La sinistra e la nuova disciplina olimpica: dare addosso all’Ungheria

Il caso di Ilaria Salis – attualmente detenuta in Ungheria con l’accusa di aggressione e lesioni ai danni di estremisti di destra nonché sospettata di far parte di un’associazione estremista – ha suscitato grande indignazione nella sinistra italiana. Indignazione che è anche la nostra, ma per ragioni opposte a quelle brandite dai progressisti. Le immagini, che hanno fatto il giro dei media italiani, della signora Salis tradotta in aula di tribunale in manette, cinghie e catene, non sono state belle. Obiettivamente, il trattamento subito dalla nostra concittadina ne ha violato la dignità. Ciò detto, il can-can mediatico-politico che ne è scaturito è una disgustosa forzatura demagogica.

Con il dovuto rispetto, la signora Salis non è un innocente fiorellino di campo, un mix di Santa Maria Goretti, Florence Nightingale e Giovanna d’Arco, come la dipinge la sinistra. Un tempo la si sarebbe definita una guerrafondaia. Antagonista sociale praticante, Salis, nel 2003, ha fondato a Monza il centro sociale “Boccaccio”, meglio noto come “presidio dell’illegalità nel cuore della città borghese per eccellenza della Brianza”. L’ipotesi investigativa sulla quale gli inquirenti ungheresi si sono focalizzati è che la Salis abbia avuto un ruolo nell’organizzazione squadrista tedesca Hammerbande (la Banda del martello). È diritto di quell’autorità giudiziaria investigare e il nostro Governo non può e non deve interferire nelle indagini perché sarebbe una violazione della sovranità di uno Stato estero. È invece doveroso che il premier e il ministro degli Esteri italiani si assicurino che la nostra concittadina riceva un trattamento rispettoso della dignità e dei diritti della persona e, soprattutto, abbia un processo equo e non viziato da inaccettabili pregiudizi ideologici. Poi però c’è la politica di basso conio della sinistra nostrana che prova a trarre profitto dal caso mediatico. Il sillogismo acchiappagonzi messo in piedi è efficacissimo: Ilaria Salis è vittima della giustizia oscurantista imposta dal despota illiberale Viktor OrbánGiorgia Meloni è amica e sodale di Orbán – Ilaria Salis è vittima della conculcatrice di tutte le libertà, Giorgia Meloni.

A sentirli, i compagni, è come se quelle catene che cingono il corpo di Ilaria Salis le avesse serrate la Meloni. Ma sì, espelliamo pure il bubbone Ungheria dal corpo sano dell’Europa dei benpensanti e politicamente corretti. Peccato che sia tutto falso, una gigantesca bufala a cui i media e la politica italiani corrono dietro come fanciulli che inseguono farfalle. Ciò che avviene in Ungheria è regola in quasi tutta Europa. Sicuramente lo è in Italia. La sola responsabilità dell’autorità giudiziaria ungherese, di cui è legittimo valutare la gravità, è di aver consentito che la Salis venisse ripresa e fotografata in manette e catene, non già quella di averla sottoposta nella traduzione in tribunale ai mezzi di coercizione. È pura ipocrisia che la sinistra finga di non saperlo e si scandalizzi. In Italia funziona alla stessa maniera ed è tutto perfettamente legale. Le persone soggette a misure cautelari vengono tradotte ammanettate dal carcere in altri ambienti. L’articolo 42 bis (Traduzioni) della Legge sull’ordinamento penitenziario 26 luglio 1975, n. 354 (aggiornata con Legge del 5 maggio 2023, n. 50), al punto 5 recita: “Nelle traduzioni individuali l’uso delle manette ai polsi è obbligatorio quando lo richiedono la pericolosità del soggetto o il pericolo di fuga o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione... Nel caso di traduzioni individuali di detenuti o internati la valutazione della pericolosità del soggetto o del pericolo di fuga è compiuta, all’atto di disporre la traduzione, dall’autorità giudiziaria o dalla direzione penitenziaria competente, le quali dettano le conseguenti prescrizioni” e al punto 6, riguardo alle traduzioni collettive precisa: “Nelle traduzioni collettive è sempre obbligatorio l’uso di manette modulari multiple dei tipi definiti con decreto ministeriale...”. Il decreto ministeriale (ministeri di Grazia e Giustizia e Difesa) del 18 marzo 1993 meticolosamente descrive il tipo di mezzi di coercizione da utilizzare in graduale sostituzione degli strumenti in uso fino a quel momento (ceppi e catene): “Le manette modulari multiple da utilizzare nelle traduzioni collettive sono costituite da: a) manette di metallo leggero... provviste di sistema per l’aggancio al cavo principale; b) cavo principale di acciaio, in sostituzione della catena, ricoperto di plastica o gomma, suddiviso in tratte, ciascuna non inferiore a ottanta centimetri, raccordate mediante apposito sistema; c) cavi terminali con anelli agganciabili, mediante sistema di sicurezza, al cavo principale.

I detenuti, una volta giunti in tribunale vengono condotti in un ambiente adiacente all’aula del processo, liberati dei mezzi di coercizione e introdotti in appositi gabbiotti dai quali assistere all’udienza (prassi obbligata nei maxi processi). Raramente agli imputati in custodia cautelare in carcere è concesso di sedere, liberi, accanto ai propri avvocati difensori, come la normativa europea richiederebbe. Le esigenze di sicurezza e il rischio di fuga dell’imputato prevalgono, nelle decisioni delle autorità competenti, sulla volontà di far rispettare le sentenze della Corte europea dei Diritti dell’uomo in ordine al divieto di trattamenti degradanti ai danni di persone detenute o internate e alla lesione del principio di presunzione di innocenza, visivamente messa in discussione dai segni tipici della pena, portati da soggetti non ancora giudicati (Antigone, XVII rapporto sulle condizioni di detenzione).

Accade in Italia, ma è così in tutta Europa per quanto riguarda la collocazione in gabbie metalliche, celle o in box – in Gran Bretagna li chiamano “docks” – e l’uso di manette e catene. Perciò dove starebbe lo scandalo ungherese? Lì i giudici hanno legittimamente ritenuto concreta la pericolosità dell’imputata Salis. Non avrebbero dovuto consentire le riprese video, d’accordo. Ma non è motivo sufficiente per descrivere l’Ungheria come l’Iran d’Europa.

Aggiornato il 02 febbraio 2024 alle ore 11:17