
Il totem è una raffigurazione mitica (in forma animale, vegetale o di oggetto) dello spirito protettore di una comunità. Il tabù è l’espressione di una separazione tra ciò che è sacro, divino e puro e ciò che è abominevole, impuro. Dai tabù originano divieti morali e religiosi cogenti per il gruppo umano che li riconosce. Il “Manifesto di Ventotene” – scritto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, con la collaborazione di Eugenio Colorni (antifascisti, confinati politici dal regime nell’isola pontina) – che delinea la costruzione di un’Europa progressista, è il totem della sinistra dall’atto della sua conversione europeista risalente agli anni Settanta del Novecento. Criticarlo o prenderne le distanze – come ha fatto ieri l’altro Giorgia Meloni a Montecitorio – è tabù. Con lo scatenamento dell’isteria collettiva dei parlamentari progressisti al quale abbiamo assistito, la politica alta, il fattore culturale, la vocazione ideale, c’entrano ben poco. Anzi, niente.
Il problema è antropologico e attiene all’incidenza del mito nella configurazione di un sostrato identitario comune a un gruppo umano che si associa in vista del perseguimento di interessi condivisi. Per la sinistra, che si è scoperta europeista in età matura – non lo è stata fino a quando si è riconosciuta fieramente costola occidentale dell’internazionalismo comunista di matrice sovietica – citare il “testo sacro” criticandolo è atto di blasfemia. Chi lo compie deve essere punito con la più ferma esecrazione da parte del gruppo umano oltraggiato. Se fossimo stati ai tempi della Santa Inquisizione, Giorgia Meloni sarebbe finita sul rogo. Come Giordano Bruno. E come Galileo Galilei, per aver salva la vita, avrebbe dovuto fare atto di abiura promettendo di “omninamente lasciar la falsa opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova” e, per stare all’oggi, di ammettere quale dogma inviolabile della religione europeista il carattere fondativo del manifesto di Ventotene per l’Unione europea.
Come per i testi sacri delle religioni del Libro, le verità che essi rivelano non vanno indagate, analizzate, argomentate, discusse, ma semplicemente fideisticamente accettate. La decodifica non ermeneutica della parola del dio degli “europeisti rinati del tempio di Ventotene” è proibita. D’altro canto, chi mai oserebbe interpretare alla lettera il passo biblico sulla “legatura di Isacco” (Genesi 22, 1-19), laddove Dio ordina ad Abramo “Prendi il tuo amato unico figlio, Isacco, va’ nella terra di Morijà e là offrilo in olocausto”? Quindi, quando nel sacro testo degli europeisti si legge: “Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in Stati nazionali sovrani”, cosa dovremmo rispondere? Parola del Signore, come si conviene a una liturgia domenicale che si rispetti, e si frequenti? Non fa per noi.
Stiamo con la Meloni nell’eretico rigetto del dogma: quella disegnata a Ventotene non è la nostra Europa. Si obietterà: certe affermazioni vanno contestualizzate alla realtà del 1941. È un’idiozia gigantesca o più propriamente una becera mistificazione: le parole sono parole e significano. Spinelli e Rossi pensavano esattamente ciò che hanno scritto. Non gli è slittata la frizione nel sentenziare: “Durante la crisi rivoluzionaria, spetta a questo movimento organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le masse rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate. Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle informi masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato, e intorno ad esso la nuova vera democrazia”.
La democrazia ottriata? Gran bella roba! Ma i “compagni” insistono con il ritornello del contesto: era il 1941. E con questo? Cosa direbbero i sinistri se qualcuno, a destra, avesse la balzana idea di applicare lo stesso canone relativistico ai contenuti delle leggi razziali varate dal Governo fascista nel 1938? La persecuzione contro cittadini italiani di fede ebraica? Si consideri il contesto. Roba da condanna al carcere senza sospensione condizionale della pena. Il documento scritto a Ventotene resta un legittimo punto di vista per la creazione di un’Unione dei soviet occidentali; l’ipotesi di una rivoluzione socialista da fare per abolire la proprietà privata e creare le premesse per la nascita dello stato egualitario del comunismo degli stracci, negatore di ogni differenza tra gli individui, oppressore di ogni potenzialità individuale. Ma che roba è? E chi vorrebbe vivere in un inferno del genere, con le fiamme tenute vive dal fanatismo giacobino delle “illuminate” guide del popolo? Se per forze reazionarie siano da intendersi quelle descritte nel “Manifesto”, che cercheranno di far leva sulla restaurazione dello Stato nazionale e, così operando, “Potranno così far presa sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico”, allora ben venga essere appellati reazionari ma non avere neppure un’unghia in comune con siffatta mala genia di vituperatori dell’amore per la patria.
Dicono che l’Europa unita sia nata a Ventotene. Non è vero. E meno male. Si leggano i testi dei Trattati di Roma del 1957, che fondano la Comunità economica europea (Cee) e la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom). Ventotene non compare da nessuna parte. Vi si legge invece tra le premesse: “DECISI ad assicurare mediante un’azione comune il progresso economico e sociale dei loro paesi, eliminando le barriere che dividono l'Europa”, che è tutt’altra cosa dal sostenere che “La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade… lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale… e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido Stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopreranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale”.
Se avessimo desiderato di stare sotto un unico padrone, avremmo esplorato con maggiore convinzione la strada dell’Europa nazione, quale comunità di destino in lotta per la vita. Avremmo giudicato retrospettivamente i millenni di guerre e di sangue che hanno segnato la storia del Continente alla stregua di un’azione unitaria europea; la perenne litigiosità tra Stati, lo strumento più efficace per la selezione naturale dei sistemi sociali forti e resistenti sui deboli e corruttibili nella prospettiva del rafforzamento del corpo unico continentale. Se avessimo voluto sognare di Europa non avremmo atteso le pulsioni giacobine di Spinelli e Rossi, ma ci sarebbe bastato Platone. Sia chiaro, non è che l’Europa venuta fuori dalla revisione dei trattati a Maastricht nel 1992 e ad Amsterdam nel 1997, ci faccia fare salti di gioia. Al contrario, ci ha mostrato quanto sia inutile e dannosa la presenza incombente di un’entità eurocratica, sovraordinata agli Stati nazionali impegnata a imporre regole su regole e a rendere asfittici gli spazi di sovranità degli Stati membri dell’Unione.
Ciononostante, la preferiamo di gran lunga a quella sorta di gabbia liberticida che sarebbe stato lo “Stato internazionale” costruito sul progetto tracciato a Ventotene. La sinistra, ieri l’altro, ha dato di matto in aula perché Giorgia Meloni ha osato profanare l’innominabile nome del Dio degli europeisti citando il sacro testo. Non avrebbe dovuto violare il tabù. Ma anche Prometeo non avrebbe dovuto rubare il fuoco agli Dei. E Sisifo non avrebbe dovuto tradire Zeus per evitare la sua ira. Ma è il destino dei miti di essere infranti. Ieri l’altro ne è crollato uno che resisteva da qualche decennio. Ce ne faremo una ragione. E saremo ancora più contenti per l’effetto che la profanazione meloniana avrà sortito tra i devoti della setta religiosa degli “europeisti rinati del tempio di Ventotene”.
A qualcuno, tra i tanti che alla manifestazione convocata a Roma lo scorso sabato da Michele Serra di La Repubblica e dal milieu della solita intellighenzia da salotto progressista, sarà venuta la curiosità di leggerlo quel libello stampato in numerose copie, sventolato in piazza come vessillo della vera fede e predicato “a scatola chiusa” dai tetti, come fosse il Quinto Vangelo. E qualcuno, magari, ammetterà che per anni non c’aveva capito nulla. Sarà il benvenuto tra noi eretici, che Ventotene la amiamo – e sempre l’ameremo – per il mare, per il sole, per il vento che non si nega alle vele poste a riva e per la buona compagnia delle serate estive, trascorse nella calma amica del porto romano.
Aggiornato il 21 marzo 2025 alle ore 09:30