La pirateria cosiddetta somala coinvolge molti interessi, da quelli criminali direttamente connessi con essa ad altri legali sotto il profilo delle leggi, ma non per questo etici e legittimi. Tra i primi sembra vi siano interessi economici di armatori di pochi scrupoli, simili a quelli di coloro che fanno affondare vecchie carrette per lucrare sull’assicurazione, che speculano due volte sull’atto criminoso “subito”, ma non si può escludere in qualche caso concordato, la prima sul premio assicurativo, la seconda sull’incremento del valore del carico trasportato, se si tratta di greggio. Gli interessi legali sono invece quelli delle compagnie di assicurazione che vedono a causa degli atti di pirateria crescere il loro giro d’affari, incrementando anche gli utili perché a più elevato rischio corrispondono polizze assicurative più onerose per gli assicurati.
Analoghe considerazioni per i “contrattisti”, non sempre personaggi di nobili pulsioni morali, le cui opportunità di lavoro e di guadagno sono legate al contrasto alla pirateria, quindi per loro fonte di gettito in sinergia, sia pure in apparenti interessi contrapposti, con i pirati. Ne facevo specifico riferimento in una relazione ad un convegno sul tema della sovranità svoltosi a Roma sabato 26 maggio 2012, nella quale citavo il fatto che la società britannica Convoy Escort Programme Ltd. sostenuta e finanziata dai Jardine Lloyd Thompson Group Plc di Londra era prossima ad allestire la prima flotta privata antipirateria. La notizia viene ora confermata da un lancio Ansa del 6 gennaio 2013, che riporto integralmente: «Una “marina privata” per combattere i pirati somali che terrorizzano i cargo al largo delle coste africane. Con tanto di navi armate, motovedette e un piccolo esercito di ex comandanti, ufficiali e marinai.
L'dea è di un imprenditore, milionario e avventuriero britannico, Simon Murray, noto alle cronache da quando giovanissimo si arruolò nella legione straniera francese. La sua ultima sfida è di fare concorrenza alla Royal Navy, ma anche alla Nato e alla missione Ue». Il dubbio che la presa in ostaggio dei nostri due fucilieri di Marina sia funzionale all’affare pirateria è venuto anche al nostro ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata che, secondo quanto riferisce un lancio della Reuters delle ore 20,00 dello scorso 23 maggio 2012, lasciando il Palazzo di Vetro, dopo aver incontrato, tra gli altri, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon e il presidente dell'Assemblea Generale Nassir Abdulaziz Al-Nasser, avrebbe dichiarato «C'è grande preoccupazione per le conseguenze di freno molto forte sulle azioni antipirateria». Per un ministro che ha fatto del “basso profilo” l’approccio caratterizzante è una dichiarazione fuori dalle righe. Dobbiamo allora parlare di una pirateria di Stato da parte degli indiani? Assolutamente no, ma di cultura fortemente informata ed influenzata dalla pratica delle pirateria certamente si, alla stregua di come da noi non si può, soprattutto in certe regioni, parlare di mafia di Stato, ma di cultura informata ed influenzata dalla mafia con connessioni e legami in vari ambienti definiti, in gergo, dei colletti bianchi, oltre che in quelli politici o del sottobosco politico, in particolare a livello locale.
Al riguardo c’è tutta una scuola giudiziaria. Di questo purtroppo non si rendono conto i commentatori italiani schierati su posizioni filogovernative, che inneggiano alla “civilissima” India ed invitano ad avere fiducia nelle sue “limpide” istituzioni, in particolare nell’indipendenza di giudizio della sua magistratura. Una posizione miope che ha già portato alla riconferma dell’ergastolo a due malcapitati connazionali, Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni, condannati su presunzione di colpa, nonostante i dati oggettivi disponibili portino alla conclusione che la “loro vittima” sia stata stroncata da una overdose. Una sentenza scritta a priori ed a prescindere, avallata da una necroscopia eseguita da un oculista “miope e strabico” che ha concluso “morte per strangolamento” senza averne trovato i segni caratteristici e pur avendo rilevato quelli tipici dell’overdose.
E quella stampa filogovernativa che ha taciuto per non disturbare il “basso profilo” sul caso di “Tommy ed Ely” ora punta l’indice a priori ed a prescindere, ma senza entrare nel merito e nella sostanza dei contenuti e delle argomentazioni, contro la puntuale analisi tecnica di Luigi Di Stefano, in quanto non giuridicamente “qualificato” a farlo e, per colmo, riconducibile come posizioni politiche ad una vituperanda area politica. Per coerenza questa stampa omologata con le posizioni governative dovrebbe prendere le distanze anche dall’estremismo opposto, in cui si annidano persino “belve” assetate, a priori ed a prescindere, di “sangue in uniforme”. Massimiliano e Salvatore sono militari, per costoro è sinonimo di assassini, a priori ed a prescindere.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:39