Divertiamoci un po’. Chiudete gli occhi e fate uno sforzo d’immaginazione: arriva di fronte a voi un politico grigio e privo di carisma, che prova uno sterminato piacere ogniqualvolta si crogiola negli insuccessi guadagnati con fatica. “Rottamato” da un suo collega (come lui, originario della Toscana), ha fatto schiantare la coalizione di cui era leader ottenendo una cocente sconfitta alle elezioni. E dopo essere riapparso all’improvviso chez Floris, crede di poter dispensare consigli in pompa magna. Ma non si arrende all’idea di essere completamente fuori dal mondo – out of touch, direbbero con un pizzico di acrimonia gli inglesi. Avete indovinato di chi sto parlando? È proprio lui, il soporifero Enrico Letta.
L’ex segretario del Partito democratico è tornato sotto le luci della ribalta per una proposta destinata a suscitare scalpore. Ospite di Giovanni Floris a DiMartedì su La7, Letta ha dichiarato che “tutto il Paese, nel suo complesso, dovrebbe nominare senatrice a vita Elsa Fornero”. Le motivazioni che accompagnano questo lampo di genio fanno tremare i polsi: “Ha salvato l’Italia. Se i conti pubblici hanno qualche capacità di reggere in una prospettiva futura, è grazie alla sua riforma delle pensioni. Che è stata accusata di tutte le nefandezze”. Dunque, se seguissimo il ragionamento dell’esponente dem, gli italiani dovrebbero considerare il ministro del lavoro del Governo Monti una sorta di mater patriae. Saremmo chiamati a beatificare colei che ha varato una riforma lacrime e sangue, condannando circa 350mila esodati a rimanere senza assegno pensionistico, senza stipendio e senza ammortizzatori sociali. Lo sconquasso del sistema previdenziale ha determinato degli effetti catastrofici che si ripercuotono ancora oggi sui lavoratori, con buona pace di Enrico Letta.
Queste asserzioni devono sorprenderci? Niente affatto. Sono lo specchio di una mentalità irrimediabilmente statalista, che esalta le ricette calate dall’alto e che giudica l’intervento salvifico del demiurgo di turno come se fosse la panacea di tutti i mali. Scavando in profondità, possiamo trovare il sintomo di un’altra patologia. Paradossalmente, l’infatuazione del Pd per i governi tecnici si impernia su una concezione demagogica del potere. “L’uomo della Provvidenza” soddisfa l’attesa messianica di chi vuole più Stato; nella maggior parte dei casi, il beniamino della sinistra è un anonimo burocrate-docente universitario che viene decantato dalla stampa mainstream. Pur non avendo alcuna legittimazione popolare, si presenta quale artefice di una restaurazione politica e adempie ai diktat di Bruxelles senza battere ciglio. La versione incipriata e “autorevole” del comiziante di strada – con un feticismo per il portafoglio altrui. Come dimenticare il prelievo forzoso retroattivo del 6 per mille sui conti correnti ordito da Giuliano Amato, la patrimoniale sul mattone introdotta da Mario Monti (che pesa ogni anno 22 miliardi di euro) o il Superbonus 110 per cento prorogato e ampliato dal Governo Draghi, un fardello costato oltre 128 miliardi di euro che graverà sulle spalle delle future generazioni per molti decenni.
C’è una frase di Letta che non deve passare inosservata. “Oggi chi sta al governo non la cambia (la riforma Fornero) perché la forza oggettiva delle cose è maggiore rispetto a qualunque altra propaganda”. Pensare che esista un monopolio dell’oggettività è una cifra distintiva dei tecno-progressisti. Questo atteggiamento si ricollega al fatal conceit di memoria hayekiana. I pianificatori – tecnocrati compresi – sono animati da una presunzione fatale che li porta a ignorare una verità imprescindibile: “Nessuna mente umana può comprendere tutte le conoscenze che guidano le azioni della società”. Friedrich von Hayek e gli altri studiosi della Scuola austriaca si sono interrogati a lungo sui fattori che hanno agevolato l’ascesa dei regimi dittatoriali. Il tema si presta a una pluralità di interpretazioni e ha visto il parziale disaccordo tra l’antesignano della prasseologia, Ludwig von Mises, e il vincitore del Premio Nobel per l’Economia nel 1974. I due intellettuali svilupparono teorie antitetiche a proposito del principio ispiratore dei sistemi autoritari, il socialismo. Se il primo riteneva che rappresentasse l’apoteosi dell’irrazionalità, Hayek era convinto che la dottrina di Marx non fosse altro che una forma di scientismo elevata all’ennesima potenza. Possiamo dire, con cognizione di causa, che l’autore de La via della schiavitù avesse ragione. È proprio l’enfasi sulla “infallibilità” del decisore pubblico ad aver instillato la falsa credenza (diffusissima a sinistra, ma che alletta alcuni anche a destra) secondo cui il tecnocrate sia un emancipatore che agisce per migliorare le sorti del Paese. Nominare Elsa Fornero senatore a vita significa ribadire il predominio di una politica impegnata a vessare i suoi sottoposti, che continueranno a desiderare “l’uomo della Provvidenza” anziché prendere in mano le redini delle loro vite.
Aggiornato il 22 ottobre 2024 alle ore 09:38