
Ci sono cose che proprio non capiamo. Si può dipingere una Nazione a tinte più fosche di quelle che meriterebbe solo per un irriducibile odio verso la parte politica che governa? Si possono minimizzare, nascondere o tacere notizie positive per il Paese al solo scopo di non darla vinta ai nemici politici? Si può essere antitaliani pur campando a spese degli italiani? Evidentemente, sì. Ed è quello che fanno i media organici al campo progressista i quali, per partigianeria contro la destra, sono pronti a mentire, a manipolare, a negare la realtà. Sarà pure stampa libera, ma fa egualmente schifo. E mestizia. Denunciamo un comportamento distorsivo in quella che dovrebbe essere la corretta informazione e lo facciamo, come si dice, carte alla mano. Il caso è fresco. Venerdì scorso nel mondo dell’economia si è verificato un evento, riguardo all’Italia, a dir poco straordinario. La principale agenzia di rating al mondo, la Standard & Poor’s, ha promosso le stime sul debito sovrano italiano innanzandole dalla classe di merito BBB a BBB+, con un outlook stabile.
È una bellissima notizia, che avrebbe meritato l’apertura delle prime pagine di tutti i “giornaloni”. Invece, provatela a cercare se avete del tempo da perdere. Farete fatica a trovarla. Alcune testate hanno taciuto, altre l’hanno relegata alle pagine interne. Com’è questa sospetta sciatteria dei “giornaloni” nel “bucare” la notizia? Solo le principali testate di proprietà del gruppo Caltagirone (Il Messaggero, Il Mattino di Napoli, il Gazzettino) ne hanno dato contezza con il giusto risalto. Ma, vista la liaison che c’è tra la holding quotata alla Borsa di Milano e il ministero dell’Economia sull’affare “Mps-Mediobanca”, è comprensibile la volontà dell’editore di mettere in evidenza il buon lavoro fatto dal ministro Giancarlo Giorgetti a via XX Settembre, invece di spendersi a parlarne male, ligio allo spartito omertoso, a metà tra il mafioso e il mozartiano, in perfetto stile “Così fan tutte”, composto nelle segrete stanze del potere finanziario, dove si respira lo stantio odore della consorteria progressista, per dirla alla Ferruccio De Bortoli.
Eppure, sono gli stessi organi d’informazione, con le medesime linee editoriali, che di Standard & Poor’s parlavano come se fosse l’oracolo di Delfi e ne tessevano le lodi quando i suoi giudizi servivano a bastonare i governi di centrodestra. Oggi che l’agenzia esprime una valutazione positiva sulla buona tenuta dei conti pubblici italiani, assordante silenzio. E poi si preoccupano che in Ungheria non vi sia libertà di stampa. È l’Italia dei progressisti l’esempio più nitido di informazione serva dei poteri forti. Comunque, gli “onesti” critici progressisti facciano come gli pare, i fatti hanno sufficiente forza da travolgere tutti i tentativi di occultamento della verità. Già, perché la promozione da parte dell’agenzia di rating non è un mero riconoscimento simbolico. È piuttosto un indicatore destinato a produrre effetti concreti in ordine alla disponibilità degli investitori nello scommettere sull’Italia. Tanto per intenderci, lo spread tra Btp decennali e Bund tedeschi 10Y, che lo scorso venerdì aveva chiuso a 125,95 punti base, ieri mattina ha aperto a 119,5 e ha chiuso a 116 grazie all’effetto “voto di S&P”.
Il minor costo dei rendimenti alleggerisce il deficit di bilancio e ne consente una più agevole copertura. Che è ciò che preoccupa gli investitori: che il debitore sia in grado di restituire nei tempi stabiliti e con i dovuti interessi ciò che gli è stato prestato. Questa Italia con questo Governo può farlo, secondo il giudizio dell’agenzia chiamata ad analizzare la salute delle economie della gran parte dei Paesi al mondo. E non solo quella degli Stati. Il dato confortante è che il giudizio positivo si cala in un momento di straordinaria difficoltà nelle relazioni internazionali, con una guerra dei dazi le cui conseguenze potrebbero essere devastanti per le economie manifatturiere a forte vocazione esportatrice. E, tra queste, in prima fila proprio l’Italia, la quale è la sesta potenza nell’export su scala globale, per un valore di 672,77 miliardi di dollari (Fonte: Ocse).
Il giudizio positivo dell’agenzia di rating non è stato influenzato esclusivamente dalla buona tenuta dei conti pubblici, garantita dall’attuale guida del Ministero dell’Economia. Ha inciso anche la circostanza che i numeri di bilancio a fine 2024 hanno performato di cinque decimali di Pil oltre le attese nella quantificazione del debito (135,3 per cento del Pil invece di 135,8 per cento) e di quattro decimali rispetto alla previsione del deficit sul Pil (3,4 per cento anziché 3,8 per cento). Ha pesato anche la stabilità del Governo Meloni, tra i pochi in Europa a godere di una solida maggioranza parlamentare, che rassicura i mercati finanziari. Vi è poi da considerare la solidità del risparmio privato gestito che ha archiviato il 2024 con un patrimonio di 2.509 miliardi di euro, in netto aumento rispetto ai 2.338 miliardi di euro registrati a fine 2023. Inoltre, ha fatto aggio la vivacità manufatturiera del nostro tessuto industriale, che continua a reggersi sulle piccole e medie imprese. Esse hanno garantito anche in tempi di crisi e con giganteschi problemi nell’approvvigionamento delle materie prime, in particolare energetiche, il mantenimento di una quota di mercato sull’export mondiale pari al 2,8 per cento, al novembre 2024 (fonte: Osservatorio Economico – info Mercati Esteri).
Ora, nonostante il Documento di finanza pubblica, focalizzato sulla rendicontazione dei progressi fatti nell’attuazione del Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-29, abbia prudenzialmente rivisto al ribasso la previsione di crescita allo 0,6 per cento per il 2025, è stata confermata la scelta di politica economica di puntare alla riduzione della spesa netta che, nelle previsioni, dovrebbe consolidare l’andamento del deficit per il 2025 al 3,3 per cento del Pil. Decisione che è molto piaciuta agli analisti di Standard & Poor’s e che li ha spinti a premiare l’Italia in un momento particolarissimo dettato dalle scadenze del debito pubblico da rinnovare: 350 miliardi di euro entro il 2025, 839 miliardi fino al termine della legislatura (fonte: report del Centro studi di Unimpresa).
È stato un bel colpo o no che un’agenzia di rating, la più apprezzata e temuta al mondo, abbia messo nero su bianco che dell’Italia ci si può fidare? Che sia stato un insperato segnale destinato a placare la suscettibilità degli investitori sull’affidabilità dei titoli di Stato italiani? Non arriviamo a dire che avrebbero dovuto proclamare lo scorso 11 aprile giornata di festa nazionale, ma tacere o minimizzare una notizia di tale ampiezza non è semplicemente pessima informazione, è una mascalzonata degna di quei fascisti nell’animo che sono i progressisti italiani.
Aggiornato il 15 aprile 2025 alle ore 10:07