Negli anni Sessanta l’indimenticato Bruno Martino cantava “Odio l’estate”. Come dargli torto, riguardo alla politica. La stagione calda non ha soltanto solleticato la voglia matta di alcuni esponenti del centrodestra di straparlare lanciando proposte bislacche sul fronte dell’ampliamento dei diritti di cittadinanza.
L’estate, ormai da anni si caratterizza per l’accresciuta improntitudine della sinistra nell’avvelenare il dibattito politico attraverso la propalazione mediatica di autentiche “bufale”.
Tra queste il tormentone più gettonato dell’estate da Elly Schlein e soci assortiti è stato: l’Italia in Europa è isolata, la Meloni non conta niente a Bruxelles e la nomina della futura squadra di Governo della Ue vedrà pesantemente penalizzato il nostro Paese. Motivo: il mancato voto favorevole di Fratelli d’Italia alla riconferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione. Ovviamente, tutte balle.
Per inciso, è disgustoso che l’odio irriducibile verso il nemico politico possa spingere una fazione a desiderare il male della propria nazione. Ma questa è la sinistra, bellezza! E quando mai i “compagni” hanno tifato per l’Italia? Comunque, tranquilli tutti. Non accadrà di vedere l’Italia messa all’angolo in Europa, per molte fondate ragioni.
La prima. Riguardo al voto sulla von der Leyen. Siamo proprio sicuri che vi sia stata effettivamente tra le due leader la tanto reclamizzata (dalla sinistra) rottura? Abbiamo più di un dubbio al riguardo. La decisione finale della Meloni di negare ufficialmente il voto alla von der Leyen – posto che questo sia realmente accaduto nel segreto della cabina elettorale – potrebbe essere stata una manovra concordata tra le due per evitare alla tedesca di perdere l’appoggio del gruppo parlamentare dei Verdi – e della stessa compagine socialista, che aveva annunciato apertamente il ritiro dalla partita della riconferma se Ursula avesse aggregato nel patto di maggioranza anche i rappresentanti dei conservatori, in particolare la presidente dell’Ecr, Giorgia Meloni.
Messa così, la dichiarazione di voto contrario di Fratelli d’Italia alla von der Leyen sarebbe stato non il tradimento di una promessa fatta ma l’eroico sacrificio di una leader amica per spianarle la strada alla rielezione, altrimenti compromessa. Quindi, un favore. E, com’è noto, in politica è buona regola ricambiare i favori ricevuti.
La seconda. Si è fatto un gran parlare della ricostituita maggioranza “Ursula” tra popolari, socialisti e liberali, allargata all’apporto dei Verdi. Ma questa roba vale per le dinamiche in seno al Parlamento europeo. Peccato però che la signora von der Leyen non debba soltanto rispondere all’assemblea di Strasburgo, ma debba negoziare le sue scelte con i leader governativi dei Paesi membri. E lì gli equilibri sono alquanto diversi da quelli palesati al Parlamento europeo.
Attualmente nell’Unione, sui 27 Paesi membri, undici di essi (circa 141 milioni di persone) sono governati da forze di destra o centrodestra. In altri dieci (circa 168 milioni di abitanti) vi sono coalizioni che comprendono partiti di centrodestra e di centrosinistra. Tre nazioni (circa 51 milioni di abitanti) sono amministrate dalla sinistra. In due (Francia, Belgio), sono in corso negoziati tra le forze politiche per la formazione del Governo; in uno (Bulgaria) vi è un Governo provvisorio di minoranza in attesa di nuove elezioni.
Ora, con tale scenario è lontanamente ipotizzabile che la von der Leyen faccia la schifiltosa e rifiuti la collaborazione della Meloni? La presidente della Commissione avrà bisogno come il pane dell’italiana, nella speranza che possa fare da ufficiale di collegamento con quegli esponenti della destra, a cominciare dal vituperato ungherese Victor Orbàn, senza il cui placet ai provvedimenti proposti, checché ne dica la sinistra, la Commissione non va da nessuna parte, a maggior ragione in tempi difficili e di guerra quali sono gli attuali.
Prova ne è stata la presenza di Manfred Weber – leader dei Popolari europei – a Roma, a colloquio con la nostra presidente del Consiglio. Secondo voi, il tedesco è venuto a dare rassicurazioni alla Meloni sul ruolo centrale dell’Italia nella Ue o a riceverne sul comportamento che il premier italiano terrà nei confronti della Commissione? Propendiamo decisamente per la seconda ipotesi.
La terza. Comunque intenda muoversi la von der Leyen nella scelta dei suoi compagni di viaggio non può non tenere conto del peso specifico degli Stati di cui i candidati commissari sono espressione. Orbene, per giochi di partito la signora Ursula ha accettato la scelta della estone Kaja Kallas ad Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione. Con tutto il rispetto per la signora Kallas, ma lei viene da un Paese, l’Estonia, di 1.374.687 abitanti (dati Ue 2024); con un Pil totale che nel 2023 è stato di 37,7 miliardi di euro (lo 0,2% dell'Ue), mentre l’Italia resta la terza forza economica dell’Unione, con un Pil nel 2023 di 2.085.376 milioni di euro (fonte: Istat) nonché la seconda manifattura del continente. Solo un pazzo potrebbe pensare di mettere da parte uno Stato membro che esprime una tale capacità economica. E della signora Ursula molto di negativo si può dire, fuorché sia una “svalvolata”.
La quarta. Il fattore personale nell’individuazione del commissario europeo in quota italiana. La scelta operata dalla Meloni, che ha raccolto il pieno consenso dell’intera maggioranza, è caduta su Raffaele Fitto. Decisione astuta. Perché? Il pugliese Fitto non è soltanto un ottimo ministro dell’attuale Governo, con un profilo da vecchio democristiano che a Bruxelles fa ancora un certo effetto. Raffaele Fitto è per sua natura un tessitore, non solo di relazioni personali ma anche di soluzioni politiche di alto profilo. Pochi ricordano che fu lui, da fresco membro del gruppo dei Conservatori europei, senza avere alcun seguito di eletti in Italia al Parlamento europeo, a sbloccare l’impasse per l’elezione nel 2017 del presidente del Parlamento europeo. Nella circostanza, la convergenza alla quarta votazione dei 74 voti dei conservatori sul nome dell’italiano Antonio Tajani consentì al Partito popolare europeo di spuntarla sulle sinistre che avevano candidato alla successione dell’uscente Martin Schulz un altro italiano, il socialista Gianni Pittella. Considerando che nel novero dei 74 voti dei conservatori dovevano essere conteggiati anche i 19 della rappresentanza britannica, ormai disinteressata agli assetti Ue dopo l’esito del referendum sulla Brexit, il lavoro “diplomatico” svolto per condurre a una convergenza dell’Ecr sul nome di Antonio Tajani ha recato l’inconfondibile impronta del tessitore pugliese. E visto che in politica, a dispetto dei luoghi comuni, la gratitudine è ancora un valore, ben si comprende l’entusiasmo odierno del vicepremier Antonio Tajani nel tessere le lodi di Raffaele Fitto come miglior candidato italiano a commissario della Commissione con un incarico di particolare rilievo. E si comprende il perché del sostegno offerto da Manfred Weber alla candidatura di Fitto a nome di tutto il Partito popolare Europeo.
Ora, se Weber è contento, se i popolari sono contenti perché mai non dovrebbe esserlo la von der Leyen che è anch’essa un’espressione del Ppe?
Resta, a questo punto, da verificare il comportamento che la sinistra italiana assumerà in sede europea quando il Parlamento europeo sarà chiamato ad approvare le nomine dei commissari proposti dalla von der Leyen. Come si posizioneranno i “compagni” al momento del voto per la ratifica della nomina di Fitto?
Saranno responsabili, rendendosi disponibili a fare squadra con la maggioranza di centrodestra nell’esclusivo interesse del Paese, o continueranno testardamente a fare ciò che gli riesce meglio: gli antitaliani?
Aggiornato il 02 settembre 2024 alle ore 10:47