L’interesse dell’Italia alla Schengen militare

Le norme sull’abolizione delle frontiere tra Stati membri dell’Unione europea, contenute nel Trattato di Schengen del 14 giugno 1985, sono tra le più liberali dell’ordinamento dell’Ue nel completare la libera circolazione delle persone che, assieme a quelle delle merci e dei capitali nonché alla libertà di stabilimento delle imprese, costituisce il nucleo autenticamente liberale dell’integrazione comunitaria. Queste libertà di cui si gode nell’Unione europea vanno, però, ben difese, adesso che il mondo è investito da una nuova spirale bellicista.

Tant’è che Antonio Tajani, ministro degli Affari esteri e a capo di Forza Italia – dal centenario dalla fondazione del Partito liberale italiano, ora guidato da Roberto Sorcinelli, è particolarmente interessato a un’alleanza in grado di rafforzare, anche sotto l’aspetto ideale, la componente liberale del centrodestra – sottolinea sempre la necessità di una difesa comune dell’Unione europea. Ciò è particolarmente urgente, anche dopo le posizioni isolazioniste sposate da Donald Trump, sempre più probabile candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti d’America.

Antonio Tajani, in quest’ottica, è stato il principale fautore della partecipazione italiana alla flotta europea a presidio del Mar Rosso, ora guidata proprio dal comandante del nostro contingente. È l’atmosfera nella quale Germania, Olanda e Polonia hanno costituito la cosiddetta Shengen militare, cioè un’area unificata entro cui le rispettive Forze armate possano muoversi liberamente in caso di attacco, perpetrato o minacciato, alle rispettive Nazioni. Non si capisce cosa aspetti l’Italia ad aderirvi. Grazie all’attivismo del nostro attuale Governo conservatore, il peso italiano nell’Unione europea è in crescita, ma ciò lo si deve ad essere l’Italia tra i fondatori dell’Europa comunitaria quando cominciò con sei Stati membri.

Allora si ebbe la lungimiranza di entrare subito a far parte – fin dal trattato del 18 aprile 1951 – della Comunità carbosiderurgica. Jean Monnet la pensò per mettere in comune, fra Francia e Germania, i giacimenti e la produzione della Ruhr, per il controllo della quale le due Nazioni scatenarono le due guerre mondiali del vigesimo secolo. L’Italia ebbe, allora, interessi molto minori nel settore, ma ha avuto anche la lungimiranza di capire l’importanza dell’avvio di un processo più generale. Oggi essa ha più interesse di quanto si creda alla Schengen militare. Perché, durante la Guerra fredda, quasi tutte le nostre forze armate furono schierate nel Triveneto? Dall’Ucraina all’Ungheria fino all’Austria una zona pianeggiante è facilmente percorribile dalle forze corazzate e si scontra con le nostre Alpi orientali, primo possibile punto di contatto con la Penisola.

È per questo che, nel Triveneto, all’incrocio tra strade e ferrovie, ci sono tanti cavalcavia e sottopassi: per impedire che lo spostamento di mezzi e truppe si rallentino a vicenda. L’Italia, più di altri, ha interesse ad una Schengen militare, per difendere la sua libertà.

Aggiornato il 01 marzo 2024 alle ore 10:21