Io ebbi l’onore di conoscerlo da vicino, Silvano Girotto, alias frate Mitra, l’uomo che fece arrestare Renato Curcio e Alberto Franceschini davanti alla stazione di Pinerolo nel lontano 8 settembre del 1974. E lo ricordo con commozione adesso che è morto a Torino, nel proprio letto, circondato dall’affetto dei suoi cari. Mi aveva cercato dopo un articolo scritto all’epoca – fine anni ’90 – per “La Padania” in cui anche io caddi nell’errore di crederlo e definirlo un personaggio ambiguo, pur non disconoscendone i meriti eroici nella lotta al terrorismo. Basti solo pensare che in pieno sequestro Moro si presentò in aula a Torino, per ribadire nel processo le dichiarazioni rilasciate a futura memoria poco dopo l’arresto trappola di Curcio e Franceschini. E cioè le motivazioni che lo avevano spinto ad accettare di infiltrarsi nelle Brigate Rosse fino a farne arrestare i capi storici su input del capitano Gustavo Pignero, che all’epoca era una delle punte di diamante dei carabinieri di Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Nessuno in quel clima di tregenda in cui neppure si riusciva a formare la giuria popolare della Corte di Assise di Torino per le rinunce a raffica dei sorteggiati che se la facevano sotto per le minacce brigatiste – pochi mesi prima era stato anche ucciso il presidente dell’ordine degli avvocati Fulvio Croce, che aveva accettato sempre per spirito civile di difendere di ufficio il capo delle Br – si sarebbe aspettato che quell’uomo si presentasse in aula da solo e senza alcuna scorta. Anche a smentire le voci fatte circolare dagli amici delle Br dell’epoca – ed erano tantissimi anche nelle redazioni dei giornali – secondo cui frate Mitra era riparato all’estero e viveva da nababbo con i soldi dei servizi segreti.

Tutte “cazzate”. Quel povero Cristo che aveva fatto prendere i capi storici di quelle che i giornali continuavano a chiamare le “Brigate sedicenti rosse”, lo Stato se lo era dimenticato. E all’estero ci dovette emigrare per trovare lavori da operaio specializzato in circuiti elettrici come era. E – mi disse – “ogni volta che andavo in paesi lontani come la Libia, o il Congo o anche in altri continenti quella calunnia di essere stato il provocatore che aveva fatto arrestare i brigatisti buoni mi inseguiva… e inevitabilmente, allorché giungeva alle orecchie dei miei datori di lavoro, io perdevo il posto”.

Persino giornalisti di rango come Sergio Zavoli incorsero nell’errore di dare corpo a quelle voci che dipingevano Girotto come lo strumento occulto di chissà quale complotto contro le buone Br di un tempo. Alla stregua di una leggenda metropolitana – oggi la chiameremmo fake news – che si autoalimentava. E basta rivedere la puntata de “La notte della Repubblica” in cui si parla di lui per rendersene conto.

Girotto fu da me portato alla Commissione Stragi – all’epoca ero stato nominato consulente – in quella che si rivelerà come una delle sedute più interessanti e importanti, quella del 10 febbraio 2000. Più di 22 anni orsono. Questo a seguito di un’intervista che lo stesso Girotto mi aveva rilasciato dopo il nostro incontro per il settimanale “Il sole delle Alpi”.

Fino a quel giorno, benché la Commissione esistesse da oltre un decennio, chissà perché, nessuno aveva mai pensato di sentire “frate Mitra”, che pure rappresentava una pietra miliare nella storia delle Brigate Rosse. Nell’audizione, Girotto ribadì ciò che aveva detto al processo di Torino il giorno della sua inattesa testimonianza. Lui che era stato un giovane scapestrato, un arruolato nella legione straniera, che si era fatto prete ed era andato a fare il guerrigliero in Bolivia e poi nel Cile di Augusto Pinochet nei primi anni ’70, si era convinto che in Italia questi “primi fuochi di guerriglia” e di lotta armata non erano giustificati e che uomini come Curcio, Franceschini e Moretti – che in seguito alla sua infiltrazione pilotata ebbe modo di conoscere – avrebbero portato solo lutti e disgrazie al Paese. Cosa che poi puntualmente avvenne. L’operazione Girotto fu ideata dall’allora capitano dei carabinieri, Gustavo Pignero, per conto di Carlo Alberto dalla Chiesa. Per Pignero, Girotto era “una vecchia conoscenza”, e non ci mise molto a convincerlo che prestandosi a quella operazione anti-terrorismo avrebbe potuto riscattare gli errori di gioventù.

Girotto non dovette faticare per sedurre i proto-brigatisti con quella fama da prete guerrigliero, che si portava dietro anche nei resoconti dei giornali dell’epoca, tra cui il “Borghese” di Mario Tedeschi. Ebbe una serie di incontri con Curcio, Franceschini, Mara Cagol e anche Mario Moretti. E nella trappola da lui architettata insieme con i carabinieri dell’anti-terrorismo quel giorno a Pinerolo avrebbe dovuto presentarsi anche la futura primula rossa, nonché principale artefice del sequestro di Aldo Moro, che sarebbe avvenuto meno di quattro anni dopo. Solo che Moretti ricevette una telefonata che lo avvertiva della trappola da parte del medico Enrico Levati, un fiancheggiatore dell’epoca, a sua volta avvertito molto probabilmente proprio da qualcuno all’interno del nucleo di dalla Chiesa. Almeno secondo le ipotesi fatte dallo stesso Girotto, che riferì anche alla Commissione Stragi che di quell’operazione – oltre a lui, Pignero e dalla Chiesa – erano a conoscenza al massimo altre tre o quattro persone. Non vennero invece avvertiti Curcio e Franceschini. All’epoca non c’erano i telefonini. E Curcio, in un’intervista del 2020, non avvalora le tesi complottiste secondo cui Moretti venne fatto scappare perché diventasse lui il capo delle nuove Brigate Rosse, “molto meno buone” di quelle dirette da lui e Franceschini.

Su questo enigma si costruirà poi la fama sinistra che ha perseguitato ingiustamente Girotto fino alla fine dei suoi giorni, cioè il 30 marzo 2022 a Torino, dopo una vita passata a fare prima il lavoratore all’estero – come si ricordava – e poi il missionario in Eritrea e in altre zone dell’Africa. Come ricorda sulla “Stampa”, a pagina 35, il giornalista Paolo Griseri in un articolo che almeno da morto rende omaggio alla figura di Girotto, il vero mistero è perché in Italia, a partire dai commentatori della sinistra, sia stato considerato “frate Mitra” come un traditore, invece che come un eroe civile. Un’ingiustizia che il povero Girotto si è portato nella tomba. E di cui molti oggi ancora in vita dovrebbero vergognarsi.

Aggiornato il 01 aprile 2022 alle ore 13:47