Dio salvi la democrazia

Parafrasando le parole di un pessimo soggetto, protagonista della scena tedesca lo scorso secolo tra le due guerre: ogni volta che ascolto il Presidente Sergio Mattarella, porto la mano alla bottiglia del Maalox.

È di ieri l’altro il suo discorso sulla democrazia. L’occasione è stata l’inaugurazione della 50esima edizione della Settimana sociale dei cattolici in Italia, a Trieste. Il caravanserraglio dei media e dei politici prostrati alla presenza del Deus ex machina della vita istituzionale italiana si è sperticato in elogi francamente stucchevoli. Per quelli del politicamente corretto Mattarella ha tenuto una lectio magistralis, un discorso “alto” sulla democrazia. A nostro giudizio, si è trattato piuttosto di una prolusione dotta, tuttavia viziata da un malcelato tentativo di riformulazione, ad uso delle élite progressiste, della categoria concettuale della democrazia. La lettura del testo del discorso pronunciato sollecita il sospetto di una doppia ambiguità, sulla tempistica e sui contenuti. La tempistica. Dice Mattarella: “Occorre, piuttosto, adoperarsi concretamente affinché ogni cittadino sia nelle condizioni di poter, appieno, prendere parte alla vita della Repubblica. I diritti si inverano attraverso l’esercizio democratico. Se questo si attenua, si riduce la garanzia della loro effettiva vigenza. Democrazie imperfette vulnerano le libertà: ove si manifesta una partecipazione elettorale modesta. Oppure ove il principio “un uomo-un voto” venga distorto attraverso marchingegni che alterino la rappresentatività e la volontà degli elettori. Ancor più le libertà risulterebbero vulnerate ipotizzando democrazie affievolite, depotenziate da tratti illiberali”.

Splendido. Come non condividere parole di tale buonsenso? Ma perché pronunciarle solo adesso? Perché non averne parlato prima? Eppure di attentati plateali alla volontà degli elettori il nostro Paese ne ha conosciuto più d’uno nei tredici anni trascorsi dal 2011, data della defenestrazione del Governo Berlusconi legittimamente voluto dal popolo. E di questi, negli ultimi nove, al Quirinale c’è stato lui, non la controfigura di Benito Mussolini. A cosa si riferisce il presidente Mattarella quando parla di “marchingegni che alterino la rappresentatività e la volontà degli elettori”? È forse una cannonata di avvertimento esplosa all’indirizzo del centrodestra che con tenacia sta portando avanti la riforma dell’architettura istituzionale mediante l’introduzione del premierato? A nostra memoria, i giochi di palazzo spinti alle estreme conseguenze pur di impedire al popolo di esprimersi sono stati quelli messi in piedi nell’estate del 2019 – quella del Papeete – per costruire una maggioranza parlamentare posticcia, contronatura, tra i grillini e i “dem”, tenuta in piedi da un pugno di voti dei soliti parlamentari mercenari, al solo scopo di sbarrare la strada a un ritorno al Governo del centrodestra. Non fu anche quello un marchingegno? Non va bene il moralismo a corrente alternata, che si leva forte e vibrante al cielo quando a Palazzo Chigi approda qualcuno del centrodestra e che si fa improvvisamente silente e distratto quando c’è da tenere in sella chi, come la classe dirigente del Partito Democratico, pur non essendo stato investito dagli elettori della legittimità a governare, continua a tenere strette tra le mani le redini del potere.

Il contenuto. Nello scorrere il testo del discorso si avverte potente la volontà di conformare l’istituto democratico all’ideologia dell’egualitarismo. L’obiettivo strategico è l’annullamento delle differenze tra individui nella dinamica delle relazioni sociali. Nella visione di Mattarella la patria viene sostituita dalla “società aperta” – non a caso il presidente cita Karl Popper – in cui le identità sociali sono destinate a confluire in un universalismo dell’indistinto, chiave di volta per consegnare al pensiero unico progressista il governo della frazione occidentale dell’umanità del futuro. Non è il nostro ideale di democrazia. Siamo invece con Francesco Saverio Nitti che scrisse: “Democrazia non vuol dire eguaglianza degli uomini, né eguaglianza delle ricchezze, né eguaglianze delle situazioni. La libertà permette a tutte le attitudini di manifestarsi; la democrazia, essendo basata sull’eguaglianza dei cittadini dinnanzi alla legge e alle funzioni pubbliche, produce inevitabilmente le ineguaglianze che sono condizioni di sviluppo e necessità d’esistenza in tutte le società evolute” (F.S. Nitti, Scritti politici. La Democrazia, vol. I). A rincarare la dose Giovanni Sartori il quale, in linea con il pensiero nittiano, ritiene che la democrazia non abbia lo scopo di permettere agli individui di diventare uguali, ma di dar loro uguali chances di essere ineguali. La democrazia, dunque, come espressione massima di libertà dell’inuguale.

Nella riscrittura edulcorata mattarelliana, la democrazia si concepisce come il luogo della solidarietà e della partecipazione attiva di tutte le componenti del sistema sociale alla conduzione condivisa delle funzioni pubbliche. Da qui l’ammonimento a non cedere alla tentazione di interpretarla come dittatura della maggioranza. E il rovescio della medaglia? Non è ipotizzabile che la democrazia giusta sia quella che afferma la dittatura delle minoranze. Spiace che il presidente Mattarella di tale aspetto non ne abbia tenuto conto. Siamo per la democrazia “decidente” che non deve lasciarsi paralizzare dai veti delle minoranze. E ancor meno siamo per le deviazioni consociative che il principio di democrazia delineato da Matterella reca a suo corollario. Che è ciò che è successo in Italia da trent’anni a questa parte. Non è pensabile giungere a teorizzare che la decisione in democrazia non possa essere assunta dalla maggioranza senza l’accordo della minoranza o, peggio, dei gruppi sociali minoritari. Poi ci si scandalizza che il Paese non cresca come le altre nazioni in Europa e nell’Occidente. Tra le righe Mattarella lascia intendere che a maggior ragione le riforme di sistema debbano essere condivise dalla maggioranza con l’opposizione. In via teorica, potrebbe non essere un consiglio sbagliato. Ma che si fa quando l’opposizione fa melina e non ci sta a condividere? Non se ne fa niente? Se il voto della maggioranza non è sufficiente ai fini della decisione, perché mai i cittadini dovrebbero preoccuparsi di esercitare un potere (la sovranità) di fatto svuotato?

Su un punto bisogna essere chiari, di una chiarezza che non abbiamo ritrovato nel messaggio presidenziale: la sovranità non si divide. Un conto sono le garanzie costituzionali di cui gode l’opposizione, altra cosa sono i diritti civili e sociali di cui beneficiano le minoranze sociologiche. I piani non vanno confusi. Il pluralismo nella decisione – per la categoria del politico – diviene il cavallo di troia di cui il multiculturalismo si serve per annichilire in via definitiva il principio identitario di popolo connesso alla nazione. Sovrani non sono i singoli individui, come sembrerebbe trasparire dal discorso di Mattarella, ma i cittadini nel loro insieme comunitario: un universo definito, collocato nello spazio e nel tempo. Il principio dell’indivisibilità della sovranità vale verso il basso e vale verso l’alto. Cosa significa? Che non sono ammesse cessioni totali di sovranità in favore di entità sovraordinate allo Stato nazionale. Il concetto è ribadito nella Costituzione che all’articolo 11 chiarisce: (L’Italia) consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

Se le parole hanno un senso, acconsentire a una limitazione necessaria e temporanea non può significare cessione definitiva e completa di sovranità a chicchessia. Ragion per cui, non si provi a intonare il frusto ritornello del senza-Europa-siamo-morti. Unione sì, ma se dimostra nei fatti di essere autenticamente democratica, cioè rispettosa della volontà dei popoli sovrani che la compongono. Ma, stando a quello a cui stiamo assistendo dal dopo-voto europeo a oggi, sarà il caso di rimandare a data da destinarsi la discussione sul processo d’integrazione nell’ambito dell’Unione europea. Accade allora che in questo bizzarro mondo si possa vedere un altro film dal medesimo titolo di quello che passa il “sistema” e purtuttavia, per questo smarcamento, sentirsi uomini liberi. Liberi di criticare anche la massima istituzione della Repubblica, quando occorre. Liberi di nutrire pensieri divergenti. Liberi di navigare controcorrente. E liberi di denunciare i tentativi dei gruppi di potere non legittimati dal voto popolare di sovvertirne la volontà sovrana. È la democrazia che consociamo. E che desideriamo tenerci stretta.

Aggiornato il 08 luglio 2024 alle ore 09:51