Lo scandalo della Bocconi: se l’università si fa intollerante

Tre studenti dell’Università Bocconi sono stati sospesi per sei mesi: si tratta di una punizione durissima, che si spiega con il fatto che lo studente – entro qualunque sistema universitario – è davvero il vaso di coccio.

Il motivo di questa censura è che i tre giovani hanno liberamente espresso le loro opinioni, su internet, in merito a un’iniziativa – alquanto discutibile sotto tanti punti di vista – assunta proprio dall’ateneo milanese. Di recente, infatti, la Bocconi ha introdotto bagni detti “gender neutral”, ossia accessibili a tutti, indipendentemente dal sesso. Ovviamente la scelta dell’università riguardante i bagni nasce da un’impostazione ideologica ben precisa, che in sostanza nega le differenze di genere, ma essa è avversata non soltanto da quanti rifiutano le tesi di Judith Butler o John Money, ma trovano pure assurdo che le ragazze possano trovarsi alla toilette assieme ai maschi.

Al centro della questione, comunque, ora non c’è l’ideologia gender, che tra l’altro dissolve decenni di femminismo e rivendicazione dell’identità femminile (in nome del nuovo dogma, secondo cui non vi sarebbe alcun nesso tra sesso e genere). Il vero problema è invece il nuovo fascismo intellettuale, che di volta in volta può usare questo o quel tema per imporre la verità ufficiale e chiudere la bocca al dissenziente.

Avendo più di sessant’anni vengo da una società in cui si poteva legittimamente inneggiare alla rivoluzione proletaria, proclamarsi monarchici oppure aderire a una setta di qualunque tipo. Nei decenni scorsi la tolleranza delle diverse idee era assai maggiore e non era nemmeno immaginabile che si potessero negare sei mesi di studio (e quindi di vita) ad alcuni giovani che hanno formulato – e per giunta nel quadro di un social con commenti e discussioni – le loro personali valutazioni.

Alla luce di questo episodio, molto triste per chi è stato collocato nel ruolo della vittima, dobbiamo prendere atto che stanno moltiplicandosi le logiche repressive. D’altra parte, ormai nelle università abbiamo commissioni disciplinari (sic) che si sono attribuite il compito di censurare parole, pensieri, idee, tesi. Quello che leggendo George Orwell poteva apparire romanzesco e distopico, sotto certi aspetti è già in mezzo a noi.

Se è nata una realtà come Free Academy (www.freeacademy.it) è esattamente perché – da noi come nel mondo anglosassone – sta imponendosi un puritanesimo illiberale che non soltanto adotta logiche censorie, ma addirittura poggia su meccanismi delatori. I gestori della moralità bocconiana – coloro che si ritengono incaricati di “disciplinare” (termine foucaultiano) il comportamento dei giovani – si sono mossi sulla base della denuncia avanzata da un compagno di studi dei tre che poi sono finiti sotto processo e quindi consegnati alla gogna mediatica.

Un tempo spazio di libertà e confronto, oggi l’università è troppo spesso un luogo di repressione. Un giovane collega che da qualche tempo insegna in Cina per conto di un’università europea mi ha recentemente confessato che dopo poche settimane che lavorava nel nuovo contesto si era reso conto di essersi inavvertitamente liberato da una serie di divieti introiettati in precedenza. A Pechino certo non puoi esprimerti liberamente su Taiwan oppure su Xi Jinping (il regime è comunista), ma al tempo stesso c’è molta più libertà d’espressione in altri ambiti. Questo ci dice, però, cos’è divenuto l’Occidente di Milton, Locke, Bayle e degli altri campioni della libertà di espressione.

Le questioni di genere sono uno degli universi in cui meno è possibile formulare le proprie idee, così come il riscaldamento globale, la pandemia o la politica estera. I settori controllati dalla polizia del pensiero stanno però moltiplicandosi e se negli Stati Uniti quanto meno c’è il primo emendamento che tutela (o dovrebbe farlo) la libertà di parola, da noi non è così. E di recente un professore che dovrebbe insegnare filosofia morale ha addirittura suggerito d’introdurre il reato di “negazionismo climatico”, così che si possa chiudere la bocca a Franco Prodi oppure a Renato Ricci.

Che futuro possono avere, però, le università se diventano luoghi in cui i dogmi di regime prevalgono sul libero confronto delle idee? Che razza di autonomia personale e indipendenza di pensiero potranno mai avere giovani che crescono entro istituzioni così bigotte?

Quello che i più hanno dimenticato è che la grande battaglia per la libertà di pensiero e di espressione non era volta a permettere che le brave persone potessero dire buone cose e sagge; al contrario, si trattava di riconoscere il diritto a esprimersi dei blasfemi, degli eretici e dei dissidenti di ogni genere e tipo.

Il moralismo è uno dei grandi nemici della libertà individuale. Esso produce un’illusione di superiorità etico-antropologica, insieme a delazione, conformismo, acquiescenza, repressione culturale. Combattere tutto ciò è urgente e necessario, così come riconoscere la dignità delle vittime – ormai sempre più numerose – di questi feroci meccanismi volti a irreggimentare e punire i non allineati.

Aggiornato il 20 febbraio 2024 alle ore 10:28