La Lega è il vero nuovo Partito Liberale

Che cos’è, in generale e soprattutto nella tradizione italiana, un Partito Liberale? È un partito che crede nella libertà individuale, nella proprietà privata, nella libertà di informazione, nel libero mercato, nello Stato di diritto, nel sistema democratico rappresentativo, nel solidarismo comunitario, nell’identità italiana di cultura, lingua e religione, nella Nazione e nella Nazione nell’Europa, che pratica la democrazia al suo interno e che rivendica consapevolmente e laicamente tale insieme di valori.

E, da liberale storico iscritto alla Lega, voglio provare a verificare se il mio partito corrisponde a questi standard, anche nei riferimenti al passato e nelle speranze per il futuro. Dirò subito che credo proprio di sì e cercherò di dimostrarlo, perché credo che sia un esercizio necessario e chiarificatore. La Libertà individuale, vista come il primo degli ideali comunitari, perché di tutti e per tutti, è parte integrante della storia della Lega, nata sui territori da gente gelosa del suo diritto ad autogestirsi, dal comune attaccamento al proprio “particulare”, dal suo rifiuto alle omologazioni e massificazioni forzate, ideologiche e globalizzanti.

Questa difesa della libertà come valore fondante si è espressa anche come rispetto delle autonomie – di tutte le autonomie – in una gerarchia a scendere di valore generale: dell’Europa verso il resto del mondo, dell’Italia nei confronti dell’Europa, delle Regioni nei confronti dello Stato centrale, dei Comuni e delle Province nei confronti delle Regioni e infine e soprattutto dei cittadini nei confronti di poteri pubblici troppo pervasivi e accentratori. La proprietà privata è poi nell’ordine naturale delle cose per un leghista, l’attaccamento alle proprie cose, la cura nel farle crescere e tenerle ordinate, fa parte di una visione comune a tutti e non a caso porta a coltivare anche le virtù civiche, a richiedere che tutti prendano cura del proprio giardino e che lavorino per averlo.

La grossolana, falsa e ottusamente dogmatica divisione di Erich Fromm e di tanti prima di lui tra “Avere o Essere”, alla lunga sempre foriera, come si è visto nella storia, di stragi e lutti spaventosi è innaturale prima ancora che sbagliata. Come più bella (e vera) era invece la consuetudine degli Etruschi, che non adoperavano il verbo avere per indicare la proprietà della casa, ma il verbo essere, dicendo “io sono la mia casa”, frase in cui chiunque abbia dedicato la sua vita a costruire o a proseguire e mantenere qualcosa, dalla villetta, al podere agricolo, all’azienda produttiva, non può che riconoscersi. E questo di nuovo per tutti, anche per aiutare e fare accedere alla proprietà (col suo lavoro) chi ne è oggi escluso perché, per un liberale leghista, che vuole cittadini proprietari e indipendenti e non sudditi male assistiti, è la mancanza di proprietà a essere un furto, al contrario esatto della storica frase.

Sulla libertà di informazione la Lega non ha esitazioni né dubbi: il pluralismo è sacro e la convinta difesa di tutte le testate indipendenti, dalle piattaforme social a Radio Radicale e contro una certa tendenza all’uniformazione forzata del politically correct, è la dimostrazione di una posizione tenuta da sempre. E lo stesso sul libero mercato, dove l’insegnamento liberista di Giancarlo Pagliarini è stato presente e attivo fin dalle origini e proprio nella sua forma più matura e consapevole, quella degli anglosassoni, che sanno infatti che il mercato è la forma di gran lunga più efficiente di produzione, in base al principio che se un azienda è strutturalmente decotta, perché la sua produzione è obsoleta, va lasciata chiudere (se un dollaro con un salvataggio salva temporaneamente un posto di lavoro, ma investito altrove ne crea due, la scelta è chiara). I popoli di lingua inglese, contemporaneamente, non dimenticano però mai che non è affatto uguale se la proprietà delle grandi aziende è propria o altrui e difendono sempre i campioni nazionali, intervenendo eccome quando un grande asset rischia di cadere in mani straniere o è in crisi momentanea e non strutturale.

Sullo Stato di diritto la posizione leghista è addirittura esemplare. La Lega, partito di popolo, chiama il popolo a difendere democraticamente coi referendum lo Stato di diritto e quelle garanzie di una giustizia super partes, che sono essenziali per difendere la libertà di tutti, superando delle divisioni aprioristiche che hanno bloccato e in tal modo indebolito il Parlamento. Il sistema democratico rappresentativo che, dai Lumi in poi, caratterizza, pur nelle diverse realizzazioni nazionali, tutta la liberal-democrazia occidentale, è valore fondante per la Lega, che lo interpreta anzi nella formulazione estesa del Federalismo e che non ha mai ceduto alle tentazioni plebiscitarie, nascoste dietro certe apparentemente nuove proposte di “democrazia informatica” che nascondono invece (e malamente) vocazioni cesaristiche di demagoghi improvvisati e autoritari. La riscoperta del solidarismo comunitario, che dai piccoli Comuni e dalle vallate del Nord si è man mano estesa alle grandi città e a tutto il Centro e al Mezzogiorno d’Italia, non è solo l’amore per il proprio campanile, ma è anche un potente strumento di solidarietà e di coesione sociale, che serve a tutta la Nazione e che riflette anche la sua storia.

L’idea moderna di Italia unita nasce storicamente proprio nell’Italia dei Comuni e attorno al Carroccio non si difendeva solo l’autonomia di alcuni territori, ma anche e soprattutto l’identità italiana contro Federico Barbarossa, un’identità che nasce dalla cultura, dalla lingua, dalla storia e anche dalla religione. Quel crocefisso che ci ha accompagnato in tutta la vita, nelle chiese, nelle case e nelle scuole, non ha niente di offensivo o discriminatorio per gli altri, è un segno della nostra storia a cui abbiamo tutto il diritto di essere attaccati e questo lo dico da cattolico e anticlericale, che non dimentica mai chi ha detto quel “date a Cesare quel che è di Cesare”, che segna uno dei momenti di nascita della civiltà occidentale.

Una Lega nata in questo modo non poteva che formare una classe dirigente reale e rappresentativa dei territori, cosa che ne fa uno dei pochi partiti con una seria dialettica interna, con un vero leader carismatico, ma una unità che deriva dalla grande partecipazione e che è proprio questo a fare robusta. Un partito nato invece dal nulla, per impulso quasi esclusivo di un singolo come Beppe Grillo che, proprio per questo, se ne sente in fondo proprietario, fino a inventare per sé una carica di “garante” praticamente a vita, un po’ come il “Velayat-e faqih” della Repubblica islamica, non solo non potrà essere democratico, ma sarà fragilissimo ed esposto a continue scissioni (come si vede e si è visto) e, soprattutto, di sicuro non liberale.

La Lega, ormai grande partito di Governo e oggi vero perno della coalizione tra il centro e la destra, dovrà invece continuare a saper coniugare un’indispensabile leadership forte, con una altrettanto fondamentale rappresentatività democratica. Il divenire della Lega, infine, sarà e non potrà non essere che europeo. Allo stesso modo che le realtà locali hanno bisogno dello scudo dello Stato nazionale per difendersi dalla globalizzazione omologante, l’Europa, quell’Europa la cui storia è così intrecciata con quella dei popoli che vi appartengono, è una necessità per una Italia che voglia restare tale, un’Europa però in cui la presenza italiana sia realmente significativa. Lo strapotere economico, militare, mediatico e informatico delle grandi realtà del potere mondiale, rende l’Europa non solo una libera e naturale scelta, ma una vera necessità per preservare ciò che siamo e, pur nella inevitabile evoluzione delle cose, rimanere – come vogliamo – noi stessi.

Rimanere noi stessi pur nel naturale cambiamento, anche nella gestione delle crisi o in rapporto all’immigrazione, che se democraticamente regolata nei modi, nei tempi e nelle compatibilità, può anche essere un aiuto umanitario e una possibile opportunità, mentre se illegale ed esplosivamente invasiva diviene un rischio reale per la coesione sociale e il nostro futuro. Un futuro che sappia aprirsi al nuovo, conservando memoria della nostra storia e dei suoi valori, guardando allo Spazio, al Nucleare, all’intelligenza artificiale, alle biotecnologie, con fiducia, ma anche l’occhio critico di chi sa governare gli avvenimenti senza lasciarsene travolgere, per mantenere sempre viva quell’umana aspirazione, che fa la vita degna d’essere vissuta, che si chiama Libertà. Ecco perché, dopo le ormai prossime elezioni, a mio personale ma convinto avviso, credo che potremo e dovremo dire con chiarezza, che, parafrasando Benedetto Croce, “i Leghisti non possono non dirsi liberali”.

Aggiornato il 28 settembre 2021 alle ore 09:42