
Sassolini di Lehner
Nello Musumeci, ministro della Protezione civile, per il 25 aprile, stante il lutto per la scomparsa di Bergoglio, raccomanda: “Tutte le cerimonie sono consentite, tenuto conto del contesto e quindi con la sobrietà che la circostanza impone a ciascuno”. La saggia esortazione non potrà, però, essere accolta, giacché l’antifascismo furibondo per i sinistri è tradizionalmente fonte di irrinunciabili vantaggi. È il caso di approfondire un’utilità, della quale non si parla mai: la tiritera del fascismo alle porte o già resuscitato è stata fonte di dollari, di consenso e di nuovi equilibri politici. L’antifascismo militante è stato un affarone, rivelandosi non solo valore civile, ma anche sorgente di tanta ricca valuta.
Tutte le balle sui tentativi di colpo di Stato, ovviamente fascisti o nerastri, fecero la fortuna economica del Pci, promuovendo la crescente egemonia culturale, fondata sulla psicosi del golpe, un “al lupo! al lupo!” capace di condizionare l’opinione pubblica e favorire lo spostamento a sinistra, il presunto efficace antibiotico contro il ritorno al Ventennio. Viene alla mente il cosiddetto “piano Solo” – “Solo” perché affidato “solo” ai Carabinieri – non una volgare bufala, come il fantomatico golpe di Junio Valerio Borghese con la ridicola Armada Invencible formata dai... forestali, ma una manovra ideata dalla Lubjanka e attuata da giornalisti, non si sa se direttamente foraggiati, ma certamente spinti dall’ambizione professionale. Il regalo recapitato a domicilio, in foggia di scoop epocale, avrebbe sicuramente assicurato la fervente mobilitazione dei giornalisti destinatari del pacco. E così fu. Non la stampa comunista, ma quella liberal poteva garantire il massimo impatto.
Il racconto analitico della trama fascistoide attribuita al generale Giovanni De Lorenzo – pur con un passato di valente partigiano – fu, perciò, dapprima affidato all’Astrolabio, periodico fondato da Ferruccio Parri, azionista, repubblicano, infine socialista, mai comunista. Un primo assaggio per stimolare l'attenzione e, quindi, passare al più diffuso L’Espresso. Giugno 1967, primo articolo a firma Lino Jannuzzi, poi il diluvio con Eugenio Scalfari. Entrambi furono condannati con sentenza passata in giudicato per le manifeste falsità propalate (“A parere del collegio... non una delle affermazioni contenute negli articoli degli imputati ha mai avuto concreto fondamento di verità”), eppure la vulgata prevalente a sinistra tuttora racconta che golpe almeno si tentò. Lo stesso Jannuzzi in seguitò capì d’essere stato usato e se ne dolse, mentre il regista dell’operazione, l'ufficiale del Kgb, Leonid Kolosov, confermò di aver recapitato, attraverso un parlamentare socialista, tutto il materiale confezionato alla Lubjanka a Jannuzzi e Scalfari.
A riprendere la martellante campagna de L’Espresso sulle “trame nere” in prima linea, oltre l’Unità, si distinsero Paese Sera ed anche la Rai. Ed ogni tanto il falso riciccia sulle varie tivù private. Secondo il Rapporto Impedian (n.35) “la rivista politica L’Espresso fu finanziata dal Kgb fin dal giugno 1962”. Non si trattò di un caso unico: di “agenti d’influenza” pilotati e pagati dalla Lubjanka per la costante opera di disinformacija fu strapieno l’albo dei giornalisti. Il dossier “Mitrokhin” ce ne fornisce i nominativi, direttori e opinionisti famosi compresi, ma essendo quasi tutti deceduti, evito di menzionarli, affinché riposino in pace, benché in vita abbiano non poco contribuito ad alimentare veleni antisistema e antinazionali. E oggi ci toccano le tossine parolaie di figli e nipoti viventi, essendo il giornalismo una saga familiare, dove i cognomi si ripetono. Nel diabolico ping pong, da un lato Mosca creava dossier su nuove marce su Roma, mirando, soprattutto, a destabilizzare l’Italia, l’anello debole della Nato; dall’altro, le Botteghe Oscure inserivano il carico da 11 con allarmi tipo la necessità, prima o poi, di doversi dare addirittura alla clandestinità. Nel gioco di sponda, i più abili furono i comunisti italiani, i quali esagerarono con gli spettri del fascismo in divenire, dipingendoli sempre sulla soglia. Era, in realtà, fumo negli occhi finalizzato al finanziamento illecito, il più grasso possibile.
Fascismo e antifascismo costituirono l’ambo secco vincente per strappare ai sovietici vitalizi sempre più esosi. Quella montagna di dollari condizionò l'intera vita della Nazione italiana, devastata dalla scomparsa dell’attributo “liberale” e dalla moltiplicazione dell’aggettivo “democratico”: dai magistrati sino agli psichiatri democratici. Il Pci, per persuadere il Cremlino sui manganelli in arrivo, richiese centinaia di documenti contraffatti, gruppi elettrogeni, per rendere inespugnabile la sede centrale esposta al rischio “di possibili assedi (sic!)”, radioemittenti, codici cifrati per radio-comunicazioni, risorse indispensabili “nell’eventualità di un aggravamento della situazione politica”. Il 29 marzo 1972, Luigi Longo, ribadendo la strenua militanza antifascista del partito contro le svolte a destra, chiede “un aiuto finanziario supplementare per l’importo di tre milioni di dollari”. Il Pci, comunicando di temere il peggio, chiede sostegno per il possibile passaggio alla clandestinità, senza dimenticare, il 16 gennaio 1974, di esigere per la causa antifascista ulteriori finanziamenti.
Il Comitato centrale del Pcus, sospettando che i volponi italiani possano considerare il Cremlino come la loro vigna dei cojoni, risponde seccamente niet: “Nel 1973 vi abbiamo dato 5.200.000 dollari, più un supplemento straordinario, fino ad arrivare a 6 milioni. All’inizio del 1974, abbiamo già stanziato per voi 5.500.000 dollari”. I comunisti italiani, però, non si arrendono: il 13 aprile 1974, richiedono l’integrazione di altri 2 milioni, motivando: “L’ala destra della Dc vuole (…) infliggere un duro colpo alle forze democratiche e in particolare al Pci per far spostare a destra l’asse della vita politica (…) un corso politico più reazionario e filoNato”. Boris Ponomarëv abbocca, paventando l’attacco delle forze neo-fasciste e un’asperrima campagna antisovietica. Perciò, il CC del Pcus, il 18 aprile, aggiunge un altro milione di dollari.
L’appetito vien mangiando e il 20 aprile 1974, in previsione di “un forte inasprimento politico”, Armando Cossutta, a nome di Luigi Longo ed Enrico Berlinguer, domanda di “aiutare il partito nell’addestramento di istruttori esperti di collegamenti radio, di cifrari, di tecniche di partito e di travestimento e camouflage, nonché nell’elaborazione dei programmi dei collegamenti radio, nella preparazione di documenti italiani e stranieri”. Intanto, al tesoriere Guido Cappelloni, il Kgb, 16 maggio 1974, fa pervenire un altro milione di dollari. Struttura paramilitare e bottino di dollari viaggiano di pari passo grazie alla bufala a quattro ruote motrici delle camicie nere in eterno agguato. E così via, sino a Michail Gorbačëv, il Pci, con gli allarmi antifascisti, strappa milioni di dollari, utilizzati per far credere che gli asini volano e per coltivare quanti potessero indirizzare e condizionare l’opinione pubblica. Memorabile e vergognoso l’effetto Kgb sui mass media e sulla giustizia, vedi l’aver reso quasi reato e anticostituzionale l’anticomunismo, con l’antisovietismo declassato a turpiloquio. In aggiunta, l’equiparazione a “nostalgico” di chiunque la pensi diversamente. Quella semina a spaglio continua a dare i suoi frutti. Basta analizzare la qualità e la serietà dell’informazione che ci viene quotidianamente apparecchiata.
Insomma, nello strambo Paese che divenne l’Italia, il culto della Resistenza non valse a impedire la criminalizzazione del partigiano medaglia d’oro, Edgardo Sogno, recidivo di anticomunismo, quindi tacciato di golpismo e fascismo, mentre quanti saltarono sui carri armati sovietici contro i patrioti magiari, anch’essi definiti “fascisti”, fecero luminescenti carriere.
Aggiornato il 24 aprile 2025 alle ore 10:11