La sinistra ci gode a sguazzare nel pettegolezzo più becero, come rospo immerso nel fango paludoso. La vicenda che sta tenendo banco è nota ed è tanto squallida che per decenza neanche ci va di menzionare. Resta, tuttavia, l’insopportabile ipocrisia della sinistra che su ogni questione che capiti alla destra, anche la più irrilevante sul piano dell’interesse pubblico, si erge in cattedra e ne fa argomento di etica pubblica. Ma ci facciano il piacere, questi moralisti da due soldi che funzionano a corrente alterna. Deve essere proprio vero che quando Giove assegnò a ciascuno di noi due bisacce, da portare una sul ventre con i vizi altrui e l’altra sulla schiena con i vizi propri, ai “compagni” dovette anche immobilizzare la cervicale così che, grazie alla visione laterale impedita, non potessero vedere nulla non solo dei loro vizi ma anche delle loro più squallide malefatte. Di certo sarà stato per il difetto imposto loro da Giove alla nascita che nessuno, dalla sede del Nazareno fin ai più remoti circoli di paese del Partito democratico, si è accorto di nulla quando è scoppiato il “caso profumo”. Non parliamo del più noto scandalo a sfondo politico-sessuale che, nel 1963, scosse le massime istituzioni britanniche, ma più banalmente della boccetta di acqua di colonia che l’onorevole Piero Fassino, già segretario dei Democratici di sinistra (Ds) dal 16 novembre 2001 al 14 ottobre 2007 nonché ministro del Commercio estero e della Giustizia nei Governi D’Alema, si è “distrattamente” infilato in tasca e che, sempre “distrattamente”, ha dimenticato di pagare. Peccato che sia stato beccato con le mani nel sacco dalla sorveglianza dell’esercizio commerciale. Nell’occasione, tutti zitti mentre l’indignazione morale si era presa una vacanza? Questa sinistra ci disgusta ogni giorno di più non solo per ciò che dice, ma per quello che fa di male al Paese.
Distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi reali che l’Italia deve affrontare è da irresponsabili. Una politica seria dovrebbe occuparsi e preoccuparsi del report sulla competitività dell’Unione europea rispetto agli attori economici globali, che Mario Draghi si accinge a presentare alla Commissione europea. Il lavoro gli è stato commissionato un anno fa dalla presidente Ursula von der Leyen che, presumibilmente, vuole farne la piattaforma programmatica del suo nuovo quinquennio alla guida della Commissione. Ieri l’altro, lo stesso Draghi ha fatto trapelare alcune anticipazioni nel corso dell’incontro con i capigruppo delle forze presenti all’Europarlamento. Stando a quanto emerso, l’ex premier italiano avrebbe delineato scenari da incubo se l’Unione europea nel suo complesso non dovesse intervenire in modo drastico sul piano delle riforme economiche e istituzionali dell’organizzazione comunitaria. Avremo tempo e modo di approfondire il contenuto della circa 400 pagine di cui si compone il rapporto, tuttavia non possiamo sorvolare su ciò che Draghi sottolinea nei suoi Cahiers de doléances. La competitività del sistema Europa è stata frenata da alcuni fattori negativi: il ritardo nella capacità di innovazione, l’aumento dei prezzi dell’energia, la mancanza di manodopera specializzata, la necessità di accelerare rapidamente il processo di digitalizzazione. Ulteriore freno è ascrivibile all’incapacità politica di mettere a sistema una comune difesa europea. Non sappiamo quali ricette l’ex banchiere centrale abbia predisposto per invertire il trend negativo della competitività economica dell’Unione, lo scopriremo a breve.
È lecito sperare che vi sia più di un generico riferimento alla necessità di fermare la follia del piano di transizione green il quale ha cominciato a far sentire i suoi devastanti effetti sulle produzioni industriali dei Paesi dell’Unione. La notizia del giorno è l’annuncio da parte dell’amministrazione di Volkswagen della chiusura di alcuni siti produttivi. Una cosa del genere non era mai accaduta nella quasi secolare storia della casa automobilistica tedesca. Ma i numeri parlano chiaro: l’elettrico non tira e costa un botto. Secondo le stime pubblicate dal quotidiano Handelsblatt, perché la transizione all’auto elettrica sia sostenibile l’azienda deve tagliare entro il 2026 costi per dieci miliardi di euro. Quindi, non pericolosi sovranisti alla Matteo Salvini ma l’amministratore delegato di Volkswagen, Oliver Blume, ha dichiarato che “L’ambiente economico è diventato ancora più duro e nuovi attori stanno investendo in Europa”. Evidente il riferimento ai capitali cinesi che stanno intervenendo a bruciare la concorrenza del sistema industriale europeo, e tedesco in particolare, in un settore produttivo – la mobilità elettrica – su cui la Cina intende imporre la sua supremazia. Taglio dei costi vuol dire licenziamenti. E una crisi occupazionale che colpisce quella che un tempo era considerata la locomotiva industriale d’Europa non è una buona notizia.
A maggior ragione non lo è per l’Italia, di cui un segmento produttivo importante è direttamente connesso all’andamento della produzione industriale tedesca. Riguardo al comparto automobilistico, da noi le cose non vanno meglio che in Germania. Anzi. Siamo all’ennesimo episodio del mondo al contrario di “vannacciana” memoria quando ci tocca sentire un rappresentante degli industriali usare toni e parole degne di un esagitato sindacalista di base. Francesco Borgomeo, presidente di Unindustria Cassino, intervistato dall’Ansa sui timori degli imprenditori laziali del settore, ha dichiarato: “Faremo una manifestazione pubblica, forte, degli imprenditori che diranno: o condividiamo nuove regole o queste sono le chiavi delle imprese, ve le portiamo perché tanto qui non c’è più prospettiva”. E ancora, sull’approccio ideologico-talebano green dell’Ue, che ha portato alla sciagurata decisione, per i produttori e per i consumatori europei, di fissare al 2035 lo stop ai motori termici: “Come disse Sergio Marchionne, noi siamo pronti a costruire una transizione verso le auto elettriche ma deve esserci una effettiva produzione di energia da fonti rinnovabili, altrimenti è tutto finto, una truffa: parliamo, comunque, di energia da fossile”. Eppure, non dovrebbe essere il contenuto del report draghiano il nostro incubo peggiore. C’è il report sulla stabilità finanziaria stilato dagli analisti finanziari della Banca centrale europea, apparso sulla Financial Stability Review. La pubblicazione del documento risale al maggio scorso ma, a eccezione degli addetti ai lavori, il suo contenuto esplosivo è passato sotto silenzio.
Cosa dicono i cervelloni di Francoforte? Che se il rischio nel breve termine di una recessione, accompagnata da un aumento della disoccupazione, è più basso rispetto alle stime precedenti, le tensioni geopolitiche sono fonte significativa di rischio non solo per la stabilità finanziaria dell’area dell’euro, ma anche per la stabilità finanziaria globale. Chiaro il concetto? Gli esperti ci informano che tutto il sistema può finire gambe all’aria se la situazione in Ucraina dovesse peggiorare – come in effetti sta peggiorando – a danno dell’impegno occidentale a sostenere una guerra di lunga durata contro la Federazione Russa. Non i filo-putiniani all’amatriciana di casa nostra ma autorevoli teste d’uovo della Bce affermano senza peli sulla lingua che: “L’incertezza politica rimane elevata in tutto il mondo in un anno caratterizzato da così tante elezioni importanti. In un simile contesto, la portata di sorprese economiche e finanziarie avverse è elevata e le prospettive di rischio per la stabilità finanziaria dell’area dell’euro rimangono di conseguenza fragili”.
Fragilità la cui possibilità di tenuta finanziaria dell’Unione europea nel suo complesso è demandata alla capacità di assorbimento degli shock che ogni singolo Paese sarà in grado di opporre all’onda di crisi. Sarà o no un problema verificare se e quanto il sistema Italia possa reggere allo stress di eventi geopolitici avversi? Sapevamo fin dall’inizio che l’avventura ucraina ci sarebbe costata cara, ma non sapevamo quanto cara. L’incubo è che il conto che ci verrà presentato si rivelerà troppo salato per le nostre magre tasche. Intanto, da Francoforte hanno trovato un modo elegante per farci sapere che non dovremo aspettarci miracoli dal board della Bce riguardo al drastico calo del costo del denaro. Se tale intervento ci sarà, si tratterà di un lieve ritocco. Nulla che possa imprimere una spinta decisiva al rilancio dell’economia in tutta la zona euro. E, con questi chiari di luna, al Governo tocca mettere mano a una Legge di Bilancio che seppure non sarà lacrime e sangue non farà fare salti di gioia a nessuno. Ma la sinistra pensa al gossip e alle sparate moralistiche. D’altro canto, cos’altro potrebbe fare di utile per il Paese? Andare a giocare in autostrada?
Aggiornato il 09 settembre 2024 alle ore 10:19