Berlinguer e la questione moralista

Quella di Enrico Berlinguer, passata alla leggenda metropolitana dopo un’intervista di fine luglio 1981 con Eugenio Scalfari per “la Repubblica, fu in realtà “la questione moralista”. Non tanto quella “morale”. E per di più era tarata su un unico soggetto politico: Bettino Craxi e il suo Psi. Visto come concorrente da eliminare per continuare il cammino del compromesso storico con Ciriaco De Mita, dopo che era fallito quello con Aldo Moro.

Ed era, quella stessa intervista, figlia di una presa di posizione tempestiva di Berlinguer dopo un governo caduto sull’onda dello scandalo P2. Scandalo che rappresenta il primo tentativo della magistratura di assaltare il palazzo d’inverno della politica. Almeno dieci anni prima di “Mani pulite” ma con armi più spuntate. Che non contemplavano l’abolizione della immunità parlamentare. E neanche le leggi speciali che ci sono oggi tra cui la “spazzacorrotti”. Inoltre era ancora possibile varare amnistie a maggioranza semplice nel Parlamento. E i pm in politica erano un’eccezione, non la regola.

Quella intervista venne offerta da Scalfari a Berlinguer per aiutarlo politicamente. E fu come il cacio sui maccheroni per cercare di tagliare a Craxi la strada del futuro successo elettorale, cui conseguì un governo che sarebbe stato tra i più lunghi dal dopoguerra a oggi.

La questione morale era come al solito “il moralismo degli stenterelli”. Quello che ancora oggi mette tutti contro tutti ogni qual volta un politico del partito concorrente e/o avversario viene investito da una qualsivoglia indagine giudiziaria. Il Partito comunista italiano notoriamente prendeva i soldi da Mosca e avrebbe continuato almeno fino al 1990 a farlo. Poi c’era anche di peggio: spionaggio, ambiguità con il terrorismo di sinistra da parte di alcune frange della galassia che faceva riferimento allo stesso Pci, con casi di favoreggiamento anche famosi, e così via. Basti pensare che l’ultima amnistia, quella del 1990-1991 fu pressoché mirata sui finanziamenti ai partiti politici anche provenienti dall’estero.

Si potrebbe in pratica anche affermare che quella “questione morale” che Berlinguer poneva avrebbe messo in realtà i semi per il populismo giudiziario di oggi. A Cinque stelle o meno che sia. Quella ricerca spasmodica del “più puro che ti epura”.

Poi Berlinguer prima di quella intervista passo alla storia per un’altra pensata: “l’austerity”. Nata dopo la crisi petrolifera seguita alla guerra di Yom Kippur. Berlinguer era così ottuso dal lato moralistico che nel suo partito venne ingaggiata la guerra di classe contro la tv a colori. Che in Italia arrivò per ultima in Europa. Determinando anche la crisi di case produttrici italiane che speravano nel nuovo affare.

Nelle sezioni del Pci di allora in molti ricordano i predicozzi dai capataz locali contro la corruzione dei costumi che quella tv a colori avrebbe potuto portare. Roba ridicola. Da Unione Sovietica, per l’appunto. Berlinguer inoltre avrebbe anche privato gli italiani della legge Fortuna-Baslini sul divorzio pur di non fare il referendum voluto dai cattolici e incoraggiato da Marco Pannella e dai radicali per guidare finalmente una scelta definitiva in materia. Quella volta, avendolo promosso dall’interno della Democrazia cristiana, il quorum era garantito e quindi alla fine il Pci si schierò con i radicali. Ma solo alla fine.

Altri esempi ancora più illuminanti sulla doppiezza etica di Enrico Berlinguer li ha riportati fedelmente Renato Farina su Libero di giovedì scorso e riguardano l’ideologica “fermezza” che portò all’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse e alle dimissioni di Francesco Cossiga da ministro dell’interno per il caso del figlio di Carlo Donat-Cattin coinvolto nel terrorismo di Prima linea.

Tutte circostanze che portano a concludere che, in quella troppo esaltata intervista con il direttore de la Repubblica dell’epoca, l’ex segretario del Pci avesse sollevato la “questione moralista”. Non quella “morale”.

Aggiornato il 30 maggio 2022 alle ore 09:34