Qualcuno ascolti Garry Kasparov

La crisi in Ucraina non si placa e inizia un nuovo focolare di tensione: Donetsk, nell’Est del Paese. Proprio come in Crimea un mese fa, a Donetsk il movimento dei filo-russi, con manifestazioni massicce e una gran dimostrazione di forza, ha espugnato la sede del governo locale, proclamato la secessione dal governo di Kiev e chiesto l’annessione alla Russia. Se il Cremlino ha puntato a una strategia di “fette di salame” per conquistarsi l’Ucraina pezzo dopo pezzo, ci sta riuscendo. Di fronte a una Nato completamente imbelle (e da alcuni contestata perché starebbe facendo “già troppo”…), la Russia ha staccato dall’Ucraina una sua regione, l’ha annessa, ha violato confini internazionalmente riconosciuti, mosso le truppe al di fuori del proprio territorio. Perché non dovrebbe far lo stesso anche nell’Est ucraino? In una regione pianeggiante e abitata da russofoni, le divisioni regolari dell’esercito federale russo potrebbero avanzare facilmente, contro un esercito impreparato, senza dover affrontare grandi ostacoli fisici e in un ambiente sociale favorevole.

In attesa di vedere le prossime mosse del Cremlino, un giocatore di scacchi, Garry Kasparov, oppositore politico del presidente russo Vladimir Putin, non può muovere le sue pedine. Escluso dalla politica (anche per sua stessa volontà) e censurato dai media russi, non può far altro che parlare ad un pubblico occidentale, cercando di farsi capire. Il suo editoriale sul Washington Post, “It’s time to stop Putin” (è giunta l’ora di fermare Putin), è un manuale di politica estera dedicato a governi occidentali di buona volontà. Kasparov è convinto che siano due gli errori regolarmente commessi dagli strateghi occidentali.

Il primo è quello di concepire Vladimir Putin come un leader razionale la cui politica è volta a massimizzare gli interessi nazionali della Russia. Non è così. Tutte le previsioni sulle sue mosse future hanno sempre fatto cilecca. I “non dovrebbe far questo…” sono stati tutti smentiti dai fatti. Putin ha un solo interesse fondamentale, che è quello del suo mantenimento del potere. Tanto per dire, questa reazione di forza straordinariamente sproporzionata alla rivolta del Maidan in Ucraina, è motivata dal terrore che possa esserci un secondo Maidan anche sulla Piazza Rossa di Mosca. Per questo è disposto anche a rischiare una guerra, in modo del tutto irrazionale e imprevedibile, anche dietro le porte di casa. Il secondo errore occidentale è la propria volontà di auto-limitarsi, una mancanza di coraggio che si è già manifestata in tutta la sua deprimente evidenza anche durante il conflitto in Iraq e la guerra al terrorismo in generale. Oggi la maggior parte delle classi dirigenti statunitense ed europee, è convinta di non poter fare nulla di concreto per poter fermare l’avanzata russa. Le dichiarazioni distensive di John Kerry e Barack Obama non fanno altro che rafforzare, in Putin, l’impressione di trovarsi di fronte a un avversario debole. E dunque di procedere con la sua politica di annessione dell’Ucraina con sempre meno ostacoli.

In realtà, per Kasparov, basterebbe poco, pochissimo, senza rischiare una guerra. Se tutto ciò che interessa a Putin è la conservazione del potere, bisogna dividere il suo gruppo di potere. Non con la guerra, ma usando la leva delle sanzioni ad personam. Colpendo gli uomini dell’entourage di Putin, congelando completamente i loro immensi guadagni e gli ambiziosi investimenti nel mondo occidentale, si può realmente porli di fronte alla scelta: o la borsa, o la fedeltà al capo. E a questo punto molti di essi (che sono tutt’altro che fanatici idealisti) potrebbero optare per la salvaguardia della borsa. “I leader occidentali – scrive Kasparov – non devono far altro che seguire i soldi: colpire con sanzioni mirate le élite che sostengono Putin, tracciare i loro familiari che sono solidi nascondere le loro proprietà all’estero e ispezionare le loro aziende”. Non si tratta di fare guerre impossibili, o di distruggere l’import-export con la Russia. Ma solo di colpire pochi (loschi) figuri. Oggi basterebbe questo. Ma lo faremo? Mah…

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:46