D’accordo, ci sono le guerre in giro per il mondo di cui si deve parlare. Guai a non farlo. Tuttavia, non è che il precipitare della situazione in Libano e in Ucraina debba diventare un comodo alibi per non vedere cosa accada in Europa. E cosa accade, di là dalle miserabili pagliacciate dei soliti imbecilli antisemiti, che vanno in piazza a fare il tifo per gli assassini seriali, terroristi dichiarati di Hamas e del partito di Dio Hezbollah? Succede che in una tranquilla domenica d’autunno si voti nella civilissima Austria per il rinnovo del Consiglio nazionale (Nationalrat), la prima camera del Parlamento austriaco. E succede che le elezioni vengano vinte, con 1.403.497 voti pari al 28,9 per cento dei consensi (fonte: Ministro dell’Interno austriaco) dal Freiheitliche Partei Österreichs (Fpö) – in italiano, Partito della libertà austriaco – guidato dal 7 giugno 2021 da Herbert Kickl. Il Fpö si colloca attualmente all’estrema destra del panorama politico austriaco, pur avendo associato, nel passato, posizioni marcatamente liberal-conservatrici a una radice identitaria ispirata al nazionalismo pangermanico. Al Parlamento europeo, gli eletti del Fpö aderiscono al Gruppo dei Patrioti per l’Europa, lo stesso in cui siedono gli italiani della Lega di Matteo Salvini, i francesi del Rassemblement National di Marine Le Pen, gli ungheresi del Fidesz di Viktor Orbàn. La scorsa domenica, Fpö ha superato i popolari del Österreichische Volkspartei (Övp), precipitati al 26,3 per cento. Sul terzo gradino del podio, i socialdemocratici del Sozialdemokratische Partei Österreichs (Spö), al 21,1 per cento.
A seguire, i liberali di Neos – Das Neue Österreich und Liberales Forum – con il 9,1 per cento e i verdi di Die Grünen, crollati all’8,2 per cento dei consensi. Ora, il significativo risultato elettorale riportato dalla formazione della destra – quasi un milione e mezzo di voti rispetto a un totale di 4.855.998 voti validamente espressi – non si traduce meccanicamente nella conquista del premierato per il suo leader, Herbert Kickl. Per raggiungere la maggioranza al Nationalrat si dovrà comporre una coalizione di governo il cui baricentro sarà a destra. Possibilità al momento remota, viste le dichiarazioni a caldo dei leader degli altri partiti che escludono a priori un’intesa con Fpö. Comunque, si vedrà. Non è detto che i popolari dell’Övp non decidano di accordarsi con Kickl. Non sarebbe uno scandalo, e neppure una novità dal momento che Övp e Fpö hanno governato insieme nel 1983, nel 1999, nel 2002 e, più di recente, nel 2017. La differenza sostanziale rispetto a oggi è che in passato Fpö ha svolto un ruolo ancillare nel Governo trainato dalla leadership dei popolari. Ciò che invece rileva e che ci preme sottolineare è il trend di crescita complessivo delle destre in tutto il territorio dell’Unione. Se non solo in Austria, ma anche in Paesi come la Germania, l’Olanda, la Francia e buona parte degli Stati dell’ex Patto di Varsavia vince l’estrema destra, un motivo ci sarà. E la questione non può essere liquidata alla maniera snobistica del mainstreaming progressista con un generico quanto stupido monta-l’onda-nera-in-Europa.
Né si possono fare spallucce agli esiti elettorali austriaci cavandosela con un ipocrita: mai con i neonazisti austriaci. Così facendo, oltre a coprirsi di ridicolo, la sinistra rischia di non capire quali siano le istanze reali di una porzione sempre più ampia delle popolazioni dell’Unione europea che stanno facendo avanzare le destre estreme dappertutto nel Vecchio Continente. Nessuno più di noi italiani può comprendere quanto fuorvianti e insensate siano le accuse rivolte dalla sinistra alla destra di intelligenza con il neofascismo o il neonazismo. Ma questo accade quando non si ha una visione del mondo convincente da sottoporre al giudizio dei propri elettori. Allora la si butta in caciara provando a riattualizzare un fattore anacronistico, strappato alla giurisdizione dell’analisi storica e trasformato per necessità di bottega in rappresentazione mitologica. L’antidoto a cui ricorre una sinistra idealmente e programmaticamente spompata non è la riapertura di canali di comunicazione con il sentire profondo delle società civili, come si dovrebbe, ma il dispiegamento di un improbabile “cordone sanitario” anti-fa e anti-nazi.
Insomma, un pedagogico tutti-insieme-appassionatamente, inscenato per difendere il popolo ingenuo formalmente da un impossibile ritorno al passato, nella sostanza da sé stesso. Succede in Italia con il Governo Meloni; accade in Francia per frenare l’ascesa di Marine Le Pen; adesso in Austria. Per impedire che i popolari dialoghino con la destra di Fpö si risuscita la solfa del nazismo alle porte. Ma il gioco alla lunga non funziona e lo spiega bene lo storico Ernst Nolte in un suo scritto del 1987 dal titolo significativo, Il passato che non passa. Sostiene Nolte: “Il tema implica la tesi che ogni passato di solito passa, e che in questo non passare c’è qualcosa di affatto eccezionale. D’altra parte il normale passare del passato non va inteso come scomparsa. Nei libri di storia si continua a discutere dell’età napoleonica o della classicità augustea; ma questi passati hanno perso, ovviamente, l’urgenza che avevano per i contemporanei, e proprio per questo possono essere affidati agli storici. Invece, a quanto pare, il passato nazionalsocialista non soggiace a questo processo di dissoluzione e di indebolimento, ma sembra, al contrario, diventare sempre più vivo e vigoroso: non come modello, bensì come spauracchio, come passato che si pone come presente, o che pende sul presente come una mannaia” (E. Nolte, Il passato che non passa, a cura di Gianfranco Rusconi, Germania, un passato che non passa. I crimini tedeschi e l’identità tedesca, Torino 1987).
Nolte si riferisce alla Germania, ma la sua analisi calza a pennello sulle realtà odierna delle sinistre europee che in Francia, in Italia, in Austria, in Ungheria pretendono di fare del passato il corpo contundente con il quale azzoppare il nemico politico. La conseguenza è che il dibattito pubblico, svicolando dalla presa di coscienza delle istanze reali della popolazione, scivoli rovinosamente nell’enfatizzazione del mito e della sua esorcizzazione. Quando la sinistra diventerà adulta, consentendo a sé stessa di uscire dalla dimensione dell’esorcismo e della condanna emotivo-moralistica e consegnerà fascismo e nazionalsocialismo a un’oggettiva comprensione storica? Si obietterà: si sono uditi alcuni dirigenti di Fpö intonare le canzonette delle SS. E con questo? Anche dalle nostre parti c’è chi giura di aver visto nello studio privato dell’effervescente presidente del Senato, Ignazio La Russa, una statuetta raffigurante la capoccia del Duce. Non è con la sterile condanna di discutibili posture personali che la sinistra potrà candidarsi a soddisfare gli effettivi bisogni di buona parte della popolazione.
In Italia, come in altri Stati d’Europa. Vorrà dire qualcosa se dagli anni Novanta Fpö, nelle analisi sociologiche, figuri essere il partito di riferimento del ceto operaio austriaco in luogo di una socialdemocrazia che non ha saputo più parlare al suo mondo di riferimento – la classe lavoratrice – preferendo connettersi alle istanze della media-alta borghesia. Come, d’altro canto, è accaduto in Francia con il Rassemblement National e, per il periodo dell’ascesa nei consensi, anche con la Lega in Italia. Piuttosto che i rigurgiti del totalitarismo novecentesco si dovrebbe considerare – ai fini della comprensione del generale stato d’insoddisfazione che attraversa i ceti medi tradizionali e le classi meno abbienti dell’Unione europea – l’incidenza negativa sul mercato del lavoro e sul benessere sociale ed economico individuale e collettivo dei popoli dell’affermarsi delle logiche esasperate di un turbocapitalismo selvaggio, lasciato libero di scorrazzare nell’immensa prateria della globalizzazione. Riguardo specificamente alla situazione austriaca, il punto di frizione – aggiungiamo noi: che mette le ali del consenso ai partiti populisti in tutta Europa – è l’Islam e l’immigrazione, che mette una certa pressione su un mercato del lavoro per persone poco qualificate e che minaccia una visione della società più tradizionale dal punto di vista culturale ed etnico (Torben Krings, It’s xenophobia, stupid!” Soziodemografische Merkmale und Einstellungen der Fpö Wähler innen, Österreichische Zeitschrift für Soziologie, 2024).
La preoccupazione più grande è che ci toccherà assistere allo schizofrenico scollamento della sinistra dalla realtà, destinato a ingigantire la linea di faglia tra l’alto e il basso delle società europee, con classi dirigenti progressiste sempre più chiuse nella propria autoreferenzialità, totalmente sorde ai segnali d’allarme lanciati a più riprese da un numero crescente di uomini e donne europei. Di questo passo, se anche la destra riformista e conservatrice dovesse andare dietro a una tale chiave di lettura “suicida” della politica, non dovremo più preoccuparci di chi in Europa prenderà più voti, perché non ci sarà più un’Europa con cui prendersela. E, perché no, in cui sperare.
Aggiornato il 03 ottobre 2024 alle ore 10:19