La pacchia di Pulcinella

Giorgia Meloni, al pari di qualunque favorito alla carica di presidente del Consiglio, è costretta a camminare sul filo di una propaganda tesa ad accontentare il maggior numero di palati politici, se così vogliamo dire. In sostanza, avendo più volte attaccato l’Europa da posizioni marginali, la leader di Fratelli d’Italia, pur avendo modificato profondamente il suo approccio nei riguardi dei nostri partner continentali, deve per forza di cose lanciare qualche segnale alle fasce più intransigenti della sua base elettorale. Ed è proprio con questa chiave di lettura che si spiega il successo che il suo “è finita la pacchia” rivolto all’Unione europea – sostenendo che l’Italia comincerà a difendere i suoi interessi (come se non lo avesse mai fatto prima) – ha riscosso presso il popolo dei sovranisti, più o meno sfegatati. Sovranisti sfegatati che, in particolare quelli che immaginano un futuro roseo tornando a una moneta nazionale, hanno trovato un efficace punto di riferimento in Italexit di Gianluigi Paragone. Giacché è sempre l’elettore mediano – tendenzialmente incline a optare per un voto utile – che risulta decisivo per vincere una elezione, i partiti maggiori cercano sovente di allargare la base a cui si rivolgono, contrariamente a quelli di nicchia, i quali tendono invece a radicalizzare il messaggio.

Quello che è certo, a mio parere, è che Meloni, non essendo affatto sprovveduta, sa benissimo che l’Italia avrebbe tutto da perdere se adottasse in Europa una linea realmente intransigente, così come non ignora che è solo grazie alla tanto detestata moneta unica che non abbiamo già fatto default. Se, infatti, per avventura il partito di Paragone dovesse vincere le elezioni, mettendo in pratica il suo proposito di uscire immediatamente dall’euro, eliminando dalla Costituzione il pareggio di bilancio, l’Italia salterebbe per aria nel giro di pochissimo tempo. E il motivo è semplice, quasi elementare direi: con un debito pubblico colossale denominato in euro e che va costantemente rinnovato, all’annuncio di un repentino ritorno alla moneta nazionale nessuno ci presterebbe più un quattrino, prevedendo che ciò preluderebbe a una continua monetizzazione del debito medesimo.

Ciò, in soldoni, significherebbe perdere l’accesso ai mercati finanziari, con esiti catastrofici per un Paese di trasformazione come il nostro, il quale dipende in tutto e per tutto dall’importazione di materie prime e semilavorati che vanno pagati con moneta forte e non con le banconote del Monopoli. Meditate gente, meditate.

Aggiornato il 21 settembre 2022 alle ore 10:09