J.D. Vance: elegia europea

Che cosa fantastica è stata la perorazione della libertà, pronunciata dal vicepresidente degli Stati Uniti d’America, J.D. Vance, alla 61ª Conferenza di Monaco sulla sicurezza. I media hanno riferito dello shock vissuto dai rappresentanti europei nell’ascoltare un discorso tanto determinato e, a tratti, straordinariamente impietoso sullo stato della democrazia nel Vecchio continente. Non erano abituati – i padroni del vapore comunitario – a vedersi sbattere in faccia la verità in modo così veemente. Tuttavia, di là dai toni e dalle espressioni del linguaggio, la realtà resta tale e non la si può nascondere sotto al tappeto, come si fa con la polvere. Già, perché la platea europea ha dato l’impressione di rappresentare una stanza chiusa da troppo tempo e perciò satura dei miasmi di una stantia autoreferenzialità nel considerare sé stessa archetipo di giustizia, di legalità e di coesione sociale. Vance, con le sue parole di verità, è stato una ventata di aria fresca che è servita a spazzare via le incrostazioni liberal e progressiste dalla superficie ideologicamente inquinata delle società continentali.

Il giovane americano – che c’è l’ha fatta con le sue forze ad arrivare in cima, prendendo l’ascensore sociale non dai piani alti delle classi agiate della buona borghesia costiera statunitense ma dai sotterranei della miseria e del degrado di uno degli Stati (l’Ohio) della Rust Belt, luogo simbolo del crollo della produzione industriale pesante e capitale morale della crisi d’identità della classe operaia – è approdato a Monaco per chiedere conto ai naturali alleati del suo Paese di cosa essi ne abbiano fatto della libertà e dello spirito democratico lasciati in dote dagli Stati Uniti alle nazioni dell’Europa occidentale, dopo essere accorsi più volte durante tutto il Novecento a salvarle da infausti destini totalitari. Vi piacciono le metafore e le analogie? Allora Vance è come il bambino nella favola del re nudo. Lui ha detto ciò che in tanti in Europa sanno essere vero ma che, paralizzati dal morbo imperante dell’ipocrisia, finora non hanno osato dire a voce alta: il nemico dell’Europa non si chiama Russia o Cina, ma Europa. In questo tempo storico eccezionale, il nostro mondo si è ritirato dalla difesa dei suoi valori fondanti.

In nome di un assurdo universalismo umanitario e di un ancor più assurdo complesso di colpa per essere stato nei secoli addietro il centro vitale della civiltà, si è dato spazio al politicamente corretto dell’autocensura e dell’auto-amputazione della libertà. Noi, i liberi, abbiamo deciso di non esserlo più, sottomettendoci spontaneamente alla volontà di chi, di culture e religioni aliene, non ci vuole liberi. E, probabilmente, neanche troppo vivi. Ha ragione Vance: dalle nostre parti abbiamo imboccato una china pericolosa riguardo all’esercizio della libertà. Quel diritto costitutivo della natura dell’uomo, così prezioso e sacro, l’abbiamo piegato, umiliato, soggiogato, riducendolo a disparante simulacro di sé stesso. Per dirla alla maniera di Luis Buñuel, la libertà autentica l’abbiamo soffocata e adesso ci trastulliamo con il suo fantasma. D’altro canto, che libertà è quella di dire o fare – pensare – ciò che solo il politicamente corretto consente di dire, fare o pensare? Libertà vera – come dice Vance – è quella di sorprendere, di sbagliare, di inventare, di costruire. Ma anche di fare cose errate, di non frequentare le persone giuste, di votare i peggiori (perché non allineati al politicamente corretto?) a rappresentarli nell’amministrazione della cosa pubblica. Abbiamo financo smesso di pregare i nostri Dei e di non ostentare i simboli della nostra religiosità per non offendere quella altrui, che della nostra sensibilità buonista non sa che farsene.

Il vicepresidente americano non parla per astrazioni ma cita casi, episodi di vita vissuta in Occidente che, a sentirli raccontare, mettono i brividi. Un attivista cristiano condannato al carcere per aver partecipato al rogo di un Corano, lo stesso carcere negato ai musulmani che per prassi danno fuoco alle bibbie? È accaduto, in Svezia. Un cittadino arrestato e condannato perché sorpreso dalla polizia a pregare in silenzio nei pressi di una clinica per aborti? È accaduto, in Gran Bretagna. Nella Scozia, un tempo roccaforte cattolica dell’orgogliosa Albione, il Governo ha comunicato ai cittadini di aver stabilito per legge delle zone di accesso sicuro entro il cui perimetro certe preghiere che urtano la suscettibilità dei pro-aborto non possono essere recitate neanche nel privato delle proprie abitazioni. Ma non è sufficiente parlare di libertà conculcata se non si affronta il problema della democrazia vigilata dai padroni (abusivi) dell’etica collettiva. Come nella peggiore America di Joe Biden, nell’Europa del wokismo di risulta si tenta di sopprimere la libertà di parola veicolata attraverso i social. L’idea di fondo è che, al fianco del decisore politico, si erga con altrettanti poteri assolutistici un decisore morale la cui funzione sia distinguere ciò che è bene e giusto per il popolo da ciò che non lo è e, di conseguenza, facilitare la circolazione del primo e negarla al secondo.

Correndo lungo questa traiettoria di pensiero bacato si può giungere a limitare il potere sovrano del popolo – giudicato per definizione immaturo e quindi incapace di badare a sé stesso – di scegliersi democraticamente i propri governanti, fino alla mostruosità di annullare un esito elettorale se esso non si conforma ai desiderata dei padroni del pensiero corretto. È accaduto in Romania, di recente. E potrebbe accadere ancora. Ad esempio in Germania, se, per ipotesi, domenica prossima gli impresentabili di Alternative für Deutschland (Afd) dovessero vincere le elezioni. Cosicché, per il tramite del becero pretesto che anche Adolf Hitler vinse le elezioni, la volontà popolare possa essere ignorata e la regola democratica disattesa per il bene della “buona democrazia”, tedofora della fiaccola della “libertà giusta”. Come da anni capita in Italia, dove il centrosinistra dei “buoni” progressisti si serve dei peggiori machiavellismi parlamentari e delle congiure giudiziarie per estromettere la destra dal Governo della nazione, sempre nel nome di un’autoproclamata superiorità morale che nella realtà non è mai esistita. Neanche ai tempi di Sant’Enrico Berlinguer.

Così accade che, in Europa, i “democratici” sinistri si trasformino in fascisti della peggiore risma per impedire che gli avversari politici, ancorché scelti dal popolo, accedano alle stanze del potere. I “buoni” si comportano da dittatori, né più né meno come i dittatori riconosciuti tali dalla storia. Nella “bella Europa” degli specchiati sentimenti si nega ai partiti che stanno fuori dal perimetro del mainstream “democratico” – in particolare a quelli della destra estrema – di poter partecipare al dibattito pubblico e alle sue liturgie. Ma ciò che viene spacciato per una manifestazione di forza della democrazia nasconde un’enorme debolezza. Ha ragione Vance quando afferma senza peli sulla lingua: “Se avete paura dei vostri stessi elettori, non c’è niente che l’America possa fare per voi, né, del resto, c’è niente che voi possiate fare per il popolo americano che ha eletto me e ha eletto il presidente Trump”; e ancora: “Non si può ottenere un mandato democratico censurando gli avversari o mettendoli in prigione, che si tratti del leader dell’opposizione, di un’umile cristiana che prega nella propria casa o di un giornalista che cerca di riportare la notizia”; “Europei, il popolo ha voce in capitolo”. “I leader europei hanno una scelta. E sono fermamente convinto che non dobbiamo avere paura del futuro. Abbracciate ciò che il vostro popolo vi dice, anche quando è sorprendente, anche quando non siete d’accordo. E se lo fate, potete affrontare il futuro con certezza e fiducia, sapendo che la nazione è al fianco di ognuno di voi, e questa per me è la grande magia della democrazia. Non è in questi edifici di pietra o in bellissimi hotel. Non è nemmeno nelle grandi istituzioni che abbiamo costruito insieme come società condivisa. Credere nella democrazia significa capire che ogni cittadino ha la propria saggezza e la propria voce, e se ci rifiutiamo di ascoltare quella voce, anche le nostre battaglie più riuscite otterranno ben poco”.

Che gigantesca lezione di libertà, e di coraggio, da quel giovane figlio d’America che, bambino, scappava a casa dei nonni per sfuggire alle violenze e agli abusi del patrigno alcolizzato. Vance è la magnifica espressione di una destra repubblicana che tocca le corde più profonde del nostro sentire di conservatori. Lui, dopo aver raccontato nelle giuste tinte la sua America, è venuto in Europa a sollecitare il nostro orgoglio, da troppo tempo sopito, di europei che hanno costruito la civiltà dell’Occidente, e con essa, al netto delle brutte azioni compiute, tutto ciò che di buono, di bello, di superiore, di utile, di degno c’è a questo mondo. Una grande storia che merita di essere curata, abbracciata, coccolata, amata e di cui andare fieri. Che ha donato a noi, protagonisti e comparse del presente, un’idea di cui essere orgogliosi e che si chiama Europa. Grazie J.D., che Dio ti benedica.

Aggiornato il 20 febbraio 2025 alle ore 09:48