Poniamoci una domanda: davvero Silvio Berlusconi, se fosse ancora in vita, sarebbe orgoglioso dei suoi eredi politici in Forza Italia? Consentiteci qualche fondato dubbio. Lasciamo per un momento da parte l’atteggiamento oltranzista che il Governo Meloni ha assunto nei confronti della Russia – Berlusconi vivo non avrebbe mai permesso ai suoi e agli alleati di esprimersi nei riguardi di Vladimir Putin con toni tanto offensivi – e consideriamo invece come Antonio Tajani si stia muovendo all’interno del Partito popolare europeo.
Già, perché la frontiera della nuova Europa passa da quello che sarà il futuro assetto della Commissione europea e, soprattutto, dagli equilibri politici che la sosterranno. La partita è in corso e una prima risposta la si avrà il prossimo 18 luglio, quando il Parlamento europeo sarà chiamato a confermare Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione per la legislatura appena cominciata nonché la scelta dell’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera e di Sicurezza nella persona della signora Kaja Kallas, attuale primo ministro del Governo estone. Per superare lo scoglio della maggioranza assoluta dei voti, Ursula von der leyen si rivolge alla maggioranza politica che l’ha sostenuta nella precedente legislatura e che è formata dai popolari, dai socialisti e dai liberali.
Le tre forze da sole avrebbero i numeri per la sua rielezione ma la baronessa tedesca non si fida. Sa che nel segreto dell’urna potrebbero entrare in azione i franchi tiratori e la maggioranza di cui dispone sulla carta non è abbastanza ampia da assicurarle la neutralizzazione dei nemici nascosti. Ragion per cui la signora von der Leyen ha avviato un giro di consultazioni “pro domo sua” tra le forze che potrebbero garantirle i voti necessari alla rielezione. Escluse le ali estreme – sia di destra sia di sinistra – presenti nel nuovo Parlamento, la candidata si è mossa a 360 gradi guardando prima ai conservatori e successivamente al gruppo dei Verdi. Scrivi Conservatori, leggi Giorgia Meloni.
Il nostro premier, benché osteggiata dalla sinistra socialista e dai liberali, non si è sottratta al confronto facendo chiaramente intendere che a determinate condizioni i voti se non di tutto il gruppo Ecr ma quanto meno di Fratelli d’Italia – che non sono pochi – sarebbero andati a lei. A puntellare un possibile accordo von der Leyen-Meloni è intervenuto Tajani, il quale non soltanto ha auspicato l’intesa tra le due signore della politica europea ma ha affermato con chiarezza che il Ppe non avrebbe dovuto consentire l’allargamento della maggioranza ai Verdi. Posizione condivisibile che risponde a un’esigenza ben più ampia della sola riconferma della signora von der Leyen alla guida della Commissione. In gioco vi è principalmente la revisione integrale delle politiche sul Green Deal, varate dalla precedente Commissione e che hanno soddisfatto le istanze del fanatismo ambientalista danneggiando fortemente gli interessi industriali e produttivi del continente. È di tutta evidenza che l’ingresso in maggioranza dei Verdi non sarebbe a titolo gratuito ma richiederebbe come contropartita la ripresa di quel Piano ambientale per l’Europa che le categorie produttive di tutti i Paesi dell’Ue temono più della peste.
A ribadire il concetto vi è la dichiarazione rilasciata dalla responsabile Green in Europa, Terry Reintke, a seguito dell’incontro con la candidata alla presidenza della Commissione: “L’Ue necessita di una maggioranza stabile che assicuri il proseguimento del Green Deal e che l’industria europea sia leader nella transizione verde”. Le notizie che giungono da Bruxelles in queste ore confermano che la von der Leyen si sia mostrata prona ai diktat imposti dai Verdi e dai Liberali per tenere fuori dalle trattive i conservatori, e in particolare Giorgia Meloni.
Ora, che la von der Leyen pensi a sé stessa ci sta. E ci sta anche che forze progressiste come i Verdi e i Liberali vendano a caro prezzo il loro appoggio alla rappresentante del Ppe. Quello che invece non è chiaro è il comportamento che intenderà assumere il Partito popolare europeo di fronte a tale evoluzione di scenario. I vertici del primo partito in Europa pensano di svoltare a sinistra ignorando totalmente l’indicazione venuta dai popoli europei che nell’ultima tornata elettorale hanno favorito un fortissimo avanzamento della destra in tutte le sue declinazioni? E se così fosse, quale sarebbe la posizione della pattuglia di Forza Italia? Obbedisce all’ordine di scuderia impartito dal vertice del Ppe o trova il coraggio di scartare di lato? Tajani era stato lapidario nell’affermare che mai il Ppe avrebbe dovuto aprire ai Verdi. Se ciò dovesse accadere nelle prossime ore, il fido collaboratore di una vita di Silvio Berlusconi che farà? Risponderà alla maniera dell’inossidabile comunista, venditore di pedalò, creato dalla fantasia del comico Maurizio Ferrini: “Non capisco, ma mi adeguo”? C’è aria di “contrordine compagni!” dalle parti del gruppo di Forza Italia.
Ieri l’altro il capogruppo forzista all’Europarlamento, Fulvio Martusciello, dopo l’incontro con von der Leyen ha dichiarato: “Abbiamo ottenuto ampie rassicurazioni su un approccio moderato rispetto al Green Deal che garantisca la competitività. Abbiamo chiesto che non ci sia più un super commissario al Green Deal ma che le deleghe vengano divise e assegnate a seconda del reale impatto e competenza. Abbiamo chiesto una semplificazione perché non sia un’Europa delle regole e una politica industriale non intrisa da posizioni ideologiche”. Tradotto dal politichese, questa è la formula dell’acqua fresca. Martusciello è napoletano, quindi ben comprende il significato dell’espressione “mettere le ami avanti per non cadere indietro”. Preveniamo l’obiezione: il povero Tajani sta sudando quattro camicie per convincere i partner nel Ppe ad aiutarci ad avere un commissario di peso all’interno della nuova Commissione europea. E noi dovremmo sentirci grati e soddisfatti per questo? È assurdo ciò che sta accadendo. La terza economia dell’Unione, la seconda manifattura in Europa, la partecipante al maggior numero di missioni militari di pace in giro per il mondo, la storica contributrice netta al bilancio Ue, in una parola: l’Italia, avrebbe bisogno di procurarsi sponsor per avere ciò che le spetta di diritto? In un’organizzazione di Stati dove il posto di Alto Rappresentante della politica estera e di sicurezza dell’Ue è affidato a un esponente dell’Estonia, Paese ricordato per le foreste millenarie e per le aringhe affumicate, dovremmo essere noi a preoccuparci di strappare uno strapuntino? E per questo, dire grazie ai flessuosi giunchi forzisti?
La verità è che gli “azzurri” di oggi sono berlusconiani sono a parole. Nei fatti sono democristiani della specie più aggrappata alle liane del potere da qualunque parte esso si manifesti. Tajani, che tiene tanto a ripetere a ogni piè sospinto quanto il leone di Arcore gli abbia insegnato, si domandi cosa farebbe il Cavaliere in simili circostanze. Berlusconi, nel corso della sua vita politica, ha fatto saltare tavoli importanti al pari di quello allestito a Bruxelles solo perché non lo convincevano le soluzioni che si sarebbero dovute adottare. Un esempio per tutti: la Bicamerale con Massimo D’Alema, nel 1998. E il fido Antonio non trova la forza di dire ai suoi amici del Ppe: una Ursula sotto ricatto dei Verdi non la votiamo e ci adopereremo perché anche altri presenti nel Ppe, che non accettano di sottomettersi al progressismo ecologista, facciano lo stesso. I media italiani si preoccupano tanto di ciò che fa Matteo Salvini in Europa paventando chissà quali sfracelli per l’Italia. Possibile che nessuno si chieda come potrebbe guastarsi in futuro la convivenza nella stessa maggioranza con una forza politica che a Bruxelles si è “venduta” alla peggiore sinistra e ha accettato che uno sconfitto in patria – Emmanuel Macron – ponesse come condizione alla partecipazione del suo gruppo alla maggioranza in Europa l’isolamento del capo del Governo italiano? Se a Tajani tutto questo sta bene, affari suoi. Ma abbia la decenza di non raccontare in giro di essere stato l’allievo migliore di Silvio Berlusconi. Perché, se fosse vero, vorrebbe dire che il discente Tajani ne ha fatto di “filoni” a scuola quando il maestro Silvio dava lezioni.
Aggiornato il 15 luglio 2024 alle ore 10:32