Bisogna sentirli quei nove minuti, quasi alla fine della drammatica deposizione del 21 gennaio 2025, in cui è raccolto lo sfogo liberatorio della mamma di Giulio Regeni. Testimone dolorosa nel processo che si sta svolgendo a Roma in Corte d’assise contro i presunti boia e torturatori egiziani del figlio Giulio. E soprattutto dovrebbero sentirli attentamente e in silenzio tutti i giornalisti del quotidiano il manifesto. Perché è di loro che si parla. E non se ne parla certo bene. Questa madre composta che ricorda il figlio, che per lei era la luce degli occhi e che rievoca drammaticamente come il quotidiano che si definisce “comunista” avesse rifiutato di fare firmare a Giulio, insieme a un suo amico – anche lui in Egitto a occuparsi di quei sindacati di lavoratori che erano verosimilmente infiltrati di spie che poi hanno indicato Giulio ai servizi egiziani come possibile elemento in contatto con i fratelli mussulmani – un articolo che poi era un resoconto su una di queste riunioni sindacali. Quelli che fanno la macchina del giornale in questione proposero all’amico di Giulio di firmarlo da solo perché probabilmente non volevano un altro collaboratore che nessuno aveva mai visto o conosciuto.
L’amico però rifiutò e quel pezzo finì su uno dei tanti siti che si occupano di politica estera ma che nessuno ovviamente conosce come il manifesto. Un quotidiano che però Giulio da vivo evidentemente lo snobbava. Da vivo però. Da sconosciuto. Non da morto. Un morto di cui parlano tutti. Nel mondo intero. Adesso Giulio è “un caso”. Dopo il ritrovamento del cadavere, quado la notizia fa il giro del mondo, come racconta la mamma, non solo qualcuno del giornale andò in un talk show a dire che Giulio Regeni era un collaboratore del giornale. Ma, addirittura tre giorni dopo il ritrovamento del cadavere martoriato, pubblicarono con il suo nome l’articolo che pochi giorni prima era stato in pratica rifiutato. E questo nonostante un disperato tentativo dei legali della famiglia di Giulio Regeni di opporsi a tutto ciò. La madre ci tiene a dire che l’avere accostato Giulio al giornale in questione provocò alla famiglia enormi disagi per la strumentalizzazione che se ne fece da parte di altri media. Difficile dire se un simile cinico comportamento da parte di un qualsiasi giornale (persino “de sinistra”) e dei suoi redattori in capo sia censurabile a livello deontologico. La madre scandisce in aula le parole che vogliono comunicare a tutti che “Giulio non era un giornalista”. Sicuramente non del manifesto. Per quanto riguarda il mitologico buon senso comune, l’episodio in sé, comunque, fa orrore.
Aggiornato il 03 febbraio 2025 alle ore 10:17