas, l’arma preferita per le operazioni militari in terra nemica. I responsabili militari vedono nella nuova arma la migliore tecnologia possibile e ne suggeriscono l’uso in tutti i teatri di guerra. Droni con missili letali possono librarsi per ore sopra potenziali bersagli, in attesa del momento più opportuno per colpire; possono uccidere sospetti terroristi con relativa precisione, anche se con qualche rischio di vittime civili.
Ancora meglio, i droni non mettono in pericolo le vite dei propri soldati; i piloti sono al sicuro e comodi nei loro centri di controllo, a migliaia di chilometri di distanza. Esistono diversi modelli di droni, il cui peso va da meno di un chilogrammo a diverse tonnellate, come l’americano Global Hawk della Northrop Grumman, che può volare a 40mila metri di altezza, in qualsiasi condizione meteo, da Langley in Virginia (sede del quartier generale della Cia) all’Afghanistan e ritorno senza scalo, o l’israeliano Eitan, un gigante da quattro tonnellate e mezzo di peso, 14 metri di lunghezza e 26 di apertura alare, capace di volare per 36 ore portandosi dietro mille chili di attrezzature fra bombe, missili e sistemi d'osservazione.
Finora, il mercato dei droni per uso militare è stato nelle mani degli Stati Uniti e di Israele. Negli ultimi anni anche la Cina e l’India hanno scoperto le potenzialità dei droni e hanno cominciato a produrne di propri con intento militare. Iran e Russia starebbero perfezionando prototipi armati e l’industria europea degli armamenti sta studiando alcuni progetti esecutivi. Gli Stati Uniti, dall’avvio delle operazioni in Afghanistan nell’ottobre del 2001 fino a oggi, hanno lanciato più di 1600 attacchi di droni in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Yemen, Somalia, Libia, perfino in un caso nelle Filippine. Israele ha colpito decine di leaders di Hamas con missili sparati da droni che volavano sopra il cielo della striscia di Gaza; anche nella crisi degli ultimi giorni, gli israeliani stanno usando molto i droni e Hamas ne ha addirittura lanciato un piccolo esemplare armato sui cieli israeliani che è stato abbattuto dalla contraerea. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Certo, la vita dei civili che hanno la sfortuna di vivere vicino ai cosiddetti obiettivi sensibili è cambiata con l’utilizzo sempre maggiore dei droni. Sanno di essere in costante pericolo: un missile può colpire la loro casa in qualsiasi momento senza preavviso, non si sa chi spara e da dove arriva il missile. E soprattutto non si sa come si può evitare di diventare un bersaglio.
La domanda che sorge è scontata: se terroristi noti, tipo i membri di Al Qaeda o di altre organizzazioni eversive possono essere bersagli ammessi, cosa c’entrano i loro vicini di casa, i loro familiari e perfino chi gli porta la spesa a domicilio, che ha la sventura di trovarsi nei pressi del bersaglio nel momento dell’attacco? E se qualcosa va storto, non c’è nessuno con cui lamentarsi. La Cia o il Mossad non dispongono di un “ufficio relazioni con il pubblico” al quale presentare denunce o lamentele e anche i governi dei paesi dove avvengono gli attacchi – vedi il Pakistan – non hanno alcun controllo sulle attività dei droni stranieri.
Il numero delle vittime civili innocenti, uccise negli attacchi dei droni, in quello che si chiama in gergo tecnico “danno collaterale non voluto” è segreto, come sono segrete gran parte delle missioni, ma supera le diverse migliaia. Se i droni possono essere un modo efficace per uccidere i terroristi, certo non sono il miglior modo per acquisire consenso tra le popolazioni civili dei Paesi attaccati.
Negli Stati Uniti un recente rapporto stilato da una commissione indipendente di esperti, ex alti funzionari del Pentagono e delle forze armate americane, presieduta dal generale in pensione John P. Abizaid, già comandante delle truppe di Washington in Iraq, ha sollevato molte riserve sull’uso indiscriminato dei droni. Secondo gli esperti, la Casa Bianca, sia sotto Bush ma ancor più nell’era Obama, ha mostrato troppa dipendenza sulla strategia delle uccisioni mirate con i droni, facendone un pilastro della guerra al terrorismo internazionale. Dopo un decennio di attacchi dei droni l’obiettivo non è stato realizzato: piuttosto che essere debellati, i gruppi terroristi si sono moltiplicati. L’uso diffuso e incontrollato di droni ha creato una reazione negativa verso gli Stati Uniti in tutto il mondo e non solo nei villaggi remoti in Pakistan e nello Yemen. Il generale in pensione Stanley McChrystal, dall’alto della sua esperienza di ex comandante americano in Afghanistan, ricorda come le operazioni dei droni hanno creato un forte risentimento verso gli americani da parte della popolazione civile.
Finora Cia, Pentagono, Mossad, Hamas e quanti hanno utilizzato i droni per operazioni militari, spesso per omicidi mirati hanno operato segretamente, in assenza di un quadro giuridico internazionale. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha in più occasioni criticato il ricorso ai droni per i raid militari, auspicando che la materia possa essere presto disciplinata dalle leggi internazionali, incluso il diritto umanitario.
Qualche tentativo di creare un quadro regolamentare si è fatto ultimamente, ma ci si è limitati agli aspetti riguardanti gli standard di sicurezza del volo. Non esiste invece un codice di condotta basato su principi etici, che impedisca il lancio del missile, per esempio in presenza di civili a rischio accanto all’obiettivo da eliminare. Per affrontare e risolvere tutti questi temi, la Commissione Europea ha costituito l’European rpas steering group (Ersg), formato dalle istituzioni comunitarie in stretta collaborazione con l’Agenzia europea di difesa (Eda).
Parallelamente, gli Usa hanno stanziato alcuni miliardi di dollari approvando la Faa modernization and reform act che comprende anche l’integrazione dei droni nello spazio aereo comune. Lo scorso maggio, il presidente Obama, in un discorso all’Accademia militare di West Point , ha riaffermato l’importanza strategica dei droni per la difesa nazionale ma ha riconosciuto la necessità di diminuirne il ricorso nella lotta antiterroristica in paesi stranieri e regolarne l’uso a livello internazionale. Obama ha anche emanato una direttiva presidenziale per trasferire l’uso letale dei droni dalla Cia al Pentagono.
Chi arriverà primo tra Stati Uniti ed Europa nella gara per scrivere una nuova legislazione internazionale per l’uso dei droni armati, fisserà gli standard mondiali per questo settore, privilegiando le tecnologie della propria industria e creando un vantaggio comparativo a danno della concorrenza. Forse è per questo, e non per il rimorso di migliaia di vittime civili innocenti, che i giuristi americani ed europei si sono messi finalmente al lavoro.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45