Benvenuti in Ong crociere

La chiamano sindrome nimby, dall’acronimo della locuzione inglese not in my backyard, “non nel mio cortile”. Si tratta del morbo che sta colpendo i sindaci delle Amministrazioni comunali costiere di sinistra da quando il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha avuto la felice idea di dirottare le navi delle Ong, che svolgono il servizio di traghettamento degli immigrati clandestini dalle acque libiche all’Italia, verso i porti delle cittàrosse” del centro e del nord del Paese. Proprio non ci stanno i “compagni” ad assumersi la rogna della gestione degli sbarchi dei clandestini. Temono che i loro amministrati possano non apprezzare tanta generosa ospitalità. Ma come? Proprio loro, che sono stati i vessilliferi dell’accoglienza senza se e senza ma, adesso fanno le bizze di fronte al carico di umana disperazione che le navi delle Ong si preparano a riversargli addosso. Dov’è finita la frusta retorica delle “porte aperte” e dell’abbattimento delle frontiere con la quale ci hanno appestato negli anni, in cui il bastone del comando era saldamente nelle loro mani? Si direbbe, con un’espressione che rasenta la volgarità, che è bello fare gli accoglienti con i porti degli altri. Ma la musica cambia quando i punti di sbarco sono quelli del giardino di casa propria.

Dobbiamo dircelo chiaro e tondo: basta con l’ipocrisia. Da qualsiasi parte provenga. Che sia dei nostri partner europei – vedi i francesi che “s’incazzano” se solo vedono spuntare all’orizzonte una nave carica di immigrati – o che sia degli amministratori di casa nostra. Finora ha fatto comodo a tutti, in Europa e in Italia, che la Sicilia e la Calabria venissero trasformate nell’hotspot della disperazione del mondo. Ma non è giusto. Dove sta scritto che debbano essere siciliani e calabresi, cittadini come tutti gli altri, a pagare il prezzo più alto a causa di un fenomeno che, dissolta la patina umanitaria, resta di assoluta illegalità? La favoletta dell’ossequio alla legge del mare che obbliga a salvare le vite umane in caso di naufragi non regge più, posto che abbia mai retto. Lo hanno capito anche le pietre che l’attività di recupero in mare d’individui partiti dalle coste nordafricane, messa a sistema dalle Ong, costituisce un fattore attrattivo per i trafficanti di esseri umani, che non può più essere tollerato. Oggi più di ieri, visti i numeri impressionanti degli arrivi che fanno temere il peggio per il prossimo futuro.

Le chiacchiere sono chiacchiere mentre i numeri sono testardi. Essi fotografano sempre la cruda realtà, anche quando si fa fatica a raccontarla. Il cruscotto migranti del ministero dell’Interno ha registrato alla data del 10 gennaio 3.709 persone sbarcate dall’inizio dell’anno, contro le 378 dello stesso periodo nel 2022 e le 287 del 2021. Ora, considerando che al 31 dicembre dello scorso anno gli sbarcati censiti sono stati 105.140, la previsione per il 2023, calcolata sulla progressione degli arrivi, porta a triplicare la stima del numero di coloro che giungeranno illegalmente in Italia quest’anno. Il nostro Paese un’ondata migratoria di tali dimensioni non se la può permettere. Non la regge. Il Governo Meloni ne ha piena contezza e ciò conforta. Il recente decreto del ministro Piantedosi, che mira a frenare l’immigrazione clandestina, è una buona base di partenza. Ma non basta. Occorre che il Governo si muova in fretta e nella giusta direzione. Che non sembra essere quella dell’Europa. Non c’è nulla da fare, di accogliere migranti economici i nostri partner non vogliono saperne. Quindi, inutile illudersi almanaccando su irrealistici piani comunitari di ridistribuzione degli arrivi. Lo ha ribadito il partner svedese nell’atto di assumere la presidenza semestrale del Consiglio europeo: “Non ci sarà alcun patto sull’immigrazione”.

Giorgia Meloni insiste – ne ha nuovamente parlato con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in visita lunedì a Roma– ma è tempo perso, su questo fronte non caverà un ragno dal buco. A questo punto, non resta che battere la via maestra, che resta quella di riportare gli immigrati nei luoghi di partenza. Ciò comporta un accordo con le autorità nazionali dei Paesi interessati, a cominciare dalla Libia e dalla Tunisia. Non è cosa che l’Italia possa fare da sola. È necessario che sia l’Europa a muoversi. Allora, che lo faccia. Quando in ballo c’era la rotta balcanica col serio pericolo che l’area settentrionale dell’Unione europea venisse travolta dall’ondata migratoria proveniente dalla Siria e dal Vicino Oriente, l’accordo con l’autocrate turco Recep Tayyip Erdogan si è subito trovato a suon di miliardi di euro. Perché non tentare la medesima strada con Tripoli e Tunisi? Forse perché Roma non è Berlino? Può darsi, ma i tempi cambiano e accade che l’alleata servile e succube di ieri, qual è stata l’Italia governata dalla sinistra, ceda il posto a un’Italia diversa, in grado, in sede europea, di presentarsi con la schiena dritta.

A occhio, Giorgia Meloni, giovane e “cazzuta” donna, sembra non soffrire di scoliosi o di artrosi deformante. Sia dunque Bruxelles a farsi carico di trattare con i governanti nordafricani per la creazione in loco di hotspot gestiti dalle organizzazioni umanitarie presso cui far confluire i migranti giunti in Nordafrica e dove fare la selezione degli aventi diritto alla protezione umanitaria e all’asilo politico in Europa, separandoli da quelli che non hanno i requisiti per accedere a tali privilegi. Qui la xenofobia non c’entra nulla. Diradatesi le nebbie della demagogia multiculturalista, la stella polare per il Governo di centrodestra deve essere l’ancoraggio alla realtà. Perché è la cronaca quotidiana a restituire una verità incontrovertibile: dovendo fare i conti con una massa di oltre cinque milioni di poveri al proprio interno, l’Italia non ha le risorse e gli spazi per concedersi all’accoglienza illimitata. Per molto tempo si è incorsi nell’errore di ritenere il tema del contrasto all’immigrazione illegale un argomento-bandiera della propaganda leghista. I fatti dimostrano che proteggere i confini per garantire la sicurezza e l’ordine pubblico non è affare di bottega di Matteo Salvini.

Adesso cominciano ad ammetterlo, sebbene a denti stretti, anche gli amministratori locali del Partito Democratico. Ci stiamo dissanguando per tenere fede all’impegno preso con gli alleati del fronte occidentale di sostenere fino alle estreme conseguenze la causa ucraina contro l’aggressione russa. Se siamo buoni, molto più di altri in Europa, a tenere testa alle provocazioni di Mosca, non si capisce perché non lo siamo più quando si tratta di ricevere aiuto per risolvere il problema del flusso illegale migratorio. Il tempo dei doppi pesi e delle doppie misure è scaduto. Se si è insieme, si è insieme sempre e non soltanto quando conviene esserlo. I partner europei o lo capiscono o lo capiscono. Secundum non datur.

Aggiornato il 12 gennaio 2023 alle ore 09:49