L’eliminazione di Haniyeh: una buona notizia

L’uccisione, per mano israeliana, a Teheran, di Ismāʿīl Haniyeh, leader politico dell’organizzazione terrorista Hamas, sta scuotendo un tremebondo Occidente che conferma, anche in questa occasione, di essere paralizzato dalla paura del precipitare degli eventi. Come se davvero si potesse credere possibile una soluzione pacifica tra Israele e i palestinesi quando di mezzo c’è Hamas. È semplicemente inaccettabile che taluni leader occidentali osteggino il Governo di Benjamin Netanyahu ponendolo, nell’attribuzione delle responsabilità per la crisi in atto, sul medesimo piano degli assassini di Hamas. Vogliamo essere chiari sul punto: l’uccisione di Ismāʿīl Haniyeh è stato un bene per la sicurezza dello Stato ebraico e anche per il nostro mondo, che da ieri è un posto migliore in cui vivere senza la presenza di uno spietato tagliagole. Qualche anima bella obietta: con la morte del principale negoziatore per conto di Hamas nessun accordo di pace sarà più possibile. Ma di quale pace si farfuglia? Quella della strage del 7 ottobre? Ismāʿīl Haniyeh non è mai stato un sincero negoziatore. Il suo compito era di prendere tempo perché la rappresaglia israeliana all’attacco proditorio subito lo scorso anno provocasse quanti più morti possibili tra i civili palestinesi e, in conseguenza di ciò, facesse montare nel mondo un sentimento di ostilità verso gli israeliani.

Ismāʿīl Haniyeh è lo squallido figuro che si è mostrato in mondovisione a festeggiare e a ringraziare il Profeta per il massacro di ebrei innocenti che i suoi sgherri compivano nel Sud di Israele, al confine con la Striscia di Gaza. Ismāʿīl Haniyeh è colui che ha incitato la popolazione di Gaza, all’indomani della strage, con farneticanti parole: “Il sangue delle donne, dei bambini e degli anziani (palestinesi, ndr) siamo noi che abbiamo bisogno di questo sangue per risvegliare lo spirito rivoluzionario dentro di noi, per spingerci avanti”. Ma lo ha fatto dalla sua lussuosa residenza di Doha, in Qatar, dove ha vissuto fino a qualche giorno prima della sua eliminazione nel lusso sfrenato. Ismāʿīl Haniyeh si è arricchito alle spalle di quel popolo che avrebbe voluto mandare al massacro in nome di Allah e delle sue brame di potere. Ciononostante, Ismāʿīl Haniyeh è stato l’interprete autentico e devoto della missione che si è data Hamas. Missione che nello spirito e nella lettera non ammette alcun patto di pace con Israele, nemico ontologico. Come gli occidentali ancora si illudano che un’intesa, per di più sincera e duratura, resti nell’orizzonte della diplomazia in Medio Oriente, rimane un mistero. Non lo dicono i “cattivi” israeliani ma è scritto nella carta costitutiva di Hamas, sia nella versione originaria del 1987, sia in quella modificata del 2017.

Hamas è un acronimo, e sta per Movimento di resistenza islamica della Palestina (Harakat al-Muqawama al-Islamiyya). Fondato nel 1987 dal leader nazionalista palestinese Ahmed Yasin, Hamas è stata considerata un’appendice territoriale dell’organizzazione integralista dei Fratelli musulmani. Il suo scopo fondante è “liberare la Palestina e contrastare il progetto sionista. Il suo sistema di riferimento è l’Islam, che ne determina i principi, gli obiettivi e i mezzi” (articolo 1). Ma cosa intendono i suoi militanti per Palestina? La risposta è all’articolo 2 dello Statuto: “La Palestina, che si estende dal fiume Giordano a est al Mediterraneo a ovest e da Ras al-Naqurah a nord a Umm al-Rashrash a sud, è un’unità territoriale integrale. È la terra e la casa del popolo palestinese. L’espulsione e l’esilio del popolo palestinese dalla sua terra e l’insediamento dell’entità sionista al suo interno non annullano il diritto del popolo palestinese all’intero territorio e non conferiscono alcun diritto all’entità sionista usurpatrice”.

In pratica, esiste in natura la Palestina mentre Israele sarebbe una finzione giuridico-politica. Ne consegue che i palestinesi hanno il diritto-dovere di riprendersi ciò che a loro è stato dato da Allah. E gli ebrei? Possono starci se sottomessi alla sovranità dell’identità palestinese. Diversamente, “il progetto sionista è un progetto razzista, aggressivo, coloniale ed espansionistico basato sull’appropriazione delle proprietà altrui; è ostile al popolo palestinese e alla sua aspirazione alla libertà, alla liberazione, al ritorno e all’autodeterminazione. L’entità israeliana è il giocattolo del progetto sionista e la base per la sua aggressione” (articolo14). Quindi, per gli accoliti di Hamas la ultramillenaria storia di Israele e del popolo ebraico non esiste, è cancellata con un tratto di penna, o sarebbe più appropriato dire con una striscia di sangue, dal delirio del fanatismo islamista. E le posizioni assunte dalla comunità internazionale? Per Hamas non valgono nulla.

Recita l’articolo 18 dello Statuto, in ordine all’occupazione territoriale e alle soluzioni politiche: “Sono considerati nulli e non validi: la Dichiarazione Balfour, il Documento del mandato britannico, la Risoluzione delle Nazioni Unite sulla spartizione della Palestina e tutte le risoluzioni e le misure che ne derivano o che sono simili ad esse. L’istituzione di Israele è del tutto illegale e contravviene ai diritti inalienabili del popolo palestinese e va contro la sua volontà e quella della Ummah; inoltre viola i diritti umani garantiti dalle convenzioni internazionali, primo fra tutti il diritto all’autodeterminazione”. E ancora, all’articolo 19: “Non ci sarà alcun riconoscimento della legittimità dell’entità sionista. Qualsiasi cosa sia accaduta alla terra di Palestina in termini di occupazione, costruzione di insediamenti, giudaizzazione o modifica delle sue caratteristiche o falsificazione dei fatti è illegittima. I diritti non decadono mai”. Per noi europei che la facciamo facile resta sempre la scappatoia del: “Sono cose scritte sulla carta, poi la realtà è altro”. Altro un corno! L’articolo 25 dello Statuto di Hamas è categorico sul che fare con Israele: “Resistere all’occupazione con tutti i mezzi e i metodi è un diritto legittimo garantito dalle leggi divine e dalle norme e leggi internazionali. Al centro di queste c’è la resistenza armata, che è considerata la scelta strategica per proteggere i principi e i diritti del popolo palestinese”.

Ora, vi sembra possibile trattare con chi si è dato tali principi? Con chi si sente legittimato da Dio a estirpare gli ebrei da quella che considera la sua terra? La stupidaggine dei “due popoli, due Stati” è una fantasia creata per appagare i sentimenti di colpa di un Occidente che ha la coscienza sporca sulla questione israelo-palestinese fin dai tempi della prima guerra arabo-israeliana del 1948. Gli israeliani hanno tutto il diritto di non fidarsi dei tagliagole e neanche di quei palestinesi in doppiopetto, la cui ambiguità politica e morale è legittima causa di diffidenza. L’unica soluzione possibile al problema palestinese a Gaza – e in parte della Cisgiordania – è l’annientamento totale di Hamas. Tertium non datur. La guerra? Sì, la guerra. Perché in alcuni casi essa, come sentenziava Filippo Tommaso Marinetti, è la sola igiene del mondo, checché ne pensino gli utili idioti del pacifismo nostrano. E nessuno meglio di noi europei dovrebbe sapere che con i criminali non si scende a patti.

Cosa sarebbe stato dell’Europa, e dell’Occidente, se Winston Churchill avesse dato ascolto alle sirene domestiche che, nel 1940, gli suggerivano di trovare un accordo con Adolf Hitler per far cessare la guerra e tirare fuori la Gran Bretagna dalla tragedia in cui si era cacciata? È vero, certi paragoni non si possono azzardare. D’altro canto, parlando di Churchill, come metterlo in relazione con un Joe Biden o un Emmanuel Macron? Ecco il motivo per il quale, invece di gioire perché, grazie agli israeliani, c’è una canaglia di meno sulla faccia della terra, dobbiamo registrare la preoccupazione dell’Europa e degli Stati Uniti per un possibile allargamento della crisi nella regione mediorientale con l’ingresso in campo dell’Iran. Al regime oscurantista e criminale di Teheran un Occidente pienamente consapevole della forza della sua civiltà e del suo destino nella Storia dovrebbe saper dire, con una voce sola, perché i suoi grandi sponsor che stanno a Mosca e a Pechino intendano: “Non provarci, se alzi un dito ti radiamo al suolo” e al tiranno turco Recep Tayyip Erdoğan, che gioca a fare il lord protettore del fanatismo integralista islamico e si propone di invadere Israele: “Datti una calmata, o ti tagliamo i viveri”. Ma tutto questo non interessa al mainstream occidentale, impegnato com’è a riscrivere la storia sotto dettatura dei fanatici della cancel culture e dell’ideologia woke. Sono anni ormai che sentiamo parlare di declino dell’Occidente e per anni ci siamo domandati come sarebbe stato, come ce ne saremmo accorti, quali i segnali che ci avrebbero messo sull’avviso. Adesso lo sappiamo.

Aggiornato il 05 agosto 2024 alle ore 09:51