Se da qualche parte lassù Silvio Berlusconi potesse vedere ciò che sta accadendo in Europa, alla vigilia di storiche elezioni continentali, impazzirebbe di gioia. Il suo sogno di esportare il modello del centrodestra italiano a Bruxelles, per soppiantare la logora governance del centrosinistra in stile Große Koalition, diviene ogni giorno sempre più concreto.
Ieri l’altro, la decisione di Marine Le Pen di rompere il rapporto di collaborazione con gli estremisti tedeschi di Alternative für Deutschland (Adf) ha significato un passo fondamentale in vista della candidatura della versione potabile della destra europea alla guida dell’Unione, in coalizione con il Partito popolare europeo. Non soltanto i numeri segnalerebbero che la via è tracciata, ancor più convincono i riposizionamenti strategici dei due gruppi europarlamentari – Conservatori e Riformisti europei (Ecr) e Identità e Democrazia (Id) – che rappresentano la quasi totalità del bacino elettorale della destra in Europa. Prima è stato il turno di Giorgia Meloni di avviare un dialogo costruttivo con le istituzioni comunitarie, un tempo giudicate nemiche. In particolare, la Meloni ha stabilito un feeling con l’attuale presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, al punto che la baronessa tedesca è convinta di fare dell’esponente italiana una sua grande elettrice al momento della scelta del prossimo presidente della Commissione. La Meloni ha interloquito con la von der Leyen nella sua veste istituzionale di capo del Governo italiano, ma a nessuno a Bruxelles è sfuggito il particolare che l’astro nascente della politica europea indossasse anche i panni di leader dei conservatori europei. Cosa tutt’altro che irrilevante, soprattutto quando vi sarà da negoziare sulle nomine ai vertici delle istituzioni comunitarie. Oggi è la volta di Marine Le Pen – leader in pectore del gruppo Identità e Democrazia, considerato l’ormai certo crollo elettorale della Lega rispetto al picco di consensi raggiunto nel 2019 che ne aveva fatto il primo partito del gruppo europeo Id – a mostrare ai recalcitranti moderati continentali i passi compiuti nell’accettazione del principio che un’Unione europea più forte e coesa, cementata su solide basi democratiche, sia non solo possibile ma necessaria. La Le Pen non è un’esponente politica qualunque, di cui si possono ignorare le prese di posizione. Stando ai rumors che giungono d’Oltralpe, il suo partito, Rassemblement National, sarà di gran lunga il primo di Francia nelle urne dell’8/9 giugno. Non solo. Vi sono concrete chance che l’onda lunga di destra che sta attraversando il Paese transalpino la porti sugli scudi dritta all’Eliseo, alle prossime presidenziali del 2027. La sola possibilità che tra qualche anno Le Pen diventi il presidente di una delle tre principali nazioni dell’Unione europea, pone tutti i suoi interlocutori nella condizione di dover prendere in seria considerazione ciò che dice. Per intenderci: Antonio Tajani, che continua a ripetere come un disco rotto “Mai con la Le Pen”, direbbe domani la stessa cosa parlando del presidente dei francesi? Se lo facesse, per l’Italia ci sarebbe un grosso problema. È solo un esempio. Ma torniamo ai numeri.
I media nostrani, organici alla sinistra, si stanno dannando per far inghiottire agli italiani un’informazione che sanno benissimo essere una bugia. Ripetono con ossessiva monotonia che in Europa nulla cambierà perché i socialisti continueranno a essere la seconda forza rappresentata nel prossimo Europarlamento, dopo il Ppe. Ragione per la quale i popolari saranno obbligati a trattare con i socialisti. Per la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, sarebbe un’eresia pensarla diversamente. Lo ha fatto intendere a chiare lettere nel corso dell’intervista rilasciata ieri ad Annalisa Cuzzocrea del quotidiano La Stampa. Alla domanda dell’intervistatrice sull’eventualità che il Ppe possa farsi attrarre dalle destre di Meloni e Le Pen, la Schlein ha risposto lapidaria: “È già così ed è gravissimo. I popolari stanno rincorrendo l’estrema destra nazionalista tradendo la loro cultura politica che fino a qui era comunque stata europeista”. Come a dire: se vai con la destra sei un nemico dell’Europa, un eretico negatore dell’unica vera fede nel credo progressista. Ora, sarà che a noi gli eretici sono sempre piaciuti, ma dove sta scritto che le cose in Europa non possano cambiare? Molto dipenderà dal risultato che i socialisti tedeschi otterranno a casa loro. Alle Europee del 2019 la Spd (Sozialdemokratische Partei Deutschlands) raccolse il 15,82 per cento dei voti e portò a Strasburgo 16 europarlamentari. In quel momento, al governo della Germania vi era la signora Angela Merkel ma la sua parabola politica stava volgendo al termine e una parte dell’elettorato tedesco dava segni di volersi orientare a sinistra, tant’è che già in quell’occasione veniva registrato l’exploit dei Verdi che conseguivano il 20,53 per cento dei consensi e 21 seggi. Vittoria che successivamente avrebbe dato la stura alla costruzione della “Coalizione Semaforo” – socialisti, verdi e liberali – la quale dall’8 dicembre 2021 governa il Paese. Tuttavia, tre anni di leadership del socialista Olaf Scholz non hanno reso la vita migliore ai tedeschi e c’è chi giura che il malcontento si tradurrà, nelle urne delle Europee, in una sonora bocciatura della Spd. Se così fosse e considerando che nella maggior parte degli Stati europei i governi nazionali sono di centrodestra, dove li prenderebbero i voti i socialisti per confermarsi secondo partito in Europa? Mistero della fede. E dei sondaggisti.
Altro elemento di criticità per il centrosinistra continentale è costituito dal risultato del gruppo dei liberali di Renew Europe. Nel 2019 il successo in Francia della République en Marche, il movimento fondato da Emmanuel Macron (22,4 per cento – 21 deputati eletti), aveva portato a un forte incremento della presenza a Strasburgo dei liberali europei (14,4 per cento – 109 seggi – 102 dal 16 febbraio 2023). Tale crescita ha consentito il varo della “maggioranza Ursula” tra popolari, socialisti e liberali. Il preannunciato tonfo in patria di Macron il prossimo 8/9 giugno potrebbe rendere impraticabile la riproposizione dello schema “Ursula” per la guida del prossimo Parlamento europeo e, a cascata, della Commissione e del Consiglio europei. Nelle condizioni date, se l’aria che si respira nel Continente soffierà anche nelle urne, il Partito popolare europeo non potrà fare altro che rivolgersi alle forze della vecchia opposizione per continuare a governare l’Europa. Ciò comporterà lo slittamento dell’asse programmatico delle future policies comunitarie – in particolare nei comparti della transizione green, delle produzioni agroalimentari e della protezione delle manifatture europee dalla concorrenza sleale delle economie extracomunitarie – da sinistra a destra. E chi troverà il Ppe a negoziare un diverso accordo rispetto al passato? Due gentili signore che, in barba agli stereotipi di genere, sanno il fatto loro, hanno fatto i conti con i rispettivi passati alquanto ingombranti, hanno una visione dell’Europa coincidente in molti punti e sono prontissime a rendere l’Unione, per tutti i popoli che ne fanno parte, un posto migliore in cui stare.
Aggiornato il 24 maggio 2024 alle ore 09:58