Una tranquilla giornata di ordinaria follia

È il giorno dello sciopero generale. Lo hanno voluto la Cgil e la Uil, ma non la Cisl che si è chiamata fuori. Si protesta contro la legge di Bilancio 2022, in discussione in Parlamento. Per Cgil e Uil la manovra finanziaria predisposta dal Governo è insoddisfacente riguardo agli interventi su fisco, pensioni, scuola, politica industriale e lotta alle disuguaglianze. Nel mirino dei due sindacati c’è il mancato accordo con il Governo sull’utilizzo degli 8 miliardi di euro stanziati per il taglio delle tasse. La parte sindacale che oggi sciopera avrebbe voluto una distribuzione in stile “comunismo degli stracci” dei benefici prodotti dall’alleggerimento fiscale: nulla ai redditi medio-alti, tutto alle pensioni e ai redditi più bassi. Potrebbe sembrare una proposta tesa a restituire maggiore equità sociale a un sistema segnato da una marcata divaricazione tra i ceti forti e dei garantiti e un segmento importante del ceto medio precipitato appena sopra o, nei casi peggiori, sotto la soglia di povertà. Ma non lo è.

La prospettiva di penalizzare i redditi più alti non aiuta la coesione sociale, piuttosto la deprime. Ragioniamoci su: se si continua a mortificare il profitto, perché sperare che i privati ricomincino a credere nell’intrapresa? Perché dovrebbero investire nella produzione, abiurando la rendita finanziaria, se lo Stato si rivolta contro i produttori di ricchezza (e di lavoro) peggio di quanto non faccia con una tassazione insostenibile, una burocrazia pachidermica e una giustizia che per lentezza è una non-giustizia? Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, ha spinto perché il Governo inserisse in manovra, a carico dei più ricchi, il famigerato “contributo di solidarietà”, che è una patrimoniale presentata sotto mentite spoglie. E l’ha presa male quando la proposta è stata bocciata dalla maggioranza delle forze politiche che sostengono Mario Draghi. Se fosse stato approvato, l’intervento, secondo le stime del ministero dell’Economia, avrebbe portato nelle casse dello Stato circa 250 milioni di euro. Domande: sarebbero bastati a finanziare tutte le cose belle di cui parlano Landini e compagni? Davvero il segretario della Cgil pensa che gli italiani abbiano l’anello al naso? Era il caso di provocare lo scontro sociale? Vogliamo essere chiari: non pensiamo che Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri (segretario generale Uil) siano dei pazzi incoscienti. Riteniamo, invece, che i due leader sindacali siano disperati e cerchino, attraverso l’arma della protesta più dura, di riconquistare una centralità nel Paese, da tempo perduta. Smascherare la loro posticcia intransigenza è semplicissimo. É sufficiente che gli si chieda: dove eravate negli anni di Governo della sinistra che ha tenuto alta la tassazione ma non ha ridotto gli squilibri sociali? In cambio di cosa siete ammutoliti? Adesso vi preoccupate dei dipendenti e dei pensionati che bene o male una base reddituale garantita l’hanno, ma non vi importa niente di coloro che hanno pagato a caro prezzo le crisi che si sono succedute negli ultimi dieci anni.

Precari, lavoratori autonomi e micro-imprenditori non vi competono, perciò le loro sorti non sono affare vostro. La verità è che la lotta per la difesa del lavoro non appartiene da tempo all’odierno modello sindacale e le battaglie che la “triplice” conduce sono derubricabili a rivendicazioni di stampo corporativo. Dello stesso tenore di quelle sostenute dalle vituperate lobby. Parliamoci chiaro: lo sciopero di oggi non c’entra un bel nulla con le istanze dei lavoratori. La prova di forza di quest’oggi mira esclusivamente a raggiungere il piano della politica sul quale Maurizio Landini in particolare prova a ritagliarsi uno spazio. Lo ha confessato in un’intervista a “Il Fatto Quotidiano”: “Il sindacato ha il dovere di rappresentare il disagio e scongiurare lacerazioni sociali, ha il compito di tutelare il lavoro e rafforzare la democrazia”. Il segretario generale della Cgil ci sta dicendo di volersi intestare l’opposizione di piazza, extraparlamentare, a questo Governo e all’ampia maggioranza che lo sostiene, non volendone lasciare l’esclusiva a Giorgia Meloni quale esponente dell’unica forza partitica che non vota, e non santifica, l’operato di Mario Draghi. È umano che una persona, non riuscendo più a trarre soddisfazione dall’attività che svolge, ne cerchi un’altra. Ma appare un tantino esagerato che, per ritagliarsi uno strapuntino sulla scena politica, Maurizio Landini abbia pensato di scatenare un finimondo con lo sciopero generale. Esistono modi meno tossici con cui trastullarsi.

Intanto, vedremo quale sarà la risposta delle piazze nelle prossime ore. Se la protesta non avesse i numeri auspicati, in un Paese normale i promotori dovrebbero fare le valigie e tornare a casa. Ma siamo in Italia, dove la locuzione “passo indietro” si ascrive alla categoria filosofico-concettuale dell’utopia. E visto che il sole su questo nostro mondo tornerà a sorgere anche domani, consigliamo ai nostri valorosi sindacalisti un accorto cambio di registro. Vogliono essere d’aiuto al Paese? Comincino con l’affrontare seriamente i nodi che il contesto economico ci mette davanti. C’è un problema delocalizzazioni che sta desertificando il nostro tessuto produttivo. Non lo si risolve con leggi e leggine studiate per mettere i bastoni tra le ruote a chi vuole andarsene. Funziona l’esatto contrario: creare le condizioni ambientali e di sistema per essere più accoglienti con i potenziali investitori, esteri e nostrani. C’è un macigno gigantesco che ostruisce la strada della ripresa economica e si chiama: assenza di un piano industriale nazionale. Ciò di cui abbiamo certezza è che oggi i denari ci sono. E tanti. Li ha la mano pubblica, grazie al Programma europeo di sostegno alla ripresa economica post-pandemica; li hanno i privati che, spendendo e investendo meno durante il lungo periodo di confinamento domiciliare, hanno incrementato il risparmio.

Ora, c’è un Paese da rimodernare da cima a fondo. Cosa si aspetta a stabilire da che parte si voglia andare nei prossimi cinquant’anni? Quali produzioni privilegiare, sinergie attivare, infrastrutture costruire? Oppure abbiamo in mente di comprare tutto all’estero, per la gioia dei Paesi nostri concorrenti? Al riguardo, la politica e il sistema mediatico italiani sono fenomenali: tutti concentrati allo sfinimento sul pelo e nessuno che abbia la benché minima contezza della trave che gli pende sulla testa. La trave è l’indice della produttività che negli ultimi 25 anni è rimasto fermo sullo zero. Nel periodo 1995-2019 (fonte Istat) si è avuta una variazione leggermente positiva della produttività del lavoro (+0,3 per cento) e una leggermente negativa della produttività del capitale (-0,7 per cento). Capirete che sono numeri da default per un sistema economico. Produrre, è l’imperativo categorico che dovrebbe vederci tutti uniti come un sol uomo ad affrontare lo sforzo della ripartenza. Invece, lo sciopero generale di oggi è un errore e, insieme, una debolezza.

Tuttavia, serve a poco recriminare. Bruciata questa giornata di ordinaria follia sindacale, voltiamo pagina. Si ritorni al dialogo costruttivo tra le parti sociali, e tra queste e il Governo. Ci sono riforme di sistema da fare e che gli italiani attendono da decenni. A cominciare da quella del fisco. A Maurizio Landini, dopo aver esploso una salva dal cannone del Gianicolo per segnalare al popolo il mezzodì, non resta che decidere se essere o no della partita. Non che ci importi dei suoi personali destini ma è giusto che gli italiani sappiano. E soprattutto lo sappiano i lavoratori che in questi tempi bui stanno decidendo se continuare o meno a fidarsi del sindacato.

Aggiornato il 17 dicembre 2021 alle ore 10:10