Ma dov’è finito il senso della decenza? È dell’altro giorno la notizia della concessione degli arresti domiciliari in Ungheria alla signora Ilaria Salis, a processo presso un tribunale ungherese per il reato di lesioni personali ai danni di due militanti dell’estrema destra. Alla Salis è anche contestata, dalla giustizia ungherese, l’appartenenza all’organizzazione terrorista tedesca di estrema sinistra Hammerband (La banda del martello) il cui scopo dichiarato è di prendere a martellate i neonazisti. Roba seria.
Negli ultimi mesi i media italiani hanno parlato spesso di lei in relazione al duro trattamento carcerario subito a Budapest. Le scene, non belle, di lei tradotta a processo con le mani e i piedi incatenati le abbiamo viste tutti. E bene hanno fatto le autorità italiane a chiedere ai colleghi ungheresi conto di quel trattamento mortificante per la dignità della persona, ancorché sottoposta a un procedimento penale. In questo periodo, abbiamo mediaticamente conosciuto il signor Roberto, papà di Ilaria. Il suo stato d’animo ci ha colpito. Ci siamo compenetrati nelle angosce di un uomo, preoccupato per le sorti della figliola. Abbiamo compreso i suoi sfoghi e i suoi appelli alle istituzioni perché intervenissero in soccorso della figlia. Abbiamo umanamente giustificato la rabbia di un genitore che si sente impotente al cospetto di avvenimenti che non riesce a gestire.
Ma a tutto c’è un limite. Lo diciamo chiaro: la reazione scomposta avuta dal padre della Salis alla notizia della concessa mitigazione della custodia cautelare a sua figlia è stata inaccettabile. Il signor Roberto Salis ha avuto l’ardire di affermare, in relazione all’impegno dispiegato dai nostri ministri degli Esteri e della Giustizia, Antonio Tajani e Carlo Nordio per risolvere positivamente il caso: “Su questa storia io non ho dei sassolini nelle scarpe, ho della ghiaia, ho i piedi sanguinanti e prima o poi svuoterò i cassetti di quel che ho da dire. Di certo come cittadini siamo stufi di dover implorare le istituzioni, che dovrebbero essere al servizio dei cittadini e che paghiamo per questo, affinché facciano il loro lavoro. Noi non abbiamo visto alcuna volontà concreta né da parte di Tajani né da parte di Nordio”.
E, a suo giudizio, di chi sarebbe il merito del risultato ottenuto? Del duo Nicola Fratoianni-Angelo Bonelli, capi di Alleanza Verdi e Sinistra, per averla candidata alle Europee nella loro lista. Non solo. Sarebbe anche merito della mobilitazione popolare (ma quando? Ma dove?) e mediatica se i giudici ungheresi hanno cambiato idea sulla pericolosità sociale della figlia e le abbiano concesso i domiciliari. E l’opera silente della nostra diplomazia, che ha lavorato sulle indicazioni fornite dal competentissimo ministro Nordio, per risolvere la faccenda senza eccessivi clamori? Una frottola, il Governo italiano non avrebbe fatto nulla per la Salis. Eppure, ieri l’altro il ministro Tajani, nel dare notizia all’Aula della Camera dei deputati della concessione degli arresti domiciliari, ha parlato esplicitamente di un buon lavoro portato a compimento dalla Farnesina e dall’Ambasciata d’Italia a Budapest senza “rullo di tamburi” o “urla”.
Roberto Salis ha dato praticamente del bugiardo al ministro degli Esteri. È un’indecenza da rispedire prontamente al mittente. Va bene l’ingratitudine verso un Governo che evidentemente giudica nemico, ma falsificare a tal punto la realtà è cosa degna della peggiore propaganda manipolatoria comunista. Non si tratta di fare il tifo per una parte politica avversa a quella alla quale si presume appartenga il sullodato Salis né di esercitare professione di fede cieca nell’operato degli esponenti del Governo Meloni, ma di riconoscere lealmente decenni di consolidata esperienza della nostra diplomazia nel tirare fuori dai guai tutti, o quasi, i nostri connazionali bloccati in Paesi stranieri, a vario titolo, contro la loro volontà.
I civil servant, che hanno ottenuto successi trattando con i peggiori pendagli da forca in circolazione nel mondo per salvare la vita e assicurare il rientro in patria agli italiani sequestrati all’estero, perché mai avrebbero dovuto snobbare il caso, relativamente più semplice, della signora Salis? Lei non è detenuta in una prigione di Kampala o in un campo di rieducazione della Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang nella Repubblica Popolare Cinese, ma in un carcere della civilissima Budapest, capitale di una nazione che è Stato membro dell’Unione europea. La struttura detentiva è in pessime condizioni? Evidentemente Salis non ha visto da vicino alcune delle più accorsate realtà carcerarie italiane. E poi, la signora Ilaria non era stata imprigionata per le sue idee ma per essere sospettata di aver commesso gravi reati. Ciononostante, per il signor Salis, in dubbia sintonia con i nuovi sponsor politici della figliola, l’Ungheria sarebbe una sorta di gulag a cielo aperto, tiranneggiato da un feroce aguzzino qual è il presidente Viktor Orbán, non a caso amico della nostra Giorgia Meloni. Lo ribadiamo senza mezzi termini: è un’indecenza che si sputi addosso alle istituzioni del proprio Paese in modo così ignobile.
Ora, a differenza di tanti che, per affinità ideologica o per stupido conformismo, si sono sperticati in questi giorni nell’augurare pronta liberazione alla signora Salis, auspichiamo cosa ben diversa. Desideriamo vivamente che la giustizia ungherese faccia piena luce sulle responsabilità dell’imputata Salis nelle vicende che le vengono contestate. E il suo affettuoso padre, la pianti di frignare sulla cattiva sorte toccata alla sua candida figliola, si rimangi le insinuazioni dispensate a reti unificate sulla supposta inerzia dei ministri del Governo Meloni nell’approcciare la vicenda e cominci invece col raccontare cosa diamine ci facesse sua figlia a Budapest. Se ad essere arrestata dalla polizia ungherese sia stata l’innocua turista Ilaria, impaziente di visitare il Museo delle Belle arti di Buda, di concedersi uno squisito gulash al ristorante Meshuga, e magari una romantica gita in barca sul bel Danubio, oppure la “compagna Ilaria”, antagonista sociale militante – nota al casellario giudiziario italiano per una condanna passata in giudicato a seguito della sentenza della Corte di cassazione, emessa in data 3 luglio 2023, per concorso morale nel reato di resistenza a pubblico ufficiale aggravata, oltre che per altri fatterelli (4 condanne in totale e 29 segnalazioni all’Autorità giudiziaria, fonte: il settimanale Panorama) del medesimo tenore – in trasferta a Budapest per spaccare qualche zucca neonazista.
È stata solo una sfortunata coincidenza che la Salis fosse presente nella capitale magiara proprio l’11 febbraio, quando l’estrema destra celebra il “Giorno dell’onore” degli ungheresi? Se i precedenti penali concorrono a tracciare il profilo del sospettato di un reato, della signora Salis, vista la fedina penale, tutto si può dire tranne che sia Santa Maria Goretti rediviva. Eppure, per il suo papà, i cattivi, gli aguzzini o semplicemente gli insensibili alle traversie carcerarie della figliola, sarebbero gli altri, gli amici di Orbán al Governo dell’Italia. Peccato che il signor Roberto non abbia pensato, visto che c’era, di farsi candidare alle europee anche lui insieme alla figlia da quelli di Alleanza Verdi e Sinistra. D’altro canto, nel bestiario politico dell’Europarlamento le specie più esotiche vengono apprezzate. I “compagni” di Avs, in fatto di scelta dei compagni d’avventura, sono di bocca buona. Perciò, non si sarebbero di certo fatti problemi nell’offrire un posto di prima fila a Strasburgo anche a lui che, in fin dei conti, è pur sempre il babbo gemente di una eroina, martire della libertà. E, com’è noto, per una bizzarra proprietà transitiva delle pubbliche virtù, il padre di una martire è un po’ martire anch’egli.
Aggiornato il 20 maggio 2024 alle ore 10:00