Ricordo di Buontempo, Mario Scelba ebbe ragione

Un lettore attento, severo, aguzzo ed appuntito mi scrive: “Come mai elogi il fascista dichiarato e mai pentito Teodoro Buontempo?”. Ecco la spiegazione, peraltro, strettamente legata ai primi giorni della rinascita de L’Opinione delle libertà in edizione cartacea, fortemente voluta e realizzata dal grande direttore Arturo Diaconale, insieme a un pugno di volenterosi disperati e di tenaci sbarbatelli. Essendo maledettamente portato alla satira, un giorno presi di mira e duramente Teodoro Buontempo, giocando pecoreggiamente sul nomignolo “Er Pecora”. D’altro canto, io provenivo da altra parrocchia che col Ventennio e con Salò aveva poco da spartire, benché non pochi autorevoli membri del Psi, a cominciare da Bettino Craxi, avendo buona cultura storica e salda onestà intellettuale – altro che Aldo Cazzullo, Antonio Scurati o CorradoDonatAugias – riconoscevano le tracce di socialismo presenti nei programmi e nelle realizzazioni di Benito Mussolini. Ebbene, Teodoro, offeso e furente, piombò in redazione, credo con l’intenzione di massaggiarmi entrambe le gote.

Un po’ lo calmò Arturo, un po’ perché ero fisicamente quasi il doppio di lui, Teodoro evitò di scazzottarmi, limitandosi alle rimostranze verbali. Ebbene, aveva ragione “Er Pecora” ed io, ignorandone la storia, avevo torto marcio. Non fu affatto giusto sbeffeggiare un personaggio davvero notevole ed esemplare, comunque meritevole di rispetto: una vecchia Fiat 500 prodotta dagli Agnelli, Teodoro la elesse come propria abitazione, ci viveva e ci dormiva, povero non pentito e totus politicus. Proveniva da Carunchio, provincia di Chieti, trasferitosi nella capitale diede spessore demografico alla propria militanza, facendo politica giorno dopo giorno negli inferi dei proletari, dei baraccati, degli sfollati, di quel lumpenproletariat sempre schifato dai marxisti-leninisti, quasi mai vicini a quegli habitat, se non per approfittarne sessualmente. Ogni riferimento a Pier Paolo Pasolini è voluto.

Se Valentina e Claudia Diaconale avranno la pazienza di ritrovare il mio pessimo, irridente, parodistico corsivo contro il missino pecoreccio, ripubblicandolo accanto a questo mio dovuto ravvedimento, il lettore attento, severo, aguzzo comprenderà che non potevo non saldare il mio debito verso l’indimenticabile e bravo Teodoro.

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A proposito di persone ingiustamente prese in giro e addirittura demonizzate, è doveroso rendere onore al democristiano Mario Scelba. Lo presero per zoticone, lo presentarono più ignorante della capra spesso evocata da Vittorio Sgarbi, volgare e goffo più di un guitto, su di lui una pioggia di disprezzo e ripulse, solo perché non s’inchinava adorante davanti “all’intellettuale organico”. Invece, Scelba ebbe ragione nel definire i sedicenti “intellettuali” come “culturame”, paccottiglia infestata da gente oziosa e vanitosa, priva di buon senso, pifferai intenti a manipolare l’opinione pubblica con saggi, film, musica e tutto il loro “impegno”. Dimenticò soltanto di chiamare codeste nullità “utili idioti”, pupazzi ben ripagati, al servizio della filiale italiana, il Pci, dell’Unione sovietica.

I dollari del Cremlino, tra gli altri danni nell’informazione e nella magistratura, fecero il miracolo di trasferire la migliore cultura fascista nel patrimonio dell’egemonia culturale comunista. Ebbene, in questi giorni proviene da Londra la prova del nove delle matematiche uguaglianze espresse da Scelba: intellettuali uguale bischeri intolleranti. Ecco i fatti: l’Università londinese invita la scrittrice russo-israeliana Dina Rubina a tenere una conferenza, Rubina è autrice di romanzi notevoli, tradotti in 40 lingue, rimanendo, tuttavia, donna seria, con i piedi per terra, savia, modesta, per nulla infettata dalle balorde prosopopee delculturame”. Le arriva una lettera con la seguente richiesta: egregia Dina, lei sarà ben accetta presso il nostro Ateneo, a condizione di una vibrante condanna da parte sua di Israele e della totale solidarietà alla causa palestinese. Le sue prese di posizione in questo senso sono vivamente attese da autorevoli intellettuali e docenti che parteciperanno all’incontro.

Dina Rubina, conoscendo i suoi polli intellettualoidi, si aspettava l’avviso di un visto ideologico preventivo, alla luce di alcuni consimili precedenti, vedi le Università di Varsavia e di Toruń, che hanno cancellato le lezioni di Yakov Schechter sulla vita quotidiana degli ebrei nella Galizia dal Seicento all’Ottocento. Le ragioni della censura? Schechter, essendo uno scrittore ebreo, per giunta filo-israeliano, avrebbe creato problemi all’intelligencija (in lingua polacca: inteligencja) postcomunista, tuskiana, proPal, rigorosamente e ferocemente antisionista e antisemita.

L’immensa Dina non solo ha strappato la richiesta di lasciapassare ideologico, ma ha pure risposto per le rime, aggiungendo altro prezioso lessico a quello scelbiano sul “culturame”: “Oggi l’ambiente accademico è terreno fertile per l’antisemitismo più disgustoso e rabbioso… questo è ciò che intendo dire a tutti coloro che si aspettano da me un rapporto conformista nei confronti di Israele, che da sempre vive accerchiato da nemici che ne cercano la distruzione… la comunità accademica, che non si è preoccupata per i massacri in Siria o per i combattimenti in Somalia o per gli abusi contro gli uiguri o per i milioni di curdi perseguitati per decenni dal regime turco, ebbene questa gente che indossa la “kefiah” – il marchio degli assassini – per manifestare sotto i cartelli Palestina libera dal fiume al mare!, la qualcosa significa cancellazione di Israele (molti di codesti “accademici” non hanno, però, idea di dove si trovi questo fiume e come si chiami)… ora, costoro mi chiedono di esprimere una posizione chiara. Con immenso piacere, sinceramente la esprimo e con tutta la forza mando a fare in culo tutti gli intellettuali senza cervello interessati alla mia posizione”. Non resta che associarci con l’auspicio di Dina Rubina.

Aggiornato il 10 marzo 2025 alle ore 09:44