Gay ai vinti!

Sassolini di Lehner

L’Altissimo oggi sarebbe indagato e condannato, Zan-Zan, per omofobia. Infatti, ordinò a Noè d’imbarcare solo maschi e femmine, tralasciando fluidi e trans; quindi, cancellò non la trasgressione, bensì la prima organizzazione politica omosessuale di tipo aggressivo-esibizionista, quella che vantava la pretesa, a mo’ di diritto civile, di sodomizzare. Sulla Bibbia sta scritto: “Gli uomini della città di Sodoma si affollarono intorno alla casa… chiamarono Lot e gli dissero dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire, perché noi si possa abusarne”. Jahvè incenerì tutti i suoi pederasti di Sodoma. La Torah, inoltre, è drastica verso l’omosessualità: “Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è azione abominevole” (Levitico, 18, 22). San Paolo sposa a sua volta il Levitico: “Non ti unirai ad un maschio con coito femmineo, perché questo è abominio”.

È essenziale, però, distinguere omosessuale da gay. Il primo indica un’opzione sessuale antichissima, il secondo un odierno militante Zan-Zan. Guai, ad esempio, a chiamarlo col lessico nazionale. Quanti ipocriti si strappano i capelli per la scomparsa dei dialetti? Gli stessi, però, evitano come il fuoco il colore vernacolare per definizioni davvero icastiche e nostrane dell’omosessualità. Ci voleva l’attuale Pontefice da Osteria della parolaccia per rivalutare l’uso di parole-tabù, tipo “frociaggine”. Se si vuole evitare la lapidazione mediatica e, magari, un mandato di cattura, è di rigore la terminologia anglosassone (gay, transgender, crossdresser, drag queen). Altrimenti, si è esposti alla gogna e si passa per trogloditi.

Fra l’altro, ironia delle mode, l’aggettivo “gay” alla lettera sta per gaio, giulivo, vivace, allegro, vistoso, brillante, sregolato (to lead a gay life = condurre una vita dissoluta), insolente, sfrontato, impertinente. La questione non è solo linguistica. Chiunque imponga il proprio vocabolario diventa dominus e detta le regole. Codesta guerra delle parole, scatenata unilateralmente, la stanno vincendo, giacché gli etero-ottusi incassano tapini e supini. Ebbene, la primaria imposizione, malvagia, violenta, fraudolenta e, tuttavia, geniale, è quella di “omofobia”.

Basta una conoscenza ginnasiale della lingua di Omero, per sapere che il prefisso omo – uguale, simile – vedi “omonimo”, “omologo”, “omosessuale”, unito a fobìa dovrebbe significare: paura del proprio simile, terrore verso l’eguale a se stesso, cioè esattamente il contrario del neologismo d’accatto creato e diffuso da un ignorante psichiatra gay statunitense. C’è di più: oltre la semantica invertita, in aggiunta vi è il termine “fobìa”, inerente a una variegata casistica di disturbi mentali (agorafobia, claustrofobia, aviofobia, brontofobia, cinofobia, idrofobia, eritrofobia, sessuofobia). Ebbene, se l’omofobo è un povero neuropatico, perché mai per tale malato in luogo del soccorso medico si dovrebbero richiedere gogna e sanzioni sociali e penali? Accettare questo strafalcione demenziale vuol dire smettere di ragionare e consegnarsi mani e piedi alla lobby.

Insomma, cassiamo “omofobia”, visto che fa rima con asineria. Ogni stagione è afflitta dal “pensiero unico”, ma gli uomini liberi dovrebbero rifiutare di portare il cervello all’ammasso. Nell’invasione del partito gay non c’è nulla di spontaneo, essendo stato un progetto a tavolino. Nel febbraio 1988, a Warrenton (Virginia), nel corso della prima “conferenza di guerra” di 175 attivisti rappresentanti altrettanti omosex-club sparsi negli States, venne delineata la penetrazione mondiale, uscendo dal cul-de-sac dello spontaneismo utopico, per passare all’omosexualismo dialettico, cioè alla teoria scientifica della conquista del potere. Per il presente, il lessico mette in luce, denudandolo, un altro grottesco paradosso: nessuno è tanto brutalmente maschilista quanto il gay militante. Per lui, mille e una parola e sempre in progressione aggettivante; per le povere omosex al femminile, “lesbiche” e solo “lesbiche”, col misero contorno dell’aggettivo “saffico”. Una sillaba è poca e due son troppe per le donne messe in un cantuccio. La dottoressa Dina Nerozzi – vedi, fra i tanti bei lavori politicamente scorretti, il suo L’uomo nuovo. Dallo scimpanzé al bonobo, (Rubbettino, 2008) – ha ben descritto l’itinerario politico dell’orgoglio gay. La presa del palazzo d’Inverno attraverso la manipolazione mediatica è genialmente e profeticamente descritta dai testi di Marshall Kirk e Hunter Madsen, i Marx-Engels del movimento omosex, i quali lanciarono la campagna tuttora in corso, finalizzata a far passare per magnifiche sorti e progressive l’omosessualità e la transessualità, in nome, ovviamente, dell’ennesimo avvento dell’homo novus.

Tuttavia, il partito dei gay rischiava il naufragio per gli eccessi di un manifesto a firma Michael Swift, dove si brutalizzava e spaventava l’umanità etero: “Noi sodomizzeremo i tuoi figli, emblemi della tua virilità debole, dei tuoi sogni superficiali e bugie volgari. Noi li sedurremo nelle vostre scuole, nei vostri dormitori, nelle palestre, nei vostri spogliatoi, nelle arene sportive, nei vostri seminari, nei vostri gruppi giovanili, nei vostri bagni cinema, nei vostri dormitori dell’esercito, nel vostro camion, nei club maschili, nelle vostre case, ovunque gli uomini stiano insieme ad altri uomini. Noi, conoscitori del volto maschile, del fisico maschile, prenderemo i tuoi uomini, o donna. Noi li sappiamo far divertire; noi li istruiremo; noi li abbracciamo quando piangono. Daremo ai tuoi uomini, o donna, piaceri che non hanno mai conosciuto perché solo un uomo sa soddisfare davvero un altro uomo; solo un uomo può capire profondità, sentimento, mente e corpo di un altro uomo. Saranno revocate tutte le leggi che vietano l’attività omosessuale. Invece, redigeremo la legislazione per generare amore tra gli uomini. Tutti gli omosessuali devono essere uniti come fratelli; dobbiamo essere uniti artisticamente, filosoficamente, socialmente, politicamente e finanziariamente. Noi trionferemo solo quando presenteremo una faccia comune allo sporco nemico eterosessuale. Noi scriveremo poesie sull’amore fra uomini; porteremo sulla scena opere teatrali in cui il maschio accarezza il maschio; faremo film sull’amore tra i veri uomini, altro che gli insipidi, sciocchi, sentimentali amori eterosessuali, che attualmente dominano gli schermi cinematografici. Noi scolpiremo statue di giovani uomini, di atleti audaci, statue che saranno collocate nei parchi, nelle piazze, ovunque. I musei di tutto il mondo saranno riempiti esclusivamente con dipinti di graziosi ragazzi nudi. Sarete scioccati e spaventati quando scoprirete che i vostri presidenti e i loro figli, i vostri industriali, i vostri senatori, i vostri sindaci, i vostri generali, i vostri atleti, le vostre star del cinema, i vostri personaggi televisivi, i vostri leader civici, i vostri sacerdoti non sono figure eterosessuali. Noi siamo ovunque; abbiamo infiltrati nelle vostre file. Non ci saranno compromessi. Non siamo deboli… siamo gli aristocratici naturali della razza umana, e aristocratici d’acciaio. Coloro che si opporranno a noi la pagheranno e saranno esiliati. Sarà abolita la famiglia, terra di bugie, tradimenti, mediocrità, ipocrisia e violenza. Il nucleo familiare deve essere eliminato. Ragazzi perfetti saranno concepiti e coltivati nei laboratori di genetica. Essi saranno legati insieme in un contesto comune, sotto il controllo e l'istruzione dei sapienti omosessuali. Tutte le chiese che ci condannano saranno chiuse. I nostri unici dèi sono i bei giovanotti. Aderiamo al culto della bellezza, morale ed estetico. Tutto ciò che è brutto e volgare e banale sarà annientato. Ogni uomo contaminato con lussuria eterosessuale non potrà occupare una posizione di influenza. Tutti i maschi che insistono a rimanere stupidamente eterosessuali saranno processati nei tribunali omosessuali di giustizia e diventeranno uomini invisibili. Noi riscriveremo la storia. Noi descriveremo la omosessualità dei grandi leader e pensatori che hanno plasmato il mondo. Dimostreremo che l’omosessualità e l’intelligenza e l’immaginazione sono indissolubilmente legati, e che l’omosessualità è il requisito della vera nobiltà, la vera bellezza dell’uomo. Tremate, suini eterosessuali, noi vinceremo”.

Il delirio di Swift era adatto solo a perdere la guerra. Servivano teorici più saggi e, per così dire, programmatori dell’egemonia culturale. Marshall Kirk (ricercatore in neuropsichiatria) e Hunter Madsen (esperto di tattiche di persuasione pubblica e social marketing) redigono il manifesto gay per gli anni Novanta, un vero e proprio manuale strategico (After the ball. How America will conquer its fear and hatred of Gays in the 90’s) per plagiare, gradualmente, l’opinione pubblica. Gli anni Novanta sono invero propizi al gay-partito: l’Aids fornisce l’immagine di una minoranza sfortunata – vedi l’impressione per la morte di Rock Hudson – meritevole come tutte le vittime colpite da mali oscuri di attenzione, comprensione e protezione. Gli ideologi propongono tre tattiche:

1) come tutti i meccanismi di difesa psico-fisiologici, anche il pregiudizio antigay può diminuire con l’esposizione prolungata all’oggetto percepito come minaccioso. Bisogna quindi “inondare” la società di messaggi per “desensibilizzare” la società nei confronti della minaccia omosessuale;

2) È necessario ingenerare dissonanza interna tra i “bigotti antigay”. A coloro che rifiutano l’omosessualità per motivi religiosi, occorre mostrare come l’odio e la discriminazione non siano “cristiani”. Allo stesso modo, vanno enfatizzate le terribili sofferenze provocate dalla crudeltà “omofobica”.

3) L’obiettivo finale è quello di “convertire”, ossia suscitare sentimenti uguali e contrari rispetto a quelli del “bigottismo antigay”. Bisogna infondere nella popolazione dei sentimenti positivi nei confronti degli omosessuali e negativi nei confronti dei “bigotti antigay”, paragonandoli, ad esempio, ai nazisti, o instillando il dubbio che la loro barbarie sia la conseguenza di tare, di paure irrazionali e insane.

Kirk e Madsen declinano queste tattiche in una serie di pratiche. Ad esempio, essi individuano tre gruppi di persone, distinti in base al loro atteggiamento nei confronti del movimento gay: “gli intransigenti”, stimati in circa il 30-35 per cento della popolazione; “gli amici” (25-30 per cento) e gli “scettici ambivalenti” (35-45 per cento). Questi ultimi rappresentano il target designato: a loro bisogna dedicare gli sforzi applicando le tecniche di desensibilizzazione (con quelli meno favorevoli) e di dissonanza e conversione (con i più favorevoli). Le altre due categorie, gli intransigenti e gli amici, vanno rispettivamente “silenziati” e “mobilitati”.

Un’altra indicazione che gli autori suggeriscono è quella di “intorbidare le acque della religione”, cioè dare spazio ai teologi del dissenso. Astutamente, però, il sostegno non va chiesto “per l’omosessualità”, ma “contro la discriminazione” e in nome dei diritti civili. Per stimolare la compassione, i gay devono essere presentati sempre come vittime:

a) delle circostanze: l’omosessualità deve esser data per innata;

b) del pregiudizio, causa di ogni loro sofferenza.

I gay devono, inoltre, essere mostrati non solo come membri a tutti gli effetti della società, ma addirittura come “pilastri”. Basta individuare una serie di personaggi illustri: chi mai potrebbe discriminare Leonardo da Vinci o Michelangelo? Gli autori danno indicazioni precise anche alle associazioni omosessuali e lesbiche in conflitto tra loro: è bene che ci sia una sola associazione portavoce del mondo omosessuale, e che sia gay; ovviamente gli omosessuali-non-gay sono condannati all’invisibilità. Un’altra strategia per rendere “normale” l’omosessualità agli occhi delle persone consiste nel richiedere unioni, matrimoni e adozioni; non tanto perché i gay non vedano l’ora di sposarsi e metter su famiglia, quanto piuttosto perché, agli occhi dell’opinione pubblica, se desiderano formare una famiglia e avere dei bambini, risulterebbero rassicuranti. Inoltre, chi potrebbe più accusare il movimento di voler sradicare l’istituto matrimoniale e familiare? Il saggio di Kirk e Madsen si conclude con queste parole: “Come vedi, la baldoria è finita. Domani inizia la vera rivoluzione gay”. Attenti, dunque, alla guerra delle parole. Da lì, arriverà il nuovo Brenno oppressore a minacciare “gay ai vinti”.

Aggiornato il 14 giugno 2024 alle ore 11:04