Ucraina, crollano gli alibi di Putin

Chi ha sparato sui manifestanti del Maidan, negli ultimi due giorni di rivoluzione, dal 18 al 20 febbraio? La questione è di fondamentale importanza, perché è stata proprio l’azione di cecchini che hanno bersagliato i manifestanti a far degenerare la protesta fino a trasformarla in rivoluzione. Quei 76 morti, provocati dalla repressione, hanno provocato la caduta del presidente Yanukovych, facendo fallire anche l’ultimo accordo di mediazione promosso dall’Ue il 21 febbraio.

Data l’importanza della vicenda, l’informazione russa ha subito diffuso la sua versione dei fatti, ripresa immediatamente anche dagli organi di stampa italiani più filo-russi: i cecchini non erano poliziotti ucraini e neppure agenti russi, ma mercenari al soldo dei partiti dell’opposizione, mandati lì apposta per provocare una reazione di forza dei manifestanti. Ad affermarlo è sempre stato l’ex presidente Yanukovych (che lo ha ribadito anche nelle sue ultime interviste, rilasciate dal suo esilio russo), una fonte medica ucraina (che però non si è detta così certa) e, apparentemente, anche il ministro degli Esteri estone Urmas Paet, in una sua telefonata alla baronessa Ashton, intercettata dai servizi russi e ripubblicata subito su YouTube in un video diventato virale.

Questa versione dei fatti, tuttavia, è apparsa da subito strana, così come sono cacofoniche tutte le teorie del complotto, più o meno interessate, secondo cui una parte si sarebbe auto-inflitta danni per provocare una qualsivoglia reazione di forza. La tesi della “strategia della tensione” va da sempre molto di moda in Italia e qui ci hanno creduto tutti (così come moltissimi danno ancora credito alla teoria dell’11 settembre visto come “inside job” americano), ma di settimana in settimana, le prove della versione russa si sono smontate gradualmente.

Prima di tutto, la presunta fonte medica che per prima aveva parlato di cecchini al soldo dell’opposizione, è stata anche la prima a ritrattare. Contemporaneamente, anche il ministro estone ha spiegato di essere stato frainteso. Nella sua telefonata parlava, al massimo, della necessità di svolgere un’inchiesta sui cecchini, ma non attribuiva affatto la colpa all’opposizione in piazza. Infine, solo il presidente Yanukovych continua a sostenere la tesi dei cecchini ribelli che sparano sui loro compagni di lotta per provocarli. Ma, dall’alto del suo esilio russo, è ancora credibile? L’inchiesta, il nuovo governo provvisorio, l’ha avviata veramente. E in tempi record, ha già pubblicato i primi risultati ieri. Il ministro dell’Interno Arsen Avakov ha individuato, quali responsabili del massacro, 12 membri dei Berkut, le ex teste di cuoio della polizia, un corpo che è stato sciolto nei primi giorni successivi alla rivoluzione. Anche alcuni agenti dell’unità Alfa (corpo operativo dei servizi segreti) avrebbero partecipato alla sparatoria. Secondo i risultati dell’inchiesta, il precedente governo filo- russo avrebbe anche cercato di insabbiare le prove, bruciando divise e documenti e nascondendo le armi. Quegli stessi agenti che hanno sparato sarebbero poi tutti fuggiti in Crimea, sotto la protezione dei russi. Non a caso, prima ancora di annettere la penisola del Mar Nero, la Russia ha distribuito passaporti, prima di tutto, ai membri dei Berkut. L’Fsb, discendente russo del Kgb, avrebbe una responsabilità almeno indiretta nel massacro, avendo inviato armi e consiglieri alle forze di sicurezza ucraine.

L’allora presidente Yanukovych avrebbe, invece, una responsabilità diretta, avendo lui personalmente autorizzato l’uso della forza. Volodymyr Krashevsky, ex ufficiale dei Berkut e attuale leader dell’associazione dei veterani dell’ex corpo speciale della polizia, nega che i suoi ex commilitoni fossero responsabili della strage. Tuttavia non addita alcun altro presunto colpevole. Chiaramente l’inchiesta è ancora all’inizio e condotta in circostanze a dir poco caotiche. Per avere risultati chiari si dovranno ancora attendere settimane. Ma sembra ormai abbastanza chiaro che si debba escludere la pista dei “mercenari” pagati dai partiti d’opposizione per sparare sui loro stessi dimostranti.

Con la storia dei cecchini, in questi giorni, viene smontato un altro alibi dei russi: quello dei presunti nazisti al comando dell’insurrezione del Maidan. I nazionalisti di Pravy Sektor, infatti, sono attualmente in disarmo. Il governo, dal fine settimana scorso, sta sequestrando loro tutte le armi, correndo anche il forte rischio di far scoppiare disordini e scontri a fuoco, come quelli avvenuti la settimana scorsa. L’esecutivo provvisorio, infatti, vuole arrivare “pulito” alle elezioni del prossimo 25 maggio: quando la popolazione sarà chiamata a votare, non devono esserci milizie armate a intimidirla. E finisce anche l’alibi dell’intervento russo “chiesto” dall’ex presidente Yanukovych: nonostante sia in esilio in Russia, ha definito l’annessione della Crimea “una tragedia”, nella sua intervista rilasciata alla Associated Press.

D’altra parte, un sondaggio commissionato proprio dal suo governo, in febbraio, rilevava che il 59% della popolazione della Crimea fosse contraria a un’eventuale annessione alla Russia. Mentre, non si sa come, sotto il controllo delle truppe del Cremlino, il 97% della popolazione avrebbe votato per l’annessione. Qualche cifra non torna. E si capisce perché l’Onu, dove pure Mosca ha un ruolo molto influente, abbia dichiarato l’illegalità del referendum e dell’annessione di una regione ucraina alla Federazione Russa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:50