Creuza de mä è il titolo di una canzone/poesia in dialetto genovese, scritta e interpretata da Fabrizio De André. Creuza de mä è quella striatura argentea che compare sulla superficie del mare per un particolare effetto atmosferico. Creuza de mä, nell’immaginario poetico, è la via per un viaggio fantastico che chi ha il dono del sogno deve percorrere. Creuza de mä è il sentiero stretto attraverso il quale è passata, per proseguire il cammino, la vittoria di Marco Bucci e del centrodestra in Regione Liguria. Ora lo possiamo dire: nessuno avrebbe puntato un soldo bucato su un successo della maggioranza uscente, terremotata dal caso giudiziario di Giovanni Toti, in una sfida elettorale truccata dalla pastetta mediatico-giudiziaria. Andrea Orlando, inossidabile fino a incartapecorirsi, funzionario di partito “dem”, era portato sugli scudi della vittoria dalla rutilante coalizione sinistrorsa. Genova ai genovesi, la Liguria ai progressisti. Questo è stato il refrain dell’estate. Invece, un’impavida minoranza di liguri ha salvato l’onore di tutti gli altri, anche di quelli – e sono stati troppi – che hanno pensato bene di restarsene a casa e di non votare.
Eppure, costoro dovrebbero ben sapere che l’ignavia è un peccato mortale. Grazie ai pochi coraggiosi ce l’ha fatta lui, il Bucci l’americano, con quella faccia un po’ così che hanno quelli che stanno a Genova. Gente un po’ inselvatichita da quel mare scuro che, come cantava Paolo Conte, si muove anche di notte, ma non sta fermo mai. Caratteri tosti di gente che sa bene cosa voglia. E, quando vuole, sa come prenderselo. Una vittoria che profuma di buon governo e di gamberi rossi; di buoni propositi e di basilico genovese. Di cose fatte, di focacce stese al caldo a lievitare e di cose da fare presto. Una vittoria che parla di futuro. Adesso sappiamo anche come andrà per gli sconfitti. I giustizialisti diranno che non ha vinto Bucci, ma la maggioranza degli astenuti disgustati dal malaffare della politica. Il centrosinistra si accomoderà sul lettino dello strizzacervelli per una full immersion di psicanalisi di gruppo. Giuseppe Conte dirà che è stata colpa di Beppe Grillo e delle sue inopportune rimostranze per essere stato accompagnato in malo modo alla porta del Movimento 5 stelle.
Grillo dirà che la sconfitta è opera della prepotenza da guappo di cartone dell’azzeccagarbugli di Volturara Appula. Matteo Renzi se la riderà dicendo che se ci fosse stato lui in partita con la sinistra, invece di esserne stato espulso per volontà del malmostoso capataz pentastellato, la vittoria sarebbe stata certa. Carlo Calenda? Il fumino Calenda? Si specchierà nel pallido sole d’autunno che gioca a nascondino all’ombra solitaria della Lanterna cantilenando, come mosca liberal piantata sul dorso del bue democratico non più comunista: abbiamo arato. Ed Elly Schlein? Ballerà da sola, anche se nessuno ci farà caso. Probabilmente ci sarà un po’ di questa paccottiglia da opinionisti dei talk show nei ragionamenti su una sconfitta non annunciata e neanche prevista.
In realtà, il vero ingrediente segreto che non è mancato nella ricetta vincente del centrodestra è stato il fare le cose. Ciò che serve adesso che c’è da fare tanto: dalla gronda di Genova al tunnel della Val Fontanabuona; dalla bretella Albenga-Carcare-Predosa al completamento del Terzo Valico; dalla ultimazione della nuova diga di Genova alle varianti dell’Aurelia bis nel savonese e nell’imperiese; dal completamento della linea ferroviaria Pontremolese al raddoppio della linea Genova-Ventimiglia tra Andora e Finale Ligure. Nessun ligure di buonsenso ha pensato per un solo istante che una tale mole di opere infrastrutturali avrebbe potuto vedere la luce se a governare la regione vi fosse stata una coalizione puntellata dalla malapianta pentastellata, dal fanatismo ambientalista e dal redivivo veterocomunismo dei tengo-famiglia. E poi, il buco nero della sanità da turare al più presto con interventi funzionali a ridurre i tempi del servizio sanitario alla cittadinanza.
È la storia dell’umanità, immutata nei secoli: se convochi il popolo e gli chiedi di scegliere tra Gesù che ti promette il regno dei cieli e Barabba che ti risolve il problema del pasto quotidiano, non ci sarà partita: vince Barabba. Al non fare niente in vista di un futuro green che nessuno di questa generazione vedrà mai, la gente di Liguria ha scelto Bucci, l’uomo del viadotto San Giorgio promesso e fatto, quello del qui e ora. Hic et nunc. E perché è il sindaco che ti ritrovi, quando ce n’è bisogno. Che lo svegli anche di notte e lui ci sta. È quello che abita i luoghi che amministra, non quello che in Liguria ci torna a far visita ai parenti alle feste comandate. Stavolta, il centrodestra ci ha azzeccato scegliendo lui per la corsa della vita. Dicono che sia stata una decisione di Giorgia Meloni puntare sul sindaco di Genova. Se così è stato, una ragione di più per complimentarsi con lei. Dicono che il ruvido Marco abbia vinto per un soffio. Sarà, ma ha vinto. Ed è solo questo che conta. Comunque, per gli affezionati ai numeri: Marco Bucci è stato eletto con il 48,77 per cento, pari a 291.093 preferenze, contro il 47,36 per cento (282.669 voti) di Andrea Orlando. Una differenza di 8.424 voti su un totale di votanti di 616.748 (45,97 per cento). Poca roba, ma varrà qualcosa considerare la circostanza che nel giorno clou del voto – domenica scorsa – tutto il Ponente ligure, cioè le province di Savona e Imperia tradizionali roccaforti del centrodestra, erano trafitte da un mare di acqua e fango? Nella provincia di Imperia l’affluenza è stata del 38,11 per cento contro il 50,20 per cento delle Regionali 2020. Nel savonese la percentuale di partecipazione si è fermata al 43,76 per cento, mentre nel 2020 era stata del 55,10 per cento. Considerando che nella circoscrizione di Imperia Bucci ha raccolto il 60,10 per cento e Andrea Orlando il 35,88 per cento; nella provincia di Savona Bucci è al 49,41 per cento, Orlando al 46,38 per cento, è lecito ipotizzare che, in una situazione metereologica migliore, la distanza finale tra i due candidati sarebbe stata più ampia e tutte le ricostruzioni sulla vittoria strappata di un’incollatura sarebbero andate a farsi benedire.
Come si dice, la storia non è fatta di “se”, ma è pur vero che i “se” aiutano a capire la storia. Cosa abbiamo capito? Che Bucci ha vinto, Giorgia Meloni ha vinto, il centrodestra se l’è cavata alla grande; che la magistratura politicante ha perso; che la sinistra a traino delle inchieste giudiziarie ha perso; che le teorie di decrescita felice e di ambientalismo integralista hanno perso. Che il voto è stato un riconoscimento postumo al buon lavoro svolto da Giovanni Toti, accoltellato alle spalle da una giustizia da guerra di bande di quartiere. Che Davide Casaleggio aveva ragione nel vaticinare che dalla lotta all’ultimo sangue tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte ne resterà uno solo, di votante 5 stelle. Se non è una buona giornata questa, what else?
Aggiornato il 31 ottobre 2024 alle ore 09:40