Meloni da Trump: “mission possible”

Se Donald Trump sarà stato un gigante assoluto del suo tempo lo stabiliranno gli storici. Di sicuro, la palma del più grosso “figlio di puttana” in circolazione sull’odierna scena internazionale l’ha già guadagnata con pieno merito. Con la tattica del tira-e-molla sta facendo impazzire tutti: cancellerie di tutto il mondo, mercati finanziari, media. Ma guai a giudicarlo pazzo. C’è della genialità nel modo brutale, trasgressivo e per niente politically correct con cui approccia i negoziati con gli interlocutori esteri. La tattica di gioco è chiara: sfiancarli per portarli esausti a una trattativa che dovrà concludersi vantaggiosamente per gli interessi statunitensi. Può non piacere, ma facciamocene una ragione: Trump fa ciò che ha promesso al suo popolo. E se ha detto: America first, America first sarà. Con quali conseguenze? Dovremmo forse rassegnarci a soddisfare i desiderata del più forte? No. Ma, restando con i piedi a terra, bisogna dialogare con Trump allo scopo di cercare un punto di equilibrio accettabile per i reciproci interessi. Possibile? Non facilissimo, ma necessario.

E questo anche Trump lo capisce, perché l’alternativa all’accordo negoziale sarebbe la guerra commerciale la quale, stando ai precedenti storici, non si limita mai soltanto ai commerci ma, prima o dopo, sfocia in conflitto armato a tutti gli effetti. Oggi The Donald è nella fase della corda lunga. Ha concesso una sospensione di 90 giorni all’entrata in vigore dei dazi, che varrà solo nei confronti di quegli Stati che non hanno reagito alle sue imposizioni. Quindi, Cina esclusa. E l’Unione europea? Non dovrebbero esserci problemi, perché la decisione, presa con sudore e fatica a Bruxelles, di applicare contro-dazi a tempi differiti, consente alla Commissione una rapida retromarcia: è ipotizzabile che tutto resti sospeso anche da questa parte dell’Atlantico. Frattanto, Giorgia Meloni prepara la sua giornata americana per il prossimo 17 aprile. Quando si dice la buona stella. Sembrava una mission impossible quella del nostro premier, con un Trump tetragono nel sostenere la linea dura dei dazi erga omnes. Adesso che il tycoon ha mollato la presa aprendo alla trattativa tutto diviene possibile per Giorgia Meloni, anche un insperato successo diplomatico. Che non starebbe nell’ottenere un modesto trattamento di favore nell’applicazione dalla mannaia doganale ai prodotti italiani maggiormente esportati negli Usa, ma nel gettare le basi di un’intesa commerciale Usa-Ue a largo spettro, in vista della creazione di un’area transatlantica d libero scambio.

Si obietterà: la Meloni non ha incarichi nell’Unione europea che la legittimino a parlare a nome di tutti i 27 Stati dell’Unione. Vero. Tuttavia, un minimo di conoscenza della storia delle relazioni internazionali insegna che in geopolitica contano i rapporti sostanziali e non le investiture formali. Ursula von der Leyen, titolata a rappresentare la Ue, non può far valere la sua condizione con un presidente Usa che non riconosce la soggettività geopolitica dell’Unione europea. Giorgia Meloni è il capo di un Governo dichiaratamente amico della presidenza statunitense. Svolgendo un calco probabilistico, se le possibilità di Meloni di ottenere un risultato positivo sono 2, su una scala da 0 a 10, quelle della von der Leyen sono 0. Per la legge sovrana della realpolitik, 2 vale più di 0. Cosicché, la von der Leyen, molto pragmaticamente, fa buon viso a cattivo gioco. Sente la Meloni e benedice la sua trasferta di Oltreoceano perché, a tutte le latitudini, vale l’antico adagio per il quale: piuttosto che niente, meglio piuttosto.

È tanto più vero questo che basti osservare la reazione irata del più ostinato antagonista della Meloni in Europa: il francese Emmanuel Macron. Il piccolo Napoleone, con la sua corte, è sull’orlo di una crisi di nervi. Aveva disegnato per sé un futuro da imperatore d’Europa e invece oggi si ritrova relegato in un angolo dalle mosse dell’odiata Giorgia. Aveva cominciato al tempo della presidenza italiana del G7 a boicottarne l’azione politico-diplomatica. Ma gli è andata male. Financo l’ex presidente Usa, il “democratico” Joe Biden, è stato conquistato dalla piccola, ma tenace, italiana. Poi c’è stata la parentesi del rinnovo dei vertici europei. Macron ha fatto l’impossibile per tenere fuori dalle stanze del potere di Bruxelles la Meloni. Gli è andata da schifo. Non solo Giorgia ha piazzato nel cuore della Commissione uno dei suoi più fidati supporter – il sempre dialogante Raffaele Fitto – ma è diventata la più ascoltata confidente della presidente von der Leyen. Al punto che la baronessa tedesca e la ragazza della Garbatella somigliano a due gemelle separate alla nascita e poi ritrovatesi. Oggi, per il livoroso Macron l’ultima mazzata. Dopo aver tentato a sprezzo del ridicolo – e non esservi riuscito – di mettere in piedi un’armata brancaleone di europei disponibili ad andare in Ucraina a combattere la Russia ed essersi, in compenso, guadagnato una sonora spernacchiata all’unisono da Mosca e da Washington, si vede costretto ad assistere impotente all’impresa americana dell’odiata Meloni.

E cosa fa? Invece di chiudersi in un dignitoso silenzio e ripensare ai suoi errori, scatena i suoi che attaccano l’iniziativa italiana con un’argomentazione lunare: si giudica inappropriato il viaggio della Meloni a Washington, perché minerebbe l’impatto della risposta unitaria europea all’aggressione commerciale ordita da Trump. Devono aver sniffato troppo camembert per sostenere, credendoci, una tale stupidaggine. L’hanno sparata talmente grossa che la portavoce del governo, Sophie Primas, ha dovuto correggere il tiro delle improvvide dichiarazioni di ben due ministri del Gabinetto Bayrou – Marc Ferracci, ministro dell’Industria, e Benjamin Haddad, ministro con delega agli Affari europei – per evitare ulteriori incresciosi incidenti diplomatici. Ma i francesi di Macron non sono i soli a tifare per il fallimento della missione americana di Giorgia. In Italia, tutto il mondo progressista è schierato a ranghi serrati per l’insuccesso del viaggio. I “compagni” preferiscono di gran lunga la guerra commerciale e la rovina del Paese piuttosto che ammettere che l’Italia ha riguadagnato un posto tra i Grandi e può dire la sua in un momento di estremo pericolo per la stabilità globale.

Hanno fatto salti di gioia quando hanno sentito dire a Trump che i rappresentanti di tutte le Nazioni si sarebbero messi in fila per andare a baciargli le terga. E Meloni prima di tutti gli altri. Questa è politica da quattro soldi, o sarebbe meglio definirla da trenta denari, perché è roba da Giuda (tanto per stare al clima pasquale), da sabotatori dell’interesse nazionale. Invece, c’è del vero nel ritenere che il prossimo incontro di Meloni con Trump costituisca il punto di snodo del futuro politico, italiano e internazionale, della presidente del Consiglio. Se dovesse fallire nella missione verrà ricoperta di insulti dai suoi detrattori, ma se dovesse riuscire nell’intento di conseguire un risultato valido per il contesto europeo, gli italiani avranno di che gloriarsi prendendo atto di essere guidati da una donna che fuori dai confini nazionali sa farsi valere.

E quale migliore ipoteca sulle prossime elezioni politiche, che non sono alle viste ma non sono neanche così lontane? E l’opposizione di Elly Schlein, Giuseppe Conte e di tutta l’allegra combriccola progressista? Non gli resterà granché da fare se non andare a giocare in autostrada.

Aggiornato il 11 aprile 2025 alle ore 09:27