
Appartenendo a quella piccola riserva indiana di garantisti nei riguardi di chiunque – e non come spesso accade soprattutto in politica a quelli che lo sono solo per gli amici e i compagni – in merito al nuovo indagato per il caso molto controverso del delitto di Garlasco, il 37enne Andrea Sempio, ribadisco che occorra presumere la sua innocenza fino a prova contraria oltre ogni ragionevole dubbio. Ragionevole dubbio che, vorrei ricordare, non è stato tenuto in alcun conto nella condanna di Alberto Stasi, avvenuta dopo cinque processi, dei quali i primi conclusi con l’assoluzione dell’imputato. Già questo, oltre alla inverosimile inconsistenza delle prove a carico, di per sé avrebbe dovuto instillare nei giudici successivi quel medesimo principio, scritto con caratteri d’oro nel Digesto giustinianeo, secondo il quale In dubio pro reo, ovvero che sia preferibile un colpevole in libertà anziché un innocente dietro le sbarre. In questo caso, il fatto che una buona parte dell’opinione pubblica, visceralmente colpevolista per ragioni quasi ancestrali, voglia a ogni costo un mostro da sbattere in prima pagina, non esclude affatto che a commettere l’efferato delitto di Chiara Poggi sia qualcuno estraneo ai due uomini finiti sotto i riflettori di un’informazione sempre alla spasmodica ricerca di argomenti a sensazione.
Un’informazione che, non mi stanco mai di ripetere, è in maggioranza incline a prendere per oro colato le conclusioni degli inquirenti, assecondando proprio la citata inclinazione colpevolista del suo pubblico di riferimento, invece di fare le bucce alle tante magagne emerse da indagini condotte malamente e con una certa superficialità, così come sembrerebbe accaduto anche nel caso in oggetto. Tant’è che in questi giorni è emersa, dopo 18 anni, la testimonianza di una persona ancora ignota alla stampa, che solo per la distanza dai fatti dovrebbe far nascere a prescindere qualche dubbio circa la sua effettiva veridicità. Eppure, come già accaduto in altre clamorose vicende giudiziarie – vedi ad esempio l’altro caso controverso di Antonio Logli, condannato a “soli” 20 anni per l’omicidio della moglie e la soppressione del cadavere (una sorta di “poca prova e poca pena” come nei riguardi delle stesso Stasi) sulla base di una testimonianza molto tardiva e molto confusa di un giostraio con precedenti penali – l’informazione sensazionalista ritira fuori all’occorrenza l’orrendo termine di “supertestimone”, dando l’idea di un personaggio in grado di rendere una prova testimoniale granitica, in grado per l’appunto di superare ad ogni livello del processo il sempre più bistrattato ragionevole dubbio. Ebbene, dato che l’Italia si trova in testa alla ben poco lusinghiera classifica europea degli errori giudiziari ufficialmente acclarati – sebbene l’impressione è che ciò rappresenti solo la punta dell’iceberg – sarebbe ora di finirla con questa pagliacciata mediatica dei supertestimoni che tali non sono. In questo senso, questi magnifici supertestimoni lasciamoli alla fantasia degli autori dei libri e dei telefilm polizieschi.
Aggiornato il 28 marzo 2025 alle ore 12:00