Una Lega per il futuro: la colonizzazione del sistema solare/4

I satelliti artificiali

I satelliti artificiali in orbita sono oltre 14.000 (compresi quelli ormai spenti). Il primo lo lanciò l’Unione Sovietica nel 1957, lo Sputnik 1, il 4 di ottobre. Nel 1964 fu invece spedito nello spazio il primo satellite in orbita geostazionaria, per la trasmissione tv delle Olimpiadi di Tokyo. Il lancio di nuovi satelliti ha raggiunto la quota di 200 all’anno.

I satelliti artificiali che orbitano intorno alla Terra sono essenzialmente di due tipi. I geostazionari orbitano sullo stesso piano equatoriale della Terra e in sincronia con la rotazione terrestre (un’orbita in 24 ore). Hanno insomma sotto di sé sempre lo stesso punto della Terra, sono collocati a circa 36000 chilometri dal globo e con orbita circolare. Questi satelliti danno servizi, come trasmissioni tv, osservazioni e previsioni meteorologiche. Per zone molto estese e lontane si usano più satelliti, a longitudini diverse. Per osservare l’intero pianeta bastano tre satelliti distanti 120 gradi tra loro. L’osservazione dall’alto è strategica e, per i Paesi più forti, i satelliti commerciali e scientifici sono affiancati da quelli militari e da quelli spia, i polari. La loro orbita è ellittica e il piano dell’orbita è inclinato rispetto a quello equatoriale, Il punto di massima vicinanza è detto apogeo (800-900 chilometri), quello più lontano perigeo. La velocità varia in funzione della distanza dalla Terra ed è molto elevata per compensare per forza centrifuga l’attrazione terrestre. A basse distanze sono possibili scansioni dettagliate su tutto il globo, per effetto dei passaggi che interessano punti diversi della Terra. I servizi meteo utilizzano questi satelliti, come l’agricoltura, le ricerche minerarie e scientifiche. Le organizzazioni militari e di Intelligence delle grandi potenze si avvalgono di reti di satelliti polari e i sensori dei satelliti sono classificati in funzione della porzione di banda elettromagnetica a cui sono sensibili. Vedono al buio e attraverso le nuvole, vedono il calore, l’umidità e la densità. La realizzazione e la messa in orbita di un satellite, in passato riservata alle organizzazioni statali delle grandi potenze, oggi è anche un’attività commerciale a pagamento.

Comunque, nell’odierno scenario, continuano ad essere fondamentali le finalità strategiche dei paesi più ricchi e più forti per determinare l’entità degli investimenti spaziali. I satelliti osservatori e spia, Global Positioning System (Gps). È un sistema di satelliti polari, decine di satelliti in orbite diverse, che circondano la Terra e permettono, a chi possiede un apparecchio ricevente, di conoscere la propria posizione (con pochi metri di errore) rispetto alla Terra, longitudine, latitudine, altitudine. Il sistema funziona a due livelli: uno ad altissima precisione per uso militare, l’altro, per – concessione militare – per uso civile e privato, anche automobilistico. Ogni soldato in una landa sperduta equipaggiato di un ricevitore Gps militare può conoscere a ogni istante la propria posizione e pianificare un percorso. Un navigatore solitario in mezzo all’oceano o un esploratore nel centro di una foresta, possono fare il punto sulle carte. Anche un missile da crociera, col suo computer di bordo, può pianificare il suo tragitto verso l’obiettivo utilizzando il GPS, con una accuratezza estrema. L’equivalente Russo è il Glonass.

La Stazione spaziale internazionale

L’International space station, progetto di cinque agenzie, la Nasa, la russa Rka, l’europea Esa, la giapponese Jaxa e la canadese Csa, é in orbita terrestre bassa compresa tra i 330 chilometri e i 435 chilometri di altitudine e viaggia a velocità media di 27600 chilometri orari, completando 15,5 orbite al giorno. È abitata dal novembre 2000 e l’equipaggio, con molte sostituzioni, va da due a sei astronauti. Erede della stazione americana Freedom (presidenza di Ronald Reagan) e costruita dal 1998, è ormai in piena funzione. Costo totale, stima Eesa, 100 miliardi di euro in 30 anni. Obiettivo: sviluppare tecnologie per l’esplorazione spaziale, la vita oltre l’orbita terrestre in voli di lunga durata ed essere laboratorio di ricerca in ambiente di microgravità, in biologia, fisica, chimica, medicina, astronomia e meteorologia.

La struttura della stazione, con i suoi oltre cento metri di intelaiatura, copre un’area maggiore di ogni precedente, tanto da renderla visibile dalla Terra ed è servita da navicelle Sojuz, Progress, Dragon e dal H-II Transfer Vehicle, è stata visitata da astronauti provenienti da 15 Paesi ed è aperta all’utilizzo da parte di altre agenzie e del settore privato. La ricerca aumenta le conoscenze sul corpo umano in lunga permanenza nello spazio ed assenza di peso. con studi sull’atrofia muscolare, la perdita di tessuto osseo, le dinamiche dei fluidi, il rallentamento del sistema cardiovascolare e i disturbi d'equilibrio e sistema immunitario. Effetti che scompaiono al ritorno a terra.

Senza protezione dell’atmosfera, gli astronauti sono più esposti alla radiazione cosmica e ne ricevono ogni giorno, circa la quantità che riceviamo in Terra in un anno (cinque volte superiore a quelle dei passeggeri degli aerei, in un volo assai più corto). I dati servono per stimare l’avanzamento tecnologico necessario per voli di lunga durata e colonizzazione del sistema solare. Si sta studiando anche l’effetto di assenza di peso su evoluzione, sviluppo e processi interni di piante e animali. La Nasa si propone di indagare la microgravità sulla sintetizzazione e crescita di cristalli, tessuti umani e proteine, che possano essere prodotti nello spazio. Nel campo della fisica, l’Alpha Magnetic Spectrometer, erede di Astromag (a cui lavoravo), è un rivelatore progettato per la ricerca di particelle e di antimateria, tramite misure dei raggi cosmici. L’assemblaggio della Stazione è uno sforzo di architettura spaziale. Dal 1998 al 2011, ci sono state 159 uscite spaziali, 127 dalla stazione, 32 da navette ancorate, per fare sedici moduli pressurizzati (tra laboratori, moduli e spazi abitativi) per un volume di circa 1000 metri cubi. La Iss presenta anche componenti esterni, come l’Integrated Truss Structure americano, dove sono montati pannelli solari e radiatori, costituito da dieci segmenti che formano una struttura di 108,5 metri, base per un braccio robotico in grado di muoversi su binari e raggiungere tutte le parti.

Vi sono pure strutture con altri sistemi di manipolazione, oltre a due gru russe per la movimentazione di astronauti e materiale. L’alimentazione è data da coppie di pannelli fotovoltaici convertitori di radiazione solare in elettricità, con tensioni tra 130 e 180 volt. Ogni coppia è di 73 metri con superficie di 890 metri quadrati. Con quattro coppie, la stazione ha una potenza di 260 chilowatt. L’atmosfera, simile alla terrestre, è di azoto e ossigeno a pressione del livello del mare.

Per compensare le perdite di quota, la stazione utilizza i motori del modulo di servizio tramite navetta di rifornimento Progress, in futuro si userà un motore al plasma Vasimr, per un migliore mantenimento. La stazione è dotata di 100 computer portatili configurati per sicurezza e funzionamento in assenza di peso. Via radio il trasferimento dati telemetrici e scientifici tra stazione e controllo a terra, le procedure di aggancio, le trasmissioni del controllo di volo e dei familiari. Nelle ore notturne, le finestre sono chiuse per fare oscurità, poiché nella stazione il sole sorge per 16 volte in 24 ore. L’equipaggio lavora dieci ore (cinque il sabato) il resto del tempo è per riposo o impegni. Un astronauta fa due ore di esercizi fisici, si lava con getto d’acqua e salviette umidificate. Cibo congelato o in scatola (il gusto è ridotto in orbita e il piccante è preferito) ogni membro ha i suoi alimenti e li cuoce in cucina, le bevande sono disidratate e mescolate con acqua. Vi sono alloggi per ogni astronauta, cabine personali, dove dormire, fare musica, leggere, usare un computer e tenere oggetti personali. La Stazione ha avuto centinaia di visitatori, al novembre 2014 già 100 navette russe (Sojuz e Progress), 37 space shuttle, 5 Atv, 5 Htv, 4 Dragon e 3 Cygnus.

I voli Sojuz per rotazione di equipaggi e quelli di rifornimento Progress visitano la stazione, rispettivamente, due e tre volte l’anno. La costante presenza nello spazio aiuterà a migliorare i sistemi di supporto vitale e ambientale, la prevenzione delle malattie e la produzione di materiali, fornendo così conoscenze indispensabili alla colonizzazione dello spazio. Stazioni spaziali potrebbero avere il ruolo futuro di confinamento delle armi di distruzione di massa (al contrario della politica attuale) per il valido motivo che la distanza renderebbe meno totalmente irreparabile una catastrofe “per errore”. Comunque, la stazione sarà il prototipo di altre basi orbitanti future, anche se sarà da basi su pianeti che verrà lo sviluppo maggiore, perché potranno permettere il cosiddetto “Terraforming”.

Lo spazio vicino a noi. La grande avventura

È lo Spazio più vicino a noi. Marte, Venere e la Luna, assieme alla Terra, sono un piccolo insieme ravvicinato, perso nell’enorme Universo in cui siamo inseriti. E in questo piccolo insieme dovrà avvenire, di necessità, l’inizio dell’avventura umana al di fuori della Terra. Per capire perché parliamo di necessità, ricordiamo ancora cosa abbiamo fatto in passato. L’uomo si è sempre rifiutato di cedere alle avversità, di vedere morire i suoi figli di fame e di freddo. Si è coperto di pellicce e ha scoperto come coltivare la terra. Più avanti nella civilizzazione ha scoperto come combattere le malattie, diminuire la fatica, migliorare i rapporti sociali e ha inventato la medicina, le macchine e la democrazia. Non è stato un processo lineare, abbiamo avuto avanzate e ripiegamenti, vittorie e sconfitte, ma siamo progrediti, rifiutando di cedere alle avversità, di farcene condizionare fino a perderci. E oggi che siamo di fronte alla più nuova e grande delle sfide, quella dei limiti finiti del nostro pianeta, cosa dovremmo fare, accettarli? E accettarne i condizionamenti, il numero di figli stabilito per legge, le professioni decise dall’alto, la stretta regolamentazione di tutto, dai comportamenti standardizzati, fino all’appiattimento del gusto e al sottosviluppo pianificato?

Questo, si potrebbe ipotizzare, sarebbe per preservare la pace, ma è più probabile il contrario, molto più probabile. Quella crisi di follia, che sola può scatenare un conflitto in epoca di armi di distruzione di massa, sarebbe molto più facilmente innescata da una situazione claustrofobica, dalla rarefazione di territori e risorse e dalla competizione esasperata in uno spazio ristretto, come in prigione, dove nessuno è libero e la violenza è la regola, dove la vita è meno bella e si può arrivare a credere che costi di meno il perderla. Chi crede di barattare la Libertà con la pace, perderà la Libertà e poi anche la pace. Il risparmio di risorse, il contenimento della crescita, l’autoregolamentazione, hanno un senso se ci daranno il tempo di preparare la nuova impresa, altrimenti saranno solo un placebo pericoloso, perché ci illuderanno di aver risolto i problemi senza farlo e anzi, esasperando le tensioni, aggravandoli. La “crescita zero” del Club di Roma, non è una opzione. Lo ripetiamo, tutto in Natura, dalle piante alle rocce, dagli animali alle nazioni, dalle religioni alle teorie politiche, dalle stelle agli ammassi galattici, dai singoli individui alle specie, cresce e si sviluppa e quando smette di crescere, decresce e muore.

In Natura la crescita zero semplicemente non esiste. A colonizzare andranno i pionieri, coloro che lo sono sempre stati, esploratori, militari, scienziati, avventurosi e avventurieri. E infine, in un tempo non troppo lungo, tutti gli altri, quelli come noi. La Terra sarà un’immensa città con grandi parchi e lo spazio vicino la sua campagna, dura, ma non ostile, abitabile.

In termini generali, il processo di antropizzazione di pianeti ostili si chiama “Terraforming”, parola di facile comprensione, che significa rendere un altro pianeta più simile possibile alla Terra per renderlo maggiormente abitabile. Accanto ai primi nuclei racchiusi in cupole ossigenate e più simili a laboratori caserma che ad abitazioni, si dovrà contemporaneamente procedere a una profonda modificazione del pianeta con una vera e propria “rivoluzione vegetale” di specie super selezionate e geneticamente modificate (a partire da quelle della tundra Artica o dei deserti, secondo le caratteristiche di temperatura del pianeta da colonizzare) capaci di attecchire e resistere producendo nel tempo un atmosfera con ossigeno nelle proibitive condizioni iniziali.

La colonizzazione: il Terraforming

Il Terraforming è il processo tendente a rendere abitabile per l’uomo un pianeta o una luna, intervenendo su atmosfera e morfologia, composizione chimica e temperatura, per renderle più simili a quelle in Terra e in grado di sostenere la vita. L’aumento di popolazione, la necessità di risorse e la nostra aspirazione a garantire spazi di Libertà ci spingeranno a colonizzare nuovi ambienti, a cominciare dallo Spazio vicino, dai pianeti del sistema solare. Saranno basi scientifiche, miniere, ma anche e soprattutto luoghi di vita, probabilmente in un futuro non troppo lontano. La terraformazione ha dei limiti, il pianeta non deve essere troppo grande o piccolo, nel primo caso la gravità sarebbe troppa per la vita, nel secondo troppo debole per il corpo e per trattenere l’atmosfera che sfuggirebbe nello spazio.

Il pianeta deve avere campo magnetico adeguato e schermare i raggi cosmici energetici (Uv) pericolosi e deve essere non troppo lontano o vicino alla stella fonte di luce e calore. Oggi solo il Sistema solare è ipotizzabile e il terraforming solo per Marte e per Venere, più simili alla Terra. Marte è il più adatto e possibile da modificare, il suo giorno, di poco più di 24 ore, può facilitare la vegetazione, possiede tutti i materiali per costruire e ha molta acqua congelata. Marte inoltre era un tempo ospitale, con temperature più miti e acqua liquida in superficie, Poi l’atmosfera di Co2 e altri gas serra, si è assottigliata e oggi è un mondo freddo, con temperature medie come l’Antartide e una tenue atmosfera (1 per cento della terrestre) che non proteggerebbe uomini o animali.

Osservazioni di antiche reti di canali, fiumi e il Mars Exploration Rovers mostrano sedimenti e alterazioni dovuti all’acqua. Dunque, nel primo mezzo miliardo di anni, Marte era un posto caldo e umido con una atmosfera spessa, sicché potrebbe essere reso di nuovo abitabile, L’inclinazione dei due pianeti è simile (25,19° contro i 23,44° della Terra) così su Marte ci sono stagioni, pur se durano quasi il doppio perché l’anno è di 1,8 anni terrestri, ma oggi è inabitabile con atmosfera rarefatta quasi senza ossigeno.

Nei quarant’anni passati dal Mariner 4, abbiamo studiato Marte con molte sonde e la temperatura superficiale varia tra -140°C ai poli e +27°C all’equatore, così per terraformare dovremmo liberare molto gas serra in atmosfera ed innalzare la temperatura. Questo causerebbe la liberazione di Co2 dalle calotte polari, aumentando l’effetto serra e sciogliendo le riserve di ghiaccio sulle calotte, che permetterebbero grandi distese di acqua liquida nelle stagioni estive e intermedie. Ciò porterebbe Marte ad avere mari, clima più simile al terrestre, atmosfera più densa e potremmo portare piante per trasformare la Co2 in ossigeno. I coloni di Marte potrebbero, senza depauperare lo strato di ozono, realizzare stabilimenti automatizzati per produrre super gas effetto serra, migliaia di volte più potenti, per catturare calore.

Robert Zubrin, l’ingegnere aerospaziale, coordinatore dei progetti Nasa e Mars Society, pensa che funzionerebbe. In poche decine di anni, la temperatura su Marte aumenterebbe di oltre 10°C. Il calore porterebbe alla fuoriuscita di grandi quantità di Co2 presenti nel suolo. La Co2, gas serra, innalzerebbe la temperatura, producendone a catena altre fuoruscite. Il processo diverrebbe automatico e, con l’ispessimento dell’atmosfera, il pianeta raggiungerebbe un equilibrio, rimanendo caldo e ridando a Marte l’acqua allo stato liquido che possedeva, che riempirebbe mari, fiumi, e darebbe nuvole per scendere come pioggia. Marte ritroverebbe un ambiente fecondo per la vita. Per la vita si inizierebbe con organismi semplici, geneticamente modificati per vivere in ambiente marziano e poi piante più complesse.

L’atmosfera di anidride carbonica è un ambiente buono per le piante, che, prive di competizione, trasformerebbero Marte in un mondo verde. L’ultimo passo per la terraformazione di Marte sarebbe la creazione d’aria respirabile da esseri animali e lo farebbero le piante, attraverso la fotosintesi, ma mentre per scaldarla bastano decine di anni, la trasformazione dell’atmosfera per mezzo delle piante ne richiede molti di più.

Naturalmente, è possibile che in futuro si trovino sistemi più efficaci. Dice Zubrin: “Non credo che Marte sarà terraformato solo in questo modo. Stiamo tentando di risolvere con una mente del XX secolo un problema del XXII secolo”. Rendere Marte abitabile sarà impresa ardua, per la difficoltà di fare ossigeno, ma renderlo di nuovo ospitale per la vita sarà fondamentale ed è logico vi sia attesa per la sua colonizzazione. Comunque si comincerà a terraformare per le piante, come fu in Terra, popolata all’inizio da batteri anaerobi, fino a quando i cianobatteri, iniziarono ad estrarre ossigeno dall’acqua e ad immetterlo in atmosfera.

La Nasa, entro il 2030, pensa di inviare una missione su Marte, portando uomini sulla sua superficie e sta sviluppando i progetti per le astronavi, come la capsula Orion, per viaggiare al di fuori dell’orbita terrestre e un nuovo tipo di razzo, lo Space Launch System, ancora chimico, ma il più potente mai costruito, che permetterà di portare Orion nello spazio, cominciando con apparati robotici. Questi piani prevedono un piccolo insediamento di fondatori, per iniziare a trasformare l’ambiente di Marte e renderlo adatto alla vita. La Darpa (Defense advanced research projects agency), agenzia pubblica Usa di ricerca tecnologica, sta iniziando a progettare un processo di terraformazione di Marte. Da tempo, Darpa è coinvolta in un immane lavoro di catalogazione genetica di batteri terrestri, con lo scopo di selezionare i migliori candidati per la creazione di microorganismi che non solo possano vivere nell’ambiente ostile di Marte, ma che lo trasformino in un pianeta nuovamente abitabile.

Alicia Jackson, vicedirettore del Darpa, ha dichiarato (Astrobiology Science Conference, 2004, The Mars Terraforming Debate): “Per la prima volta abbiamo la tecnologia necessaria per trasformare ambienti ostili, il che ci permetterà di andare nello spazio, non per visitare, ma per rimanere”. Darpa sta studiando la creazione di nuovi organismi per terraformare Marte, utilizzando la biologia cellulare per sviluppare batteri capaci di modificare gli ambienti per le esigenze umane e, dato che sulla Terra esistono dai 30 ai 30.000 milioni di organismi, si possono utilizzare quelli che hanno le giuste proprietà.

Per questo è necessario mappare il loro genoma rapidamente e, catalogati i dati degli organismi conosciuti, il software potrà aiutare i bioingegneri nella selezione dei migliori geni provenienti da varie forme di vita e di modificarli per creare qualcosa di nuovo. Microrganismi da utilizzare in ambienti inospitali, per moltiplicarsi rapidamente e in modo esponenziale, così da modificare la natura di Marte. Potrebbero prosperare su Marte estesi ambienti vegetali, per la creazione di ossigeno e di un’atmosfera simile a quella terrestre, ma abbiamo bisogno di nuove tecnologie, per fare ciò in decine di anni e non in centinaia.

Terraformare Marte con le piante ed arrivare a creare atmosfera con azoto e ossigeno, con gli uomini all’inizio in città con atmosfera artificiale. Alcuni organismi fotosintetici, i cianobatteri, sono in grado di farlo, ma con adattamenti potrebbero farlo in tempi più rapidi, per poi far crescere alghe e piante, su suolo fertile. Per scaldare Marte serviranno alcune decine di anni, ma non si sa quanto serva per l’aria respirabile. Poi Marte non ha, come ha la Terra, magnetosfera ed è così privo di difese dal vento solare, problema vero, ma forse non insormontabile.

Marte è un obiettivo non solo Nasa, ma anche di gruppi privati come Mars One, che progetta basi sul pianeta, con Elon Musk che sogna una colonia di 80mila persone. Per i primi coloni sarà dura, come in un deserto con temperature polari e pressione da 34 chilometri di quota, ma meglio è la Valles Marineris, crepa lunga 3 mila chilometri e profonda 8, con pressione più alta e condizioni meno ostili. La Nasa diramò un’immagine di come doveva essere Marte con oceani su un quinto della superficie, atmosfera e un habitat che forse ospitava forme di vita.

Marte sembra avere gli ingredienti per la vita e coi super gas serra, fatti in loco, con alto potenziale riscaldante e lunga vita (1000 anni) scelti per non distruggere il futuro strato di ozono, cominceremo a terraformare, con la colonizzazione, gli incentivi e la capacità industriale. Se cambiare il clima della Terra è negativo perché ha un sistema ecologico altamente evoluto per la vita, su Marte tale ecosistema non c’è e va così ricreato, agendo in senso opposto.

Venere e Luna

Venere ha il vantaggio di avere massa e dunque gravità, simile a quella terrestre, ma l’enorme svantaggio di essere caldissima e le nostre tecnologie ci permettono più facilmente di riscaldare che non di raffreddare ed è più vicina al Sole. Ha un’atmosfera di anidride carbonica con una pressione 90 volte maggiore di quella terrestre, una temperatura di circa 480 °C ed è quasi del tutto privo di acqua e vapore acqueo. Terraformare Venere usando alghe geneticamente modificate che consumino l’anidride carbonica con la fotosintesi è stato proposto nel 1961 da Carl Sagan, ma negli anni seguenti si è compreso che il metodo non sarebbe stato efficace: Venere è pressoché privo di acqua e, inoltre, ha una rotazione assiale molto lenta, equivalente a 8 mesi terrestri: in altre parole, su Venere giorno e notte durano ognuno circa 120 giorni terrestri.

Il Terraforming di Venere è più difficile e lontano nel tempo di quello di Marte, pure le sue dimensioni di poco inferiori a quelle della Terra e la sua vicinanza ne fanno il candidato successivo. La Luna potrà solo essere un’utilissima base (la partenza dalla Luna richiede molto poca energia) un luogo di costruzioni e, se sfruttabili, di miniere robotiche, ma inadatta ad un Terraforming finalizzato alla vita stanziale. Troppo piccola e troppo poca gravità.

Il nostro futuro

“Siamo al confine di una Nuova Frontiera, la frontiera delle speranze incompiute e dei sogni. Al di là di questa frontiera ci sono le zone inesplorate della scienza e dello spazio” scriveva John Fitzgerald Kennedy.

“Noi esseri umani siamo in una posizione unica per contribuire a diffondere la vita, partendo da questo piccolo pianeta, dove sembra sia originata. Credo che questo possa essere il dono della Terra all’Universo, il dono della vita” Così Christopher McKay, planetologo della Nasa.

“Oggi ci troviamo a un bivio: o raccogliamo il coraggio per partire, o rischiamo la possibilità di stagnazione e decadenza” dice Robert Zubrin. E di perdere la nostra Libertà e anche la pace, aggiungiamo noi. Ma non lo faremo, perché l’avventura umana continuerà. Sempre. E forse un giorno un ragazzo e una ragazza, tenendosi per mano e guardando il cielo, vedranno brillare lassù anche la nostra vecchia Terra.

(4/Fine)

(*) Leggi la prima parte

(**) Leggi la seconda parte

(***) Leggi la terza parte

Aggiornato il 17 dicembre 2021 alle ore 10:09