Guantanamo, Mahmoud Mujahid, yemenita, miliziano di Al Qaeda, presunta ex guardia del corpo di Bin Laden, catturato dagli americani nel 2002, potrebbe tornare a piede libero. La decisione definitiva non è ancora stata presa, ma lo ha annunciato ieri un portavoce del Pentagono, David Remes: “Non avrebbe mai dovuto essere trattenuto e ora, dopo 12 anni, è giunto il momento di permettergli di ricongiungersi con i suoi familiari”. D’altra parte Bin Laden è pure morto. Sulla non pericolosità del prigioniero si era già espressa la commissione su Guantanamo voluta da Barack Obama all’inizio del suo primo mandato (2009), quando intendeva ancora mantenere la promessa elettorale di chiudere subito il grande campo di prigionia per terroristi.
L’ex guardia del corpo di Bin Laden non è neppure processabile in un tribunale civile o militare. È detenuto in forza del suo ruolo (che per di più è presunto: non esistono incarichi ufficiali in un movimento segreto terrorista), del momento in cui è stato catturato, ma non ci sono prove legalmente raccolte sulla sua attività anti-americana. Tuttavia, vuoi per sicurezza, vuoi per lungaggine burocratica, ma il nome di Mahmoud Mujahid è rimasto, in questi cinque anni, nella lista delle persone detenute più pericolose. Un non-liberabile, insomma. Amnesty International e Human Rights Watch hanno sempre contestato Guantanamo per le sue detenzioni arbitrarie, senza processo, senza prove, in territorio extra-giudiziario. In una logica prettamente giuridica le associazioni per la difesa dei diritti umani hanno perfettamente ragione.
Sempre che si accetti di equiparare il terrorista a un criminale internazionale. Il problema è capire dove finisce il crimine e dove inizia la guerra. Un criminale si arresta, si rispettano i suoi diritti, è considerato innocente fino a prova contraria, lo si priva della sua libertà (o della sua vita) solo dopo una condanna, motivata da prove e testimoni. Un nemico si deve invece combatterlo, senza neppure chiedergli come si chiama: un solo attimo di esitazione e sarà il nemico a uccidere te, i tuoi compagni e i tuoi cari. Sono due approcci opposti. Oggi appare normale che un presunto guardaspalle di un terrorista defunto da due anni possa tornare in libertà. Il suo è semplicemente un caso di malagiustizia, da riparare con un lauto risarcimento e mille scuse.
Se si considera che un terrorista sia un criminale. Se invece lo si considera come un combattente irregolare in una vera guerra (sporca, asimmetrica, non dichiarata, ma sempre guerra), l’idea stessa di processare un terrorista o addirittura liberarlo, diventa assurda, quasi suicida. Perché la guerra contro Al Qaeda è tutt’altro che finita. È vero che si tratta di una figura minore dello schieramento nemico, ma è comunque un uomo che è pronto a tornare nello Yemen presentando un curriculum invidiabile: 12 anni nelle mani degli “infedeli”, un uomo dalla fede incrollabile, proveniente dalla prima generazione di combattenti della jihad, fiduciario di Bin Laden in persona.
Al Qaeda nello Yemen è molto ben radicata, diffusa e armata, contende all’esercito regolare il controllo del Paese, manda combattenti e armi in Somalia e in Siria, cerca di destabilizzare l’Arabia Saudita. E d’altra parte, fra gli uomini liberati da Guantanamo, negli anni scorsi, il tasso di recidiva è sempre stato molto alto. Tutto sta a una scelta di percezione: criminale o nemico? Gli Usa, che all’indomani dell’11 settembre lo avrebbero considerato un nemico, oggi lo considerano come un presunto criminale, arrestato senza prove, dunque degno di “ricongiungersi ai familiari”.
Che faccia del suo futuro quel che vuole. D’altra parte le prime pagine dei quotidiani statunitensi sono occupate dal “Bridgegate”, il nuovo scandalo di politica interna (anzi: locale) causato da zelanti funzionari fedeli al governatore Chris Christie del New Jersey, che hanno deciso di chiudere due corsie di un ponte, per vendicarsi contro un’amministrazione locale, causando un Armageddon automobilistico. Questa è l’unica cosa che interessa realmente agli americani, in questi giorni, assieme al grande freddo e a un mercato del lavoro che cresce troppo lentamente rispetto al previsto. Al Qaeda mette a soqquadro Siria e Iraq, conquista Ramadi e Falluja. Ma non interessa più, ormai è “cronaca estera”, appassiona solo gente del mestiere. Torni pure libero, signor Mujahid. Fino al prossimo attentato.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:49